Milano (e l’Italia) non si fermano

Le misure di cautela per contenere la diffusione del virus e la paura alimentata dalla comunicazione allarmista rischiano di mettere in ginocchio il settore food. Le reazioni dei ristoratori e delle associazioni.

Milano Navigli

Sono oltre settanta – ma il numero aumenta di ora in ora, con l’adesione di sempre più insegne – gli imprenditori della ristorazione milanese che hanno deciso di reagire alla brusca frenata nei consumi e nella frequentazione dei locali e ai provvedimenti restrittivi indicati dalle istituzioni per evitare che uno dei settori più floridi dell’economia cittadina e nazionale (senza tralasciare il ruolo sociale e di convivialità, che in momenti difficili può offrire un supporto morale e concreto) sia compromesso in maniera difficilmente recuperabile.

Per questo due giorni fa è nata l’“Unione dei Brand della Ristorazione Italiana” – un’associazione di carattere temporaneo che rappresenta ad oggi circa 1000 attività della ristorazione per un totale di circa 10.000 lavoratori sul territorio – per dare un segnale di presenza e supporto alla città e alle istituzioni. Antonio Civita (di Panino Giusto) Nanni Arbellini (Pizzium) e Vincenzo Ferrieri (CioccolatItaliani), promotori dell’iniziativa, dichiarano: «Esprimiamo il nostro senso comune decidendo di tenere aperti i nostri locali, aderendo all’invito del nostro Sindaco Beppe Sala che richiama Milano al buon senso e invita a scongiurare atteggiamenti che possano generare eccessivo allarme, tra cui l’immagine di una città “spenta” in tutti i sensi, senza che ve ne sia l’effettiva necessità. Con i nostri colleghi abbiamo stabilito di devolvere un sostegno economico alle forze volontarie in campo, rappresentate da Associazioni riconosciute, che stiamo definendo in queste ore perché Milano è una città viva… e una città viva è una città che reagisce».

Il giorno prima anche gli Ambasciatori del Gusto – l’associazione nata per valorizzare e rafforzare la cultura agroalimentare ed enogastronomica Made in Italy, presieduta da Cristina Bowerman – avevano condiviso un appello alle istituzioni firmato da oltre 80 associati, per chiedere interventi immediati relativi agli adempimenti tributari a carico delle imprese del settore della ristorazione nelle regioni colpite da covid-19, in modo da limitare i danni al comparto: “Il timore incontrollato della popolazione circa il contagio minaccia infatti la sopravvivenza della nostra categoria che, svilita dallo sviluppo ingiustificato della fobia e senza margini di guadagno, resta comunque vincolata al rispetto degli obblighi fiscali. Siamo esposti ad un rischio senza precedenti. Il nostro appello è quindi per un’azione urgente e quanto mai concreta. Chiediamo ai Ministri competenti di abolire gli adempimenti tributari nelle regioni colpite da covid-19, ai Presidenti di Regione e ai Sindaci dei territori coinvolti di concentrare programmi di defiscalizzazione e decontribuzione rivolti alle imprese e ai titolari di partita Iva della filiera; la possibilità di sospensione dall’impiego per i propri dipendenti, per tutto il periodo di interesse, prevedendo l’accesso ai fondi di disoccupazione”.

Nel frattempo, i toni adottati da gran parte della stampa si stanno abbassando e il panico sembra più circoscritto mentre, tra i “rimedi” all’isolamento e alla permanenza più o meno forzata in casa, il food delivery gioca un ruolo importante.

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