È da una vita che amo cucinare il pollo: ho imparato ad apprezzarlo, professionalmente, quando lavoravo in Francia, ma anche a casa mia non è mai mancato. Al Pellicano (dove Antonio Guida, due stelle Michelin, è stato executive chef dal 2004 al 2014, nda) era sempre in carta: lo servivamo, per esempio, con garusoli di mare e crema di cannellini, oppure al lime, accompagnato da bulgur e un brodo di crostacei. Qui al Seta lo cuociamo al forno in una crosta di sale, farina, albume e crema di erbe, e lo presentiamo in tre servizi: prima il collo, con brodo di pollo aromatizzato allo zenzero e wakame; poi il petto, condito con il suo fondo di cottura e un goccio di malvasia, una maionese di rigaglie e le verdure; infine la coscia, con fregola, caffè e bisque (forse in futuro aggiungeremo anche le ali, probabilmente in abbinamento al babà). Uso il pollo ficatum di Moncucco, la medesima azienda agricola che mi rifornisce di piccione, perché cercavo un volatile italiano di grandissima qualità.
Del pollo apprezzo particolarmente la consistenza della carne, e il sapore, fine ma allo stesso tempo deciso. Poter dire “sa di pollo” non è banale: è un piatto delicato da gestire, nella sua semplicità, un po’ come lo spaghetto al pomodoro. Il segreto è: non coprire mai e fare attenzione al peso, perché da quello possono dipendere pochi minuti di cottura o riposo in più. Prima di cuocerlo lo mariniamo con bucce di lime, che preferisco al limone in virtù della sua intensa freschezza, pochissimo marsala, aromi e naturalmente olio, sale e pepe. Gli abbinamenti con gli elementi di mare, come la bisque, sono un gioco, sono sapori che trovo si sposino bene. Al Seta per scelta il pollo esce in sala intero, con la sua crosta di sale, e viene porzionato dal maître: per l’impiattamento viene riportato in cucina, così da eseguirlo velocemente, senza far asciugare la carne. Non lo considero un piatto “umile”, è importante anche nel prezzo e i clienti ne riconoscono il valore: non appena vedono uscire il primo, lo ordinano quasi tutti; certo, bisogna saperlo anche raccontare, “fare cultura”.
Come dicevo il pollo è un grande classico anche della mia cucina domestica. Quando ho ospiti a cena solitamente cucino un pollo arrosto o l’agnello. Anche nella cucina di casa si gioca tutto sulla sensibilità: lo spalmo esternamente e internamente di burro di Normandia, quindi lo massaggio con una marinatura secca di sale grosso pestato, timo e aglio. Va poi fatta asciugare la pelle, in modo che resti più croccante. In cavità inserisco sale, pepe di Giamaica, bucce di arancia, un pezzetto di baccello di vaniglia, timo, salvia. Il petto, che richiede meno tempo per cuocere delle cosce, va fatto colorare più velocemente: non va mai lasciato a contatto con il fondo troppo a lungo, perché alla base si raccoglie il grasso di cottura e pertanto la temperatura è più alta; per le cosce e la schiena vale l’opposto. Sono piccoli accorgimenti ma possono fare la differenza tra un pollo mediocre e uno memorabile».
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