È l’alba, siamo nel pieno dell’inverno, a temperature glaciali, a bordo del peschereccio Finlander che beccheggia su un gelido mare mosso, a circa 100 chilometri dalla costa del Maine. Ci troviamo qui, in questo momento, perché il pesce abbocca a quest’ora. Abbiamo salpato dal molo all’una e mezza di notte, diretti a est per quattro ore e passando per alcuni dei tratti di mare più ricchi di merluzzo della regione, un itinerario folle al quale siamo costretti da un’altrettanto folle normativa sulla pesca. Non dovremmo trovarci qui in questo periodo dell’anno, su una barca così piccola, in acque così fredde nelle quali potremmo sopravvivere solo pochi minuti. Siamo soli. Osservo il mutismo inquietante del radar del Finlander per tutto il tragitto. Non un segno di vita. Quando lo faccio notare a Tim Rider, il comandante del Finlander, lui mi risponde con un forte accento del New England: «Rowan, da novembre ad aprile non ho mai visto una sola imbarcazione pescare dove peschiamo noi. Non una in tutta la mia vita». Rider è un uomo sulla quarantina dal fisico asciutto, barba ispida ed espressione seria. Anticipa la risposta alla mia domanda successiva: «Se dovessimo avere un problema serio adesso, su questo peschereccio da 11 metri di lunghezza, probabilmente rischieremmo la vita. Nessuno riuscirebbe a soccorrerci in tempo». Mi racconta di alcuni dei pericoli che ha corso: la tempesta con vento a 80 km orari che avrebbe certamente rovesciato il Finlander se lui avesse lasciato il timone, anche solo per un istante; la gigantesca onda che lo scorso anno incrinò il parabrezza e strappò il gommone di salvataggio dal tetto della cabina. Mentre me lo racconta sblocca il mulinello della sua canna da pesca con nonchalance e lancia la lenza nelle profondità del mare. Un mestiere folle, sì, e molti accusano Rider di esserlo a sua volta.
Ma lui, con la sua barca, si spinge al limite del possibile per due chiare, forse fanatiche, ragioni: pescare il miglior pesce della regione e cambiare la filiera della pesca. Nel momento in cui la mia esca tocca il fondo la sento colpire da più direzioni, come una palla in mezzo a una mischia di rugby, poi mi ritrovo a riavvolgere la lenza per tutti i 90 metri fino alla superficie mentre qualcosa, là sotto, oppone una notevole resistenza. Tutti i cinque membri dell’equipaggio stanno facendo la stessa cosa. Ho preso all’amo tre pollack dall’elegante livrea argentata, con il caratteristico dorso color canna di fucile, e li carichiamo a bordo con fatica per seguire la rigida procedura che Rider osserva con ogni pesce: recidere l‘arteria sotto la mandibola per dissanguarlo immediatamente, poi immergerlo con gentilezza in una salamoia ghiacciata per raffreddarlo in breve tempo. E si torna subito a pescare. «Rimetti subito quegli ami in acqua, Rowan», mi urla Rider. «Questa non è una barca da diporto». Lui è cresciuto lavorando su barche da pesca sportiva lungo la costa del New England, aiutando i turisti a conservare correttamente il loro pescato. Una volta risparmiato abbastanza da potersi mettere in proprio e diventare professionista, ha continuato a seguire la stessa filosofia: trattare ogni pesce come se dovesse essere servito per cena la sera stessa. Ha sempre trovato illogico rovinare un esemplare eccellente maltrattandolo o lasciando che il sangue ne ammorbidisse troppo la carne, nonostante questa sua cura non venisse premiata. Come molti colleghi, Rider vendeva il suo pescato ai grossisti senza avere mai il controllo sul prezzo, che scendeva drasticamente ogni volta che un grande peschereccio industriale entrava in porto. Da quei grossi pescherecci proviene la maggior parte del pesce bianco — merluzzo, eglefino, pollack, platessa.
Queste imbarcazioni stanno in mare per due settimane alla volta, raccogliendo più di 100 tonnellate di pesce dai fondali con reti a strascico. Da loro proviene il pesce che si trova nella maggior parte delle rivendite e dei ristoranti. Sfortunatamente, nei mari del nord-est americano non esistono alternative a questo sistema, che premia pochi grandi operatori a spese dei piccoli pescatori come Rider. Il problema risale al 2010, quando è stato messo in atto un sistema di gestione della pesca a “quote”. Il numero di merluzzi — delle varietà più pregiate e costose — era in declino da decenni e le quote ne avrebbero dovuto impedire l’eccessivo sfruttamento. Il governo aveva calcolato la quantità di pesce che poteva essere preso ogni anno senza impoverire le popolazioni e diviso il totale in quote assegnandole ai singoli pescatori. Questi, a loro volta, erano liberi di farne ciò che volevano — uscire in mare op- pure venderle ad altri operatori del mercato. Il governo, però, non aveva previsto che un piccolo gruppo di grandi compagnie dalle notevoli disponibilità economiche, dotate di grandi pescherecci e in grado di praticare prezzi molto bassi, avrebbe comprato le quote e costretto i piccoli pescatori a fallire. Degli oltre 1.000 pescherecci che affollavano le acque del New England negli anni 90 ne sono rimasti 400, la maggior parte dei quali lavora per conto di grandi società. Rider paga 3 dollari a libbra per il diritto di pescare merluzzo, prezzo che talvolta supera quello a cui lui riesce a rivendere il prodotto. «Lo ripeto spesso: provate a pagare il 30 per cento del vostro guadagno in diritti a qualcuno che faceva il vostro lavoro anni fa e vedete se riuscite a sopravvivere economicamente», racconta. «È doloroso».
Ed è il motivo per cui ci stiamo spingendo oltre i territori di pesca del merluzzo, a rischiare la pelle per inseguire il pollack a 100 chilometri dalla costa. Questa specie è più abbondante e ha meno richiesta, per cui le quote per pescarla sono meno onerose. Rider ha faticato a sopravvivere con la pesca al pollack finché non ha conosciuto Spencer Montgomery e Amanda Parks, la giovane coppia che in questo momento sta ritirando le lenze accanto a me. Montgomery e Parks facevano parte del movimento Slow Food e volevano dare impulso all’industria ittica su base locale. Quando si sono resi conto dell’ottima qualità del pesce di Rider e di quanto poco questo gli rendesse, si sono offerti come volontari per lavorare con lui e gli hanno proposto un piano d’azione. Entrambi erano ex-dipendenti del ristorante Black Trumpet di Portsmouth, in New Hampshire e sapevano che Evan Mallett, lo chef e proprietario, era un convinto sostenitore della cucina locale. Forse, se gli fosse piaciuto il pesce, sarebbe stato d’accordo a pagarlo quanto valeva veramente. E così andò. «Il pesce che mi arrivava dalla pescheria era spesso schiacciato, piegato, accartocciato», mi ha spiegato, in seguito, Mallett. «Quello di Tim era di color bianco avorio». Se non è dissanguato in fretta, il pesce diventa molle e incolore, sviluppando nel contempo un cattivo odore, mentre il suo era sodo e delicato. «Si trattava della stessa specie, ma mi fu subito chiaro che non si trattava dello stesso prodotto», mi ha detto Mallett. «Rider ha la stessa attenzione nel trattare il prodotto dei pescatori giapponesi. La sua accuratezza è senza pari». In seguito Mallett è andato a trovare Rider di persona: «Gliel’ho detto in faccia, “Il tuo pesce è straordinario, tu sei un mito”, che, ovviamente, è esattamente quello che lui voleva sentirsi dire!».
Da allora, Black Trumpet serve il pesce di Rider senza sosta: dalla rana pescatrice avvolta nel bacon allo sgombro grigliato, il pesce più saporito e sottovalutato di tutto il golfo del Maine. Presto, Rider ha sviluppato un nuovo modo di lavorare. Al diavolo le aste. Lui, Montgomery e Parks hanno fondato New England Fishmongers, una società che consegna il pesce ai ristoranti direttamente dal Finlander a un prezzo migliore. «Gli chef non avevano mai ricevuto il pesce direttamente dalle mani del comandante di un peschereccio», mi racconta Rider, «Erano sbigottiti». In seguito, Jeremy Sewall, executive chef e comproprietario del Row 34 e dell’Island Creek Oyster Bar a Boston, me lo ha confermato: «Il prodotto più incredibile che io abbia mai visto», mi ha detto. «Freschissimo, dalla carne soda e delicata, così saporito. Ha cambiato il concetto stesso che avevo di pesce fresco». Un pescatore, da solo, non può cambiare il sistema, ma New England Fishmongers sta lavorando anche a questo. Nella fioca luce invernale, mentre stiamo tornando al porto con una tonnellata di meravigliosi pollack, Rider mi informa che altri suoi colleghi sono interessati alla rivoluzione della pesca artigianale. New England Fishmongers, insieme ai ristoranti che rifornisce, organizza cene per raccogliere fondi e aiutare i proprietari dei piccoli pescherecci a pagare le loro quote per poter così lavorare vicino alla costa. «Se riusciremo a ottenere prezzi ragionevoli per il loro pesce», afferma Rider, «loro potranno lavorare con profitto e, un giorno, saremo abbastanza numerosi da poter cambiare la situazione generale».
Rider promuove una regola di impegno in prima persona, così che i «comandanti da poltrona» non possano vendere le loro quote al miglior offerente ogni anno. Inoltre, è promotore di una legge che impedisca a un singolo operatore di detenere più del 2 per cento del pesce disponibile, come succede già sulla costa occidentale degli Stati Uniti. Ci vorrà tempo, ma è un buon segno per il New England—per le popolazioni ittiche, per i pescatori e per tutti i buongustai che apprezzano il pesce fresco di giornata; credo che vedremo un numero sempre crescente di piccoli pescherecci all’opera, nei prossimi anni. Diciotto ore dopo la partenza raggiungiamo di nuovo il molo e scarichiamo il bottino. Montgomery e Parks consegneranno il pesce il mattino seguente (mentre io non penso ad altro che a consegnarmi a un comodo letto), ma Rider si gira e torna verso il Finlander. Quando gli chiedo se non ha bisogno di riposo, scuote la testa. «Non mi posso fermare», dice. Dormirà un paio d’ore sul peschereccio, poi imbarcherà un altro equipaggio e salperà un’altra volta. Dopo tutto in questo periodo dell’anno devi sfruttare i giorni favorevoli e per domani è previsto mare solo moderatamente spaventoso.
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