Cataldo Calabretta I Cirò Marina (Crotone) cataldocalabretta.it
Questa è una storia di singoli, certo, ma è soprattutto una vicenda collettiva. Terra di dove finisce la terra, con le vigne che si tuffano nel mare e il senso d’appartenenza è qualcosa da riconquistare. Calabria, in una delle sue zone simbolo per il suo vino: Cirò. È qui che inizia la rivoluzione, con un manipolo di piccoli produttori decisi a riallacciare i fili della storia e riprendersi il futuro. Una storia collettiva, appunto, di cui Cataldo Calabretta è una pagina fondamentale, almeno guardando oggi al capitolo dei “Cirò boys”. Laurea in Viticultura ed Enologia a Milano, formazione ed esperienze in giro per alcune cantine della Lombardia, quindi il ritorno a casa; la coltivazione biologica e la scintilla del vino naturale per incendiare la prateria. Quella di Cataldo è però una rivoluzione gentile, affatto vaga ma pensata e realizzata per la sua terra e le sue uve. A cominciare dal gaglioppo: coltivato in collina, ad alberello, come una volta. E in cantina niente trucchi ma la ricerca di uno stile puro, che non rincorre le mode ma le detta. È così che questo rosso, scarico di colore e orgogliosamente duro, si è fatto breccia sui mercati del mondo. Export fino al 60% delle vendite, quasi sempre attraverso piccoli distributori alla ricerca di una Calabria “vera” e di quel capitolo mancante. Oggi la sfida è anche inversa, tesa a portare il mondo a Cirò, in Calabria, alla scoperta di una terra difficile quanto bella. Un’altra rivoluzione, che come sempre squarcia l’esistente e indica la via.
Il vino: Cirò Rosso Classico Superiore Doc
L’innovazione è il recupero della tradizione per questo Cirò da uve gaglioppo in purezza – coltivate ad alberello, vinificate con soli lieviti indigeni – maturato in vasche di cemento.
Ceretto | Alba (Cuneo)
ceretto.com
Da dove cominciare? Certamente dal vino, perché è grazie a questo che i fratelli Ceretto hanno conquistato il mondo. Arduo, però, mettere in fila quanto combinato da Bruno e Marcello dagli anni Sessanta in avanti. Ad esempio, per dirne qualcuna, fare sistema con tutti i migliori del territorio, non fermandosi solo al vino – dire Ceretto equivale a confrontarsi anche con formaggi o nocciole –, per tacere di quello che significhi per la città di Alba fare da cornice a un tre stelle Michelin come Piazza Duomo, guidato in cucina da Enrico Crippa ma di proprietà della dinastia. E che dire della distinzione – da sempre – dei cru più vocati, come il Bricco Rocche fra i Barolo o il Bricco Asili fra i Barbaresco. Bravissimi, poi, anche nel conquistare i mercati internazionali: l’Arneis Blangé, infatti, dall’etichetta inconfondibile, ancora vende ovunque come pochi. Ulteriore nota di merito, infine, per due aspetti fondamentali nella dinamica aziendale, esaltati oggi da Roberta, Federico, Lisa e Alessandro, eredi dei due. Il primo è l’approccio al biologico e, ove possibile nei cento ettari, alla biodinamica; quindi le molteplici iniziative culturali che da tempo caratterizzano i Ceretto boys, con interventi multidisciplinari di figure dal calibro internazionale come quelle coinvolte di recente – dal paesaggista Paolo Pejrone alla chef slovena Ana Roš – nell’ambito de “La Via Selvatica”, progetto in più fasi che dovrebbe protrarsi per tutto il 2021. Mecenati esemplari, i Nostri, a cui le Langhe saranno sempre riconoscenti.
Il vino: Barolo Docg Bricco Rocche
Una leggenda, senza il minimo dubbio, dove il nebbiolo giustamente nebbioleggia, senza ammiccare a chissà quali estrazioni o evoluzioni, e dove sono le Langhe ad esprimersi. Silenziose ma profonde, austere ma comunicative: dal sorso energico, elegante, solido e avvolgente.
Cecchi | Castellina in Chianti (Siena) cecchi.net
La tenuta di Sant’Antimo, sei ettari di vigna nei pressi della bellissima abbazia appena fuori Montalcino, è l’acquisto più recente (2018) della famiglia Cecchi, l’ultimo tassello di una storia ben radicata sul territorio toscano e non solo. Un “sistema” che fa perno sulla tenuta storica di Villa Cerna a Castellina in Chianti e abbraccia anche Castello Montaùto (San Gimignano), Val delle Rose (Grosseto), Villa Rosa sempre a Castellina e Tenuta Alzatura (Montefalco) fuori regione. Tutto nasce nel 1893 quando Luigi Cecchi decide di gettare le basi dell’attività vitivinicola oggi arrivata alla quarta generazione, con i fratelli Cesare e Andrea Cecchi. È negli anni Settanta del Novecento, però, che la produzione conosce una svolta tanto qualitativa quanto imprenditoriale, con l’acquisizione di Villa Cerna, il “quartier generale” nel cuore dell’area del Chianti Classico Docg, e il deciso impegno verso la ricerca e la sperimentazione. Le successive acquisizioni, prima oltre i confini chiantigiani e poi anche di quelli regionali, e la costante propensione all’innovazione – che vuol dire pure attenzione all’ambiente e scelte ecosostenibili, tutelando il patrimonio agricolo e ambientale e favorendo l’impiego di tecnologie per ridurre al minimo i consumi energetici e le risorse naturali necessarie alla produzione – disegnano una realtà moderna e dinamica ma allo stesso tempo legata alle proprie radici.
Il vino: Villa Cerna Chianti Classico Riserva Docg
Emblema di “chiantigianità”, quest’uvaggio di sangiovese e colorino – fresco e armonico, dal buon equilibrio tra acidità e tannini – è il compagno ideale per la cucina toscana di terra.
Condé | Fiumana di Predappio (Forlì Cesena) conde.it
Chiara Condello è prima di tutto una donna del vino italiano ed è anche protagonista della nuova generazione di produttori che sta portando il Romagna Sangiovese Doc, in particolare la sottozona di Predappio, all’attenzione dei mercati nazionali e internazionali. Giovane e testarda, Chiara è intraprendente e prosegue dritta per la strada che, dopo una laurea all’Università Bocconi di Milano, l’ha riportata a casa, a metà strada tra l’Appennino tosco-romagnolo e il mare Adriatico. Il vino è la migliore espressione di queste terre coltivate a vite fin dal XIV secolo e caratterizzate dalla roccia pliocenica chiamata spungone, un ricordo tangibile di quando il mare abitava ancora queste colline e una peculiarità che dà al Sangiovese di Predappio tutto il diritto di gareggiare negli stessi campionati dei cugini toscani. Ma quest’area vitivinicola riserva altre sorprese: dal cru Massera, Condé ottiene un grande Merlot in purezza capace di esprimere tutta la magia del luogo, così come l’ambizione dell’azienda. I vini qui sono prodotti secondo le regole dell’agricoltura biologica e grande attenzione è riservata alla biodiversità che fortunatamente popola ancora le campagne, dove la vigna non cresce isolata ma all’interno di un sistema in cui possa dialogare con il bosco, la flora e la fauna locale. L’azienda Condé non è, però, solamente una cantina ma pure un borgo in mezzo alle vigne con ristoranti, spa, ville e suite per godersi al meglio le ospitali colline romagnole.
Il vino: Raggio Brusa Romagna Sangiovese Predappio Riserva Doc
Da una vigna esposta al sole del mattino, un vino che rivela perfettamente il carattere del sangiovese di Romagna. Un calice intensamente profumato, un assaggio austero e dal grande potenziale di invecchiamento.
Elena Fucci | Barile (Potenza) elenafuccivini.com
Una storia che sovverte un bel mucchio di luoghi comuni e se ne prende gioco. In un mondo agricolo maschile e a tratti maschilista, in pieno “Mezzogiorno”, il volto di questa impresa di successo è donna. Anno 2000. Elena Fucci decide che era arrivato il momento di prendere in mano i vigneti di famiglia e dare nuove prospettive ai loro frutti. Scelta sofferta: sarebbe stato più facile vendere tutto e ritagliarsi un futuro comodo, altrove, ma il richiamo di quelle vecchie piante è stato troppo forte. Sei ettari di viti curve, fino a 600 metri d’altezza, con il monte Vulture a scrutare e proteggere. È la prima vendemmia di un nuovo corso. L’aglianico non è certo una varietà facile; da coltivare, trasformare in vino e far capire al mercato, che non ne voleva saperne di tirar fuori un prezzo adeguato ai sacrifici. Specialmente con la decisione di produrre un’unica etichetta, il Titolo, cru realizzato senza compromessi e di altissimo livello. Eppure è stato un boom, tanto che dalle 1200 bottiglie della prima annata se ne producono oggi circa 30 mila. Il lavoro commerciale è stato incredibile, con una rara capacità di internazionalizzazione. Si è presto puntato a moltiplicare gli interlocutori, parcellizzando le allocazioni e scegliendo partner di piccole dimensioni. L’esempio è il “modello americano”, come viene chiamato in azienda, che prevede la bellezza di 29 importatori in altrettanti stati. Ed è così ovunque, dall’Europa all’Asia, per tutti i 56 Paesi in cui il vino è distribuito.
Il vino: Aglianico del Vulture Doc Titolo
Un vino unico, capace di far cambiare la percezione dell’Aglianico del Vulture (e il prezzo) sui mercati internazionali. Moderno senza essere “modernista”, racconta un territorio antico e di raro fascino.
Damilano | La Morra (Cuneo) cantinedamilano.it
Fu Giuseppe Borgogno, nel 1890, a iniziare a coltivare e vinificare le uve di proprietà a Barolo. Ma fu suo genero Giacomo Damilano a comprare due ettari di vigna sulla collina di Cannubi, a costruire la cantina e, dal 1935, a produrre con l’attuale nome. Oggi l’azienda, guidata da Paolo Damilano insieme al fratello Mario e al cugino Guido, ha il privilegio di poter gestire alcuni dei vigneti più vocati delle Langhe, da cui nascono cru dalla forte identità, molto conosciuti e apprezzati sul mercato internazionale. Un successo cominciato da quel Barolo 2001 che divenne oggetto del desiderio tra gli appassionati americani: non è un caso se gli Stati Uniti si confermano ancora la quota di export più rilevante. Oltre a saper cesellare il nebbiolo in vini rossi di razza, Damilano è capace di mettersi alla prova con i bianchi: elegante e sapido lo Chardonnay, dedicato al fondatore. Colpisce pure la capacità di diversificarsi, ma sempre sotto il segno della piemontesità: il gruppo ha acquistato il Pastificio Defilippis, che è anche ristorante e gastronomia, e il Bar Zucca, due nomi storici di Torino. Senza dimenticare le acque minerali che, con la Società Pontevecchio, rappresentano la voce principale di business.
Il vino: Barolo Riserva Cannubi “1752”
Nasce con la vendemmia 2008 dal nucleo storico del vigneto Cannubi – quello con viti di nebbiolo con un’età compresa tra 30 e 50 anni – e viene prodotto in circa 6mila bottiglie. Intenso e austero, con note speziate e balsamiche.
Foradori| Mezzolombardo (Trento) agricolaforadori.com
I pionieri meriterebbero sempre uno spazio tutto per loro. Anche nel mondo del vino coloro che hanno capito per primi che il fuoco covava sotto la cenere, al di là delle approssimazioni dei loro predecessori, dovrebbero vedersi riconosciuti meriti ulteriori rispetto a quelli di certo già loro attribuiti: si pensi ad esempio a quanto fatto da Giacomo Bologna per la Barbera, negli anni tragici del metanolo. In questo caso è stata una donna a tessere le fila, elemento che alcuni anni fa non costituiva di certo un vantaggio aprioristico. Elisabetta Foradori prende in mano le redini dell’azienda di famiglia dopo la morte del papà Roberto, avvenuta nel 1985: l’unione, anche di vita, con Rainer Zierock, agronomo dalla filosofia rispettosissima della natura, la coinvolgerà in scelte viticole così lungimiranti e coraggiose da trasformare il teroldego, un’uva fino a quel momento destinata a produzioni sciatte e anonime, in uno dei più definiti esempi della nouvelle vague enoica italiana. Rese per ettaro drasticamente abbassate, attenzione estrema in cantina, evoluzione in legni scelti ad hoc e, ultima ma non ultima, la conversione alla biodinamica messa a regime dal 2002 – con un lavoro articolato anche su anfore e cemento – per un’azienda che oltre al nettare di Bacco si occupa anche di ortaggi e della produzione di formaggio da vacche brune. A coadiuvare oggi il percorso materno i figli Emilio, Theo e Myrta, degni eredi nello spirito e nei risultati.
Il vino: Vigneti delle Dolomiti Teroldego Igt Granato
Ed eccolo, il Teroldego capace di issarsi in cima al mondo. Un vino fantastico, il cui nome già predispone alla ricchezza, alla concentrazione e allo spessore organolettico emanato. Il capolavoro di Elisabetta Foradori.
Famiglia Cotarella | Montecchio (Terni) famigliacotarella.it
Un tempo fu Falesco, oggi è Famiglia Cotarella. L’azienda è la stessa, con il vino come centro nevralgico della storia imprenditoriale, ma con altre idee-satellite che hanno preso forma negli anni. Più che un cambio generazionale è stato un cambio di visione. Se Riccardo Cotarella era e rimane un uomo del vino, Dominga, Marta e Enrica – oggi alla guida dell’azienda, sono cugine ma si definiscono tutte “sorelle” – sono impegnate in tante altre iniziative. Alla base la volontà di costruire un’impresa enogastronomica dove il vino, il cibo, l’ospitalità, la comunicazione, il terzo settore potessero non solo convivere ma sostenersi a vicenda, creando profitto e generando formazione e supporto. E alle “Cotarella Sisters” va riconosciuto il fatto di esserci riuscite. Innanzitutto con Intrecci, la scuola di formazione dedicata al servizio di sala a Castiglione in Teverina in Umbria, diventata punto di riferimento per tutti coloro sognano di lavorare nella ristorazione senza per forza voler diventare chef. E poi con Tellus, una fattoria didattica pensata con l’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma per aiutare anche i bambini con difficoltà a sviluppare le proprie capacità fisiche e mentali grazie all’interazione con la natura. Pure qui siamo in Umbria, a San Pietro a Montecchio. Naturalmente resta centrale il vino, di cui tutte e tre sono delle instancabili ambassador: basta seguirle sui social – periodo di fermo forzato a parte per l’emergenza Covid – per capire che è impossibile trovarle nello stesso posto per più di due giorni.
Il vino: Montiano Rosso Lazio Igp
Archetipo del Merlot italiano secondo Cotarella, è un vero vino-bandiera: dall’attacco morbido con tanta marasca e spezie, in bocca colpisce per l’eleganza e il tannino delicato.
Giacomo Conterno | Monforte d’Alba (Cuneo) conterno.it
È una storia scritta da uomini lungimiranti con una visione innovativa della tradizione e una ricerca della perfezione mai tradita, quella della famiglia Conterno di Monforte d’Alba, nelle Langhe. Nell’arco di appena tre generazioni, qui il Barolo è passato da vino sfuso a mito internazionale. Fu Giacomo a intuire, nel 1924, le potenzialità di un vino che, da subito chiamato Monfortino, meritava la bottiglia e non la damigiana. Cinquant’anni dopo il figlio Giovanni capì l’importanza di coltivare e vinificare le proprie uve: si deve a lui l’acquisto del prezioso vigneto Francia a Serralunga d’Alba. Oggi alla guida della cantina c’è Roberto Conterno che, con carattere piemontese e visione universale, ha ampliato gli ettari dell’azienda con l’acquisto dei cru Cerretta e Arione, quest’ultimo naturale proseguimento del vigneto Francia e lembo sudorientale della Docg. Nel 2018 l’azienda si allarga ancora con un’importante acquisizione nell’Alto Piemonte, a Gattinara. La storia lineare e il rigore nell’innovazione in ogni dettaglio tramite l’uso di macchinari di precisione assoluta, dalla vinificazione alla scelta del tappo perfetto per ridurre a zero il rischio di problemi legati al sughero, sono le chiavi del successo di Conterno. Ma una cantina come questa che – come da tradizione – è sempre proiettata verso il futuro non dormirà certamente sugli allori. Chissà a quali altri innovativi progetti sta puntando la mente fervida e curiosa di Roberto Conterno.
Il vino: Cascina Francia Barolo Docg
Il nome di Conterno è ben rappresentato dal mix di frutta ed eleganza del Barolo che ottiene dal vigneto Francia, il cru da cui storicamente (ma dal 2015 non più esclusivamente) provengono anche le uve per la famosa Riserva Monfortino
Frescobaldi | Sieci, Pontassieve (Firenze)
frescobaldi.it
«Il nostro stile è far parlare la terra e la diversità dei territori», ripete sempre Lamberto Frescobaldi, alla guida di un’azienda capace come poche altre di coniugare una lunga e straordinaria storia con un approccio moderno e innovativo. E in effetti il motto che fa ben capire l’identità di famiglia è proprio “cultivating diversity”. Che vuol dire la capacità e la voglia di interpretare nel modo più rispettoso i terroir di otto diverse cantine in Toscana: dalla Tenuta Castiglioni, nella Val di Pesa, dove già nel XI secolo è iniziata la passione per l’agricoltura e il vino, a Castello Pomino, sulle alte colline dei contrafforti dell’Appennino, dove vengono prodotti il Benefizio Riserva, il Pinot Nero e il Leonia Pomino Brut. E dove si può anche soggiornare, così come nelle raffinate stanze di Castello Nipozzano, nella zona del Chianti Rufina, e CastelGiocondo, a Montalcino, a dimostrazione dell’attitudine all’ospitalità di Frescobaldi. La responsabilità sociale si esprime a Gorgona, minuscola isola-penitenziario dell’arcipelago toscano: da un vigneto ad anfiteatro di due ettari e mezzo nasce un vino, blend di vermentino e ansonica, prodotto grazie al lavoro a rotazione dei detenuti, assunti e retribuiti, che così possono avere una nuova opportunità di vita. Last but not least c’è Laudemio, il progetto di qualità dedicato all’olio extravergine d’oliva, oggi seguito da Matteo Frescobaldi.
Il vino: Montesodi
Prodotto per la prima volta nel 1974, coltivato nell’omonimo vigneto a 400 metri di altezza, è un sangiovese in purezza: definito e fresco, con nuance speziate e balsamiche e un finale lungo e appagante.
Gaja | Barbaresco (Cuneo) gaja.com
È stato sempre avanti. Dinanzi a concorrenti, amici, ristoratori, viticoltori, enologi, nani e ballerine. Un italiano fiero di esserlo, capace di mostrare a tutto il Pianeta come il nostro Stivale non avrebbe da temere confronti con nessuno, una volta progettato il futuro con lungimiranza, respiro internazionale, capacità comunicative, marketing esemplare e strategie oculate in vigna e in cantina. Facile indovinare di chi si stia parlando: sì, trattasi di Angelo Gaja, che dall’alto dei suoi ottant’anni splendidamente vissuti è ancora lì a mandare segnali sulle diverse identità del nostro patrimonio così come sulla necessità di veder operare in totale sinergia piccoli artigiani e cantine dai grandi numeri, sognando una corazzata tricolore che muova compatta per la propria valorizzazione. Basterebbe ricordare, col senno di poi, la prima versione italiana di uno Chardonnay dal passo borgognone, il Gaia & Rey, oppure l’uscita dal disciplinare del Barbaresco per i suoi storici cru (per poi tornare nella Docg solo pochissimi anni fa), al fine di proporre con l’indicazione Langhe prodotti dal linguaggio più internazionale. Ancora: un’immagine all’estero da far invidia, l’energia per intervenire sistematicamente su ogni tema d’attualità, l’aver mosso dalla cantina di famiglia di Barbaresco – oggi condivisa con i figli Gaia, Rossana e Giovanni – per mettere radici anche fra Etna e Toscana, il merito di essersi circondato di un team senza eguali. Ma quante ne combinerà ancora?
Il vino: Barbaresco
Senza nulla togliere alle splendide selezioni annualmente prodotte, il Barbaresco cosiddetto “base” rimane emblematico dello spirito aziendale: tipicità ben espressa, fattura impeccabile, leggibilità universale. Un colosso.
foto Cecchi
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