Dopo lunghi anni di oblio, fuori dalle rotte di gran parte dei vacanzieri che dal nord si riversano nella punta e il tacco dello Stivale in cerca di caldo e azzurro, negli ultimi anni la Calabria ha saputo far parlare di sé – in termini decisamente elogiativi – la stampa italiana e internazionale piazzandosi sulla mappa dei desideri di viaggiatori amanti di un po’ di avventura e bei paesaggi ma soprattutto di food traveller in cerca di mete non scontate. Accanto ai numerosi giovani (e meno giovani) chef che si sono finalmente fatti notare, sono diverse le realtà aziendali che raccontano belle storie d’impresa, di famiglia e di agricoltura. Che, da queste parti, vuol dire soprattutto agrumi ma anche vite e olivo: questa è l’Enotria, l’antica “Terra del Vino”, fin dai tempi della colonizzazione greca e dell’arrivo di Enòtro, principe arcade che sbarcò qui insieme al suo popolo di vignaioli.
Ma il tempo non passa invano. Alla quantità – per cui la Calabria è sempre stata in cima alle classifiche – si affiancano una qualità molto alta e una biodiversità importante. E se uno dei “problemi” (ma è anche e soprattutto una ricchezza) della Calabria è la sua conformazione stretta, lunga e aspra che rende difficile gli spostamenti, prendiamo una porzione del suo territorio e un nome tra i più noti del panorama regionale per raccontarne in piccolo – si fa per dire, come vedremo dai numeri – risultati e potenzialità.
Parliamo della Val di Neto, un’alternanza di pianure e colline a ridosso della costa jonica, che prende il nome dal fiume che l’attraversa (nasce nella vicina Sila, in uno scenario incantato) e la rende fertile e rigogliosa, terra ideale per far nascere grandi vini e grandi oli. E di Librandi, che dalla metà del Novecento è un nome di riferimento per il vino calabrese, e per il Cirò in particolare; che è poi quasi la stessa cosa, visto che questa denominazione – la prima Doc della Calabria, dal 1969 – abbraccia, oltre che i territori di Cirò e Cirò Marina, e in parte quelli di Melissa e Crucoli, in provincia di Crotone, una varietà di vitigni, lavorazioni e stili difficili da riassumere in poche righe.
Ma torniamo alla storia di famiglia, e al suo presente e futuro: fondata nel 1953 dai fratelli Antonio (scomparso nel 2012) e Nicodemo Librandi con l’imbottigliamento dei vini a base gaglioppo e greco bianco, oggi è guidata da Nicodemo insieme a figli e nipoti: Raffaele, Paolo, Francesco e Teresa. Oltre mezzo secolo di storia e di crescita costante, dall’acquisto – nel 1955 – dell’azienda Ponta Duca Sanfelice, all’interno di quella che sarebbe divenuta l’area della Doc Cirò, dove erano già stati impiantati dei vigneti da Raffele Librandi, padre dei fondatori, all’avvio, nel 1975, del nuovo stabilimento produttivo in Contrada San Gennaro, dove ha tuttora sede la cantina.
Nel 1983 debutta una delle etichette simbolo dell’azienda, il Duca Sanfelice Cirò Rosso Riserva, mentre nel 1985 i Librandi acquistano l’azienda Critone, a Strongoli, e nel 1988 escono le prime annate di altri vini storici: Gravello, Critone e Terre Lontane. Risalgono invece al 1997 l’acquisto dell’azienda Rosaneti – la più grande delle sei tenute attuali con i suoi 155 ettari, ospita anche il “giardino varietale”, una collezione di vitigni autoctoni che conta circa 200 varietà recuperate su tutto il territorio regionale e disposte in un vigneto dalla forma a spirale – e la decisione, all’epoca non scontata, di puntare sui vitigni autoctoni (oltre a gaglioppo e greco bianco, pure magliocco e mantonico che affiancano gli internazionali), anche grazie al supporto dell’enologo Donato Lanati, dall’anno successivo alla guida tecnica della cantina. Da lì, nascono ancora nuove etichette – dalla prima annata del Magno Megonio, inedita interpretazione del magliocco in purezza nata nel 1995 e presentata nel 1998, ai primi due spumanti metodo classico, Rosaneti e Almaneti, imbottigliati nel 2007 – e nuove acquisizioni, fino a contare oggi sei tenute (oltre alle tre già citate ci sono Pitaffo, San Biase, Brisi) e circa 350 ettari: 232 a vigna, 80 a uliveto e il resto bosco.
Ma ci sono anche le uve conferite da coltivatori selezionati e fidati, provenienti esclusivamente dalla zona della Doc Cirò, creando una rete salda e preziosa per la crescita generale del territorio e della viticoltura locale che ha portato, nel 2008, alla creazione dell’associazione “I Vignaioli del Cirò”, di cui fanno parte oggi 42 membri.
Il fulcro dell’azienda resta la produzione dei rosati, con il gaglioppo protagonista assoluto del versatile e fresco Cirò Rosato Doc e, accompagnato dal cabernet franc (per il 30%), del complesso ma equilibrato e gradevole Terre Lontane Val di Neto Igt, bella interpretazione della tradizione calabrese in chiave moderna.
«Abbiamo sempre investito sui rosati. Sono vini per noi essenziali che fanno parte della nostra memoria ancestrale, come produttori ma anche come consumatori – racconta Paolo Librandi –. Abbiamo cominciato sin dagli anni Cinquanta con il Cirò Rosato e in tutti questi anni abbiamo cercato di perfezionare sempre più la nostra produzione, dando vita ad un altro rosato, il Terre Lontane, che incarna al meglio l’identità e la tradizione della sua terra di origine parlando al contempo un linguaggio moderno e accattivante».
Ma lo sguardo è anche al futuro: dal gennaio 2020 saranno in commercio tre nuove etichette della linea Segno Librandi, che racchiudono il grande lavoro di ricerca, innovazione e recupero (con la selezione massale e clonale delle vigne) sui vini della Doc Cirò Rosso, Rosato e Bianco nel Cirotano, un bel modo per celebrare i 50 anni della nascita della Denominazione.
E di raccontare un territorio che merita di essere (ri)scoperto, nel bicchiere ma anche a tavola. Qui ad esempio, scendendo poco più a sud di Crotone, c’è il mare azzurro di Isola di Capo Rizzuto e anche (da maggio a ottobre) il bel resort a 5 stelle Praia Art, che ospita il ristorante 1 stella Michelin Pietramare Natural Food guidato dal giovane chef Ciro Sicignano. Da qui, ci si può dirigere verso la costa tirrenica per scoprire altre bontà locali, dal tonno – quello, lavorato ancora secondo tradizione, di Callipo a Pizzo Calabro – ai rinomati “tartufi” gelati fino alle cipolle di Tropea. La meta finale è appunto la cittadina arroccata sulla rupe a picco sul mare in provincia di Vibo Valentia, dove si può soggiornare (pure in inverno) all’elegante Popilia Country Resort e assaggiare il miglior pescato – anche quello “ritrovato”, pesce locale spesso negletto ma buonissimo – di questa sponda calabra al ristorante Lapprodo, il cui timone della cucina è saldamente nelle mani dello chef Agostino Bilotta. Ma, lungo la strada, vale la pena mettere in programma una sosta a Santa Cristina d’Aspromonte, in provincia di Reggio Calabria, per andare a trovare lo chef Nino Rossi al Qafiz, dove la trama gastronomica calabrese prende note inedite e contaminate.
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