Io evito di parlare di come ho cominciato a fare la pasticciera. Quando me lo chiedono, rispondo sempre «Oh, quando ero all’università», e proseguo lanciandomi in una digressione su come ero costretta a cenare con ceci in scatola a causa della mia incapacità in cucina ma, anche, di quanto fossi disposta a lottare per un bignè. Queste bugie escono dalla mia bocca con una certa facilità, prima che io cambi abilmente discorso chiedendo cose come: «Hai poi riparato il tuo lavandino?», non senza una certa forzata insistenza. C’è del vero, però, in questa storia.
Qualunque bugiardo sa che una buona menzogna deve contenere un fondo di verità. Infatti, quando dico che ho imparato a usare il forno durante l’università, dovrei aggiungere che ho fatto domanda per partecipare a The Great British Bake Off una settimana prima di cominciare il corso di laurea triennale. Ho fatto domanda senza sapere nulla di come si fa lievitare una torta o si montano i bianchi d’uovo per fare le meringhe. Ho pensato che se avessi avuto un obbligo dall’esterno — qualcosa che mi costringesse a provare, migliorare e fare bella figura — ne avrei ricavato una spinta a imparare davvero. Andò proprio così. Preparai delle vatrushka russe ai lamponi ripiene di formaggio cremoso. Imparai a fare la pasta fillo stendendo l’impasto innumerevoli volte fino a renderlo sottile come la pagina di un libro. Passai ore e ore davanti al computer studiando tutti i blog di cucina per rubare ogni goccia di sapere che mi aiutasse a colmare la distanza tra le mie conoscenze amatoriali e l’abilità richiesta dal programma tv a cui volevo partecipare. Ce l’ho messa tutta. Sono riuscita a partecipare allo show. Ce l’avevo fatta.
Ma questo genere di sogno ha i suoi limiti. È per questo che faccio attenzione a raccontare la storia di come sono diventata una pasticciera, evitando toni troppo fiabeschi. Quando sei piena di sogni e aspirazioni, cerchi continuamente un senso di compiutezza che non riesci mai a raggiungere. Ti scapicolli in avanti, senza equilibrio, pensando sempre a quando finalmente arriverà il momento in cui avrai raggiunto «il successo». Il senso della vita sta nel riuscire a preparare l’impossibile torta opéra, o l’omelette norvegese, o la crema al burro meringata: quella cosa che un giorno tu arriverai a saper fare ad occhi chiusi. Ma quello che ti manca è il senso del presente, del qui e ora, che è intrinseco al lavoro di tutti i giorni. Quindi, ecco una ricetta che è impermeabile al sentimentalismo, alle mode e all’ambizione. È inequivocabilmente marrone, sostanziosa, perfino brutta — senza nessuna possibilità di miglioramento. A me piace questa normalità. Con ricette come questa non ho altra scelta che adeguarmi al ritmo cadenzato della preparazione: l’accurato taglio delle prugne, il suono dell’impasto mentre viene versato dolcemente nello stampo, la semplicità delle uova, dello zucchero e della farina. Non vago volentieri nella palude dei «se solo» e «un giorno». Io sono una persona pratica, limitata, già completa. Sto nella mia cucina, seduta placidamente davanti al forno. Desidero solo un pezzo di torta, nulla di più.