C’è un proverbio italiano – con varianti diverse a seconda della regione italiana – che recita più o meno così: “matti (o ubriachi) e piccoli, Dio li aiuta”. Con queste parole, Angela Piotti Velenosi riassume l’avventura enologica e imprenditoriale avviata 35 anni fa con il marito Ercole nella campagna picena, poco lontano dal bel centro storico di Ascoli con le sue cento torri.
Certo, immaginarli piccoli – oggi che la cantina conta 145 ettari vitati di proprietà più quelli in affitto, 40 dipendenti, circa 2.500.000 bottiglie prodotte ogni anno ed esportate in 52 Paesi, tra i mercati storici europei a quelli asiatici in rapida espansione – non è cosa facile.
Ma un pizzico di quella pazzia, o per meglio dire incoscienza, che li ha guidati agli inizi s’indovina ancora dal tono appassionato e diretto con cui questa donna schietta e volitiva, da sempre anima commerciale ma coinvolta in prima persona anche nelle scelte più vicine alla terra e alla materia viva, racconta la storia dell’azienda e i progetti futuri.
Vent’anni lei, abruzzese figlia di un grossista di scarpe, e venticinque Ercole, marchigiano nato in una famiglia che si occupava di grande distribuzione alimentare, all’epoca cercavano una strada da seguire in autonomia e hanno scelto il vino, prendendo in affitto dal suocero 9 ettari di vigna. Poca o nulla conoscenza tecnica, un territorio difficile da vendere – troppa la concorrenza di altre regioni ben più blasonate – e per di più un nome in etichetta, Velenosi, poco invogliante e che qualsiasi esperto di marketing avrebbe sconsigliato. «Io però all’epoca non pensavo a nulla di tutto questo: eravamo nella terra più bella del mondo e io avevo da sempre il commercio nelle vene. I numeri non mi hanno mai spaventata, o meglio non li ho mai tenuti troppo in considerazione e ho sempre pensato a fare, piuttosto», racconta lei.
La sfida principale era quella di riuscire a raccontare il Piceno nel bicchiere. Il grande successo di Pecorino e Passerina – all’epoca vitigni comprimari del trebbiano nella Doc Falerio dei Colli Ascolani – era ancora lontano dall’arrivare, il Rosso Piceno (altra Doc regionale, anche con la versione Superiore) non aveva ancora trovato grandi interpreti, con l’eccezione di Costantino Rozzi, storico Presidente dell’Ascoli Calcio, con la cantina Villa Pigna. «Il nostro obiettivo – prosegue Angela – era proporre vini più profumati e piacevoli, puntando soprattutto su trebbiano e sangiovese e cercando di interpretare le esigenze del mercato, cosa che facciamo ancora oggi con una gamma di etichette piuttosto ampia pensata anche per le diverse realtà in cui siamo presenti. Quello marchigiano è un territorio reso debole dai numeri troppo piccoli ma oggi il mercato sta cambiando e c’è voglia di scoprire cose nuove, di esplorare nuove zone».
E se oggi le Marche fanno ancora un po’ fatica a trovare il giusto spazio nelle carte dei vini dei ristoranti, il nome Velenosi è di certo tra quelli che compaiono più di frequente. Merito del lavoro fatto in questi 35 anni, in un percorso in ascesa ma non senza ostacoli e passi falsi. «Abbiamo sempre messo più passione che testa nelle nostre etichette, e alcuni dei nostri vini nascono da errori di valutazione», prosegue. Come le bollicine Gran Cuvée, Metodo Classico da uve pinot nero e chardonnay, nate dalla decisione di impiantare l’uva francese a bacca rossa per fare un rosso. Dopo diversi tentativi poco riusciti, la decisione di puntare sulle bollicine con tanto di viaggio a Epernay: «La prima annata fu una catastrofe, scoppiarono quasi tutte le bottiglie. Il secondo anno, pure. Chiunque si sarebbe fermato ma noi decidemmo di andare avanti, con l’aiuto dell’enologo Carlo Garofoli». Oggi i prodotti spumantizzati sono invece affidati a Cesare Ferrari, nome di riferimento del Franciacorta, mentre Attilio Pagli è l’enologo consulente che coadiuva il lavoro di Filippo Carli in cantina.
Da un riuscito lavoro di squadra sono nati negli anni vino come il Rêve, eccellente Pecorino frutto di vendemmia tardiva che affianca intensi profumi di fiori bianchi e frutta matura a una struttura importante ma non stucchevole, la Lacrima di Morro Rosso DOC Superiore, che con gli inediti profumi di rosa e violetta e la beva facile conquista soprattutto i palati asiatici, o il possente Roggio del Filare, blend di Montepulciano e Sangiovese dalla trama ricca e complessa e l’intrigante bouquet speziato, che è al momento l’etichetta più premiata della cantina.
Ma l’impronta dei vini Velenosi – sottolineata anche da bottiglie ed etichette di grande personalità, ognuna capace di raccontare una storia oltre che di attirare l’attenzione in enoteca – resta saldamente una questione di famiglia; una storia che ora trova continuità grazie all’ingresso in azienda di Marianna, la figlia minore di Angela ed Ercole, rientrata ad Ascoli dopo una laurea di taglio economico alla Bocconi e l’esperienza triennale in Svizzera, dove ha diretto alcuni negozi della catena internazionale Cave Nicolas. È lei adesso la responsabile marketing e controllo di gestione dell’azienda, mentre il fratello Matteo, enologo, per il momento sta proseguendo un percorso indipendente.
Angela la presenta con lo sguardo, apprensivo ma incoraggiante e pieno di fiducia, della mamma e dell’imprenditrice, forse ora più libera di seguire (nuovamente) il cuore e dedicarsi a progetti personali come il Verso Sera, nuova etichetta presentata a Roma in occasione di un bel pranzo curato dallo chef Francesco Apreda all’Idylio del The Pantheon Iconic Rome Hotel. L’ultimo nato di casa Velenosi è infatti un Montepulciano d’Abruzzo Colline Teramane DOCG 2017, speziato e complesso con una struttura possente e un tannino vellutato, frutto dell’ultima “follia”: 15 ettari e una tenuta nella sua regione d’origine, a Controguerra. «Per me quello abruzzese è un territorio ancor più magico di quello piceno, e questo è un po’ il mio vino del cuore, simile a come immaginavo il mio vino ideale da giovane. Potrei definirlo in un certo senso il vino della mia maturità». E se, a 55 anni portati con grazia e grinta, l’epoca del tramonto per lei è ancora lontana si capisce che il suo sguardo è orientato al futuro, dell’azienda e dei figli: «La mia mission, ora, è di farli innamorare del vino e della cantina quanto lo sono io».
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