I vini dell’Alto Adige, contrasti e sinfonie

Da un territorio circoscritto ma estremamente vocato e ricco di diversità nascono vini spesso capaci di stupire. E uno spumante che mette insieme caratteri diversi in un risultato armonico e affascinante

vini Alto Adige

Sulla bottiglia Jeroboam – ne sono state realizzato solo 189 esemplari in questo formato – decorata da una serigrafia firmata dall’artista Jochen Gasser, risalta un’armoniosa “S” che ricorda da vicino una chiave musicale. Incorniciata da un pentagramma con le note, può stare a rappresentare l’inziale di diverse parole: “Südtirol” come il territorio in cui nasce, “sette” come i produttori coinvolti, “spumante” come la tipologia di vino, “sinfonia” come l’idea alla base del progetto che vede sette vini diversi unirsi in un insieme armonico e melodioso.

Parliamo dello spumante ambasciatore dell’Alto Adige, vino con le bolle nato dalla collaborazione di tutte le cantine dell’Associazione Produttori Spumanti Metodo Classico Alto Adige – sette appunto: Arunda, Kettmeir, Lorenz Martini, Cantina Kaltern, Cantina San Paolo, Cantina Merano, Von Braunbach – a rappresentare l’animo frizzante della regione del Nord Italia famosa soprattutto per i suoi vini bianchi fermi. Cento litri a testa del proprio vino base spumantizzati (da Kettmeir) in un’unica cuvée che, grazie a un affinamento di 94 mesi sur lies, si fondono in «una melodia da bere, una vera sinfonia per il palato», per usare le parole di Gasser.

«Lo spumante ambasciatore è il risultato di una passione che ci accomuna e crediamo che ben rappresenti una delle eccellenze della produzione vinicola del nostro territorio, ovvero la tradizione del Metodo Classico con rifermentazione in bottiglia», gli fa eco il Presidente Sepp Reiterer. Insomma, un’idea simbolicamente potente ma anche dal risultato molto piacevole nel calice, che rappresenta efficacemente una realtà piccola ma interessante: sono 300.000 le bottiglie di spumante Metodo Classico prodotte annualmente in Alto Adige, con potenzialità di crescita notevoli.

Un ulteriore tassello del già ricco mosaico della vitivinicoltura altoatesina che racchiude in un territorio geograficamente circoscritto (e con una produzione che rappresenta circa l’1% di quella totale nazionale, ma estremamente valida e apprezzata) una grande diversità: sono circa 5.000 i vignaioli che lavorano 5.500 ettari vitati distribuiti in una sorta di microcosmo che va dall’ambiente alpino alle valli assolate, dai 200 agli oltre 1.000 metri, dai suoli calcarei dolomitici a quelli porfidici, in cui i vitigni autoctoni come il lagrein o la schiava trovano espressione tanto quanto quelli internazionali – chardonnay, riesling, Müller-Thurgau, pinot nero, cabernet sauvignon e altri ancora. «Difficile immaginare un altro territorio che possa offrire tutto questo in uno spazio così limitato, dando prova di un’espressione molteplice di altissima qualità», sintetizza efficacemente Eduard Bernhart, direttore del Consorzio Vini Alto Adige, in occasione del bel pranzo organizzato da Spazio Niko Romito a Roma, da poco riaperto con la nuova insegna “Bar e Cucina”, costruito intorno a vini rappresentativi di cantine e territori specifici, in annate diverse, per raccontare in maniera coinvolgente le tante storie dietro ogni bottiglia e la grande versatilità del “vigneto Alto Adige”.

In abbinamento, i piatti a cura di Gaia Giordano – chef executive del progetto Spazio – che mettono in risalto i sapori degli ingredienti primari in maniera incredibilmente nitida, nascondendo secondo la scuola di Romito, preparazioni complesse dietro a bocconi immediatamente godibili. Così, raccontati da Pierluigi Gorgoni – degustatore, docente della scuola di cucina Alma di Colorno e ambasciatore dei vini dell’Alto Adige – e da Daniele Galler (per la Cantina Bolzano) e Christoph Tiefenbrunner (titolare della cantina Tiefenbrunner – Turmhof Schlosskellerei), abbiamo visto il Riesling Praepositus dell’Abbazia di Novacella accompagnare con l’acidità quasi sferzante dell’annata 2017 la spigola marinata cotta al vapore con un’intensa salsa “aglio, olio e prezzemolo”; e con la concentrazione e la complessità dell’annata 2013 il baccalà mantecato con peperoni e capperi, in un insolito incontro tra Alpi e mediterraneo.

Il 2016 – annata tra le più felici in zona – del Terlaner Riserva Nova Domus della Cantina Terlano ha accompagnato con i suoi profumi prorompenti la strepitosa tagliata di rapa rosa arrostita, erbe e salsa di mandorle, in una vera e propria sfida azzardata ma interessante; mentre il 2011 – annata particolare, caratterizzata da un caldo intenso – ha sfoderato un carattere completamente diverso capace di accompagnare la rotondità terrosa del fungo cardoncello con maionese di patate, colatura di funghi e prezzemolo.

Davvero una sorpresa – per chi non lo avesse mai assaggiato prima – il Müller-Thurgau Feldmarschall di Tiefenbrunner: nasce in uno dei vigneti più belli d’Europa racchiuso da un bosco oltre quota mille, frutto dell’attento lavoro della famiglia Tiefenbrunner per individuare le altitudini più adatte per ogni vitigno. Luce e clima riescono a dare alle uve del vitigno spesso simbolo di (troppo) facile beva una concentrazione inedita, e ci si ritrova nel bicchiere un bianco dalla complessità notevole e decisamente affascinante. Capace di accompagnare in maniera perfetta le buonissime mezze maniche alla puttanesca (impreziosite dell’aroma del limone salato e del peperone crusco sbriciolato) con l’annata 2017, e gli gnocchi di patate cacio e pepe con la acidità e grazia citrina dell’annata 2011.

Bella prova anche per il Lagrein Riserva Taber della Cantina Bolzano: etichetta storica della cantina da un vitigno rappresentativo e da vigne vecchie, dal 2003 in poi affinato in barrique, nella versione 2011 è riuscito ad abbracciare efficacemente le squisite polpette di bollito alle tre carni con un sugo da scarpetta obbligatoria e cime di rapa, mentre quella 2016 – fresca e dal tannino deciso – ha fatto da ottima spalla per la robusta guancia di manzo brasata con mantecato di patate, che sembrava chiamare ambientazioni d’alta montagna.

foto di Francesco Capecchiola e Luciana Squadrilli