Elisabetta Foradori: la lezione di un cammino controcorrente

Con l’integrità delle sue pratiche agricole e dei suoi valori mette d’accordo critica e consumatori.

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Ha mandato chiari segnali al mondo del vino sin dal lancio del suo Granato, ottenuto da uve teroldego, una varietà rossa autoctona del Trentino, dopo aver rimosso i cloni di vite industriali dalle vigne di famiglia per rimpiazzarli con quelli antichi e originali. La sua fama di paladina dell’heritage era già nota. Il padre, poco prima della sua scomparsa a causa di un tumore, quando lei aveva appena 10 anni, aveva tentato di convincere Elisabetta e sua madre Gabriella di non avere altra scelta se non vendere l’intera tenuta vinicola di Mezzolombardo. Le due donne, invece, contro ogni previsione e nonostante le difficoltà, hanno continuato a occuparsi delle terre di famiglia animate da una spinta al riscatto.

Elisabetta, in seguito, ha studiato Enologia e Agraria al vicino Istituto di San Michele all’Adige. Nonostante la prevalenza di studenti maschi, la solidarietà e il sostegno sviluppati con le altre tre giovani donne della sua classe le hanno permesso di acquisire una sicurezza che l’ha messa in condizione di affrontare ambiti professionali, quello enologico e quello agricolo, dominati dagli uomini. «Lavorare in un ambiente prevalentemente maschile al tempo mi ha arricchito, perché dovevo essere più preparata dei miei colleghi – spiega. Se ci si pone con chiarezza e un briciolo di umiltà e rispetto tutte le porte sono aperte. Anzi, direi che l’essere donna mi ha portato anche qualche bel vantaggio». È cresciuta in una famiglia in cui il lavoro della terra e la produzione di vino erano considerate attività intrinseca- mente femminili: «Anche mio padre aveva un animo spiccatamente femminile, accogliente e riflessivo. Non era un patriarca, anzi». Ispirata dagli insegnamenti di Rudolf Steiner e dal suo ex marito Rainer Zierock, ha cominciato a introdurre preparati biodinamici nelle proprie vigne a partire dal 2002, per poi estenderli ai frutteti, agli orti e all’allevamento.

Senza limitarsi al solo teroldego, ha continuato a coltivare il suo spirito ribelle acquistando vecchie vigne malandate di varietà nobili, come lo chardonnay, solo per ripopolarle con altri vitigni autoctoni quasi del tutto dimenticati come il Manzoni bianco e la nosiola. Foradori si è conquistata un posto di rilievo nel panorama vinicolo internazionale con la sua singolare capacità di mantenere al tempo stesso un ottimo rapporto con la critica e una vasta clientela, pur remando energicamente controcorrente. Grazie al suo personalissimo modello imprenditoriale ha compiuto passi importanti nel mondo del vino italiano, come imbottigliare ed etichettare vini single vineyard, o vinificare uve alpine in anfore di terracotta, o investire nella propria zona creando un consorzio di produttori delle Dolomiti e ospitando, nella sua tenuta, le prima manifestazioni dedicate al vino in anfora.

Riconosciuta come una delle voci più autorevoli nel campo dei vini naturali e appassionata ambasciatrice delle Dolomiti, è un esempio, per le produttrici di tutto il mondo, di come si possano esplorare nuove strade rimanendo fedeli alla tradizione. Nonostante i riconoscimenti ottenuti, mantiene i piedi per terra: «Non mi considero un’ispiratrice, ma semplicemente una persona che persegue degli ideali e che lavora di conseguenza. Certo, il lavorare con valori che sono legati alla conservazione della natura, alla dignità contadina e allo sviluppo sociale che una comunità agricola può generare, porta a lanciare messaggi diversi e forti. Chi ascolta può essere stimolato a riflettere e a porsi come agricoltore o consumatore su un piano diverso».