Qual è stato il primo ristorante non francese a meritare per la prima volta le tre stelle Michelin? Per quanti anni Paul Bocuse, mostro sacro dell’haute cuisine, ha mantenuto il massimo riconoscimento? Quali sono il Paese e la città che possono vantare nel 2020 il più alto numero di insegne tristellate? Quando è uscita la prima edizione italiana della “rossa”? Se stessimo giocando a Trivial Pursuit ed esistesse una precisa categoria “Michelin”, converrebbe certamente avere in squadra Maurizio Campiverdi. Il perché è presto detto: dal 1953 – anno in cui i genitori lo portarono, appena dodicenne, a La Pyramide di Fernand Point – ad oggi, questo gran gourmet bolognese ha visitato 194 dei 286 ristoranti insigniti con i tre celebri macarons, oltre a un numero pressoché infinito di altre tavole in giro per il pianeta, Corea del Nord compresa.
È lui l’autore, con il giocoso pseudonimo di Maurice von Greenfields, di Tre Stelle Michelin, enciclopedia dell’alta ristorazione mondiale pubblicata da Maretti Editore. Un tomo imponente (e impegnativo) che racconta i centoventi anni di storia della celebre guida gastronomica e, di conseguenza, i piatti, i menu, le ricette, gli chef e i ristoranti che di queste cronache sono stati e sono ancora protagonisti. Se parole come “stelle” e “stellato” sono ormai entrati nel vocabolario di ogni cultore della ristorazione, forse non tutti ancora conoscono i dettagli, le curiosità e gli aneddoti di una vera e propria saga. La guida nasce nel 1900 in Francia, in occasione dell’Esposizione Universale, grazie all’intuizione di André Michelin, imprenditore e fondatore, insieme al fratello Édouard, dell’azienda specializzata nella gomma. Il suo interesse era naturalmente quello di vendere pneumatici e favorire una rapida crescita del numero di automobilisti tra i francesi. Ecco perché la copertina di quel primo libretto rosso specificava di essere “offert gracieusement aux chauffeurs”. Non si trattava ancora della guida Michelin come siamo abituati a conoscerla e consultarla oggi: le stelle già comparivano ma facevano riferimento unicamente al costo degli alberghi e non alla qualità dei ristoranti. È solo nel 1933 che 23 insegne transalpine ottengono il massimo traguardo. Da lì in avanti le stelle (da una a tre, per i ristoranti che “valgono il viaggio”) diventeranno il più celebre e riconosciuto criterio per valutare l’eccellenza di una cucina e oggi esistono edizioni in molti Paesi del mondo, dalla Germania alla Spagna, dagli Stati Uniti a Hong Kong – Macao.
Il libro, con piglio critico, racconta l’evoluzione editoriale della guida ma anche il cambiamento dei costumi e dei gusti del pubblico, le grandi avanguardie e rivoluzioni gastronomiche, dalla Nouvelle Cuisine a Ferran Adrià. E poi le ascese e le cadute, i “sempre grandi” non più tristellati e quelli che avrebbero meritato o meriterebbero il terzo Macaron (dal nostro Vissani al Noma di Copenhagen), le tante decisioni, spesso discutibili, prese dagli ispettori (il cui lavoro è oggi coordinato da Gwendal Poullennec, direttore internazionale delle guide Michelin), non sempre capaci di declinare il loro modello di “lusso” e “fine dining” – storicamente filofrancese – secondo le diverse peculiarità culturali, sociali e geografiche. Ma sta anche qui il fascino della Rossa: nella sua capacità di far discutere e di non mettere d’accordo tutti.
Ci si chiede, tra le altre cose, come mai siano solo dodici le donne (troppo poche) che hanno detenuto, o detengono, le tre stelle. Tra queste anche Luisa Valazza del ristorante Al Sorriso di Soriso (che oggi ne ha solamente due), Annie Feolde di Enoteca Pinchiorri e Nadia Santini del Pescatore a Canneto sull’Oglio, il ristorante più longevo tra gli italiani, tristellato dal 1996. Molto spazio, naturalmente, è dedicato al nostro Paese. Sono stati 16 in totale (di cui 11 oggi in carica) i ristoranti capaci di ricevere il massimo alloro: dal primo, quello di via Bonvesin de La Riva di Gualtiero Marchesi, al più recente, Enrico Bartolini al Mudec, che ha riportato le tre stelle nel capoluogo meneghino dopo ben 26 anni (l’ultimo fu proprio il Maestro della cucina italiana). Nella nuova edizione 2021 della guida, appena presentata, non ci sono purtroppo (anche se era piuttosto prevedibile in un anno così particolare) novità al vertice.
Prima di chiudere, vi dobbiamo ancora le risposte alle domande iniziali. Il primo ristorante straniero tristellato è stato, nel 1972, Villa Lorraine a Bois de la Cambre, dieci chilometri dal centro di Bruxelles. Bocuse, scomparso nel 2018 a 91 anni, ha mantenuto le tre stelle per 55 anni consecutivi prima che il suo ristorante a Collonges-au-Mont-d’Or (oggi guidato dalla figlia e dal figlio) ne perdesse una proprio nell’ultima edizione della guida. Il Paese con il maggior numero di tre stelle Michelin è – ça va sans dire – è la Francia, con 28, mentre la città è Tokyo, con 11 (numero troppo generoso, secondo Campiverdi). Infine, la prima edizione della guida italiana uscì nel 1956 ma raccontava ancora solo una parte dello stivale, quello che andava “dalle Alpi a Siena”.
Il collezionista di stelle
Esistono tre precedenti edizioni del volume di Maurizio Campiverdi, una vera e propria enciclopedia dell’alta ristorazione mondiale con la storia dei 286 ristoranti tristellati dal 1933 al 2020. La nuova edizione che Manfredi Niccolò Maretti ha deciso di pubblicare è la prima con una veste grafica e un impaginato che (seppur ancora perfettibili) rendono finalmente giustizia ai tanti e preziosi contenuti che fanno la felicità di ogni appassionato. Le schede descrittive contenute sono frutto delle esperienze dirette dell’autore tranne le poche dove (con grande correttezza) compare il simbolo “N.V.” (non visitato). In appendice ci sono 30 storici menu tristellati (ne trovate alcuni in apertura), una piccolissima parte della sua personale collezione di circa 75mila pezzi, la più ricca al mondo secondo il Ministero della Cultura francese.