“Libertà è partecipazione”, diceva una bellissima canzone di Gaber. E la storia di Beppe Rambaldi è la storia di un cuoco che partecipa dei suoi tempi e della sua comunità, che mette assieme tradizione e modernità in un gioco potenzialmente infinito. La bella storia di un uomo che sa vivere la contemporaneità, interpretandola.
Liberatosi – per così dire – della gabbia imposta dalla cucina stellata (Rambaldi è stato per anni il braccio destro di Davide Scabin), l’idea è stata quella di creare un ristorante che non c’era, un esercizio di cucina pura, a suo modo colto e profondo, che non si limita al recupero “vintage” dei piatti della tradizione ma che invece esplora ricette e piatti sostanzialmente dimenticati per ridisegnarli daccapo, con gli insegnamenti appresi dalle grandi tecniche.
Si potrebbe parlare dunque, più che di tradizione di classicità, più che di territorio di territori, perché Rambaldi prepara cappelletti ferraresi, condisce alici alla piemontese, ridà vita a panna vodka e salmone o prepara pot au feu alla francese. Nella sua casa-cucina in Val di Susa, a Villar Dora, lo spartito comprende note suonate nella valle stessa, da piccoli agricoltori o allevatori, ricette dalla più sontuosa tradizione del Piemonte – terra di adozione – ma anche tante da quella, originaria, dell’Emilia Romagna. Così come spunti da tutto il mondo, Francia in testa, perché la scuola di una vita è anche quella della grande cucina d’Oltralpe. La cosa bella è che qui nulla è fermo o museale, tutto è invece riletto e arrangiato secondo l’ispirazione del momento e la suggestione dei tempi. Regole di base: concretezza e gusto, perché i piatti sono serviti in maniera semplice, senza orpelli («mi sono potuto liberare un po’ dai vincoli della forma della cucina che facevo prima» – dice Beppe) e sono sempre ben tarati con la bussola sul sapore: tanto gusto.
L’unica concessione all’estetica è quella dei contenitori, perché lui è un appassionato di mercatini e antiquariato, e le sue stoviglie (rigorosamente miste) spaziano dagli anni Venti fino agli anni Sessanta, con tanto Ginori e Laveno. Bellissime e perfette per i suoi piatti, ridanno vita ad atmosfere (quelle sì, un po’ vintage) da casa borghese della nonna. Comprese le straordinarie zuppiere e alzate in ceramica. Unica concessione alla modernità sono le posate e qualche bicchiere. Si può cominciare con le acciughe, servite sott’olio accompagnate da uova sode e tre quattro tipologie di patate (perché questa valle è patria di un’infinità di varietà del tubero) e, a parte, da burro, panna acida, pane di Mompellato, bagnetto verde e bagnetto rosso. Un “must” per gli amanti del genere. Si può proseguire con le cervella con le cipolle e poi con regali cappelletti o ancora con il ragù alla ferrarese (che poi sarebbe un ragù bolognese ma guai a dirlo a un ferrarese!).
Se vi sono piaciute le acciughe non potete mancare l’Uovo di Vale (prodotto da apicoltori che si sono messi a fare un allevamento di galline che però mangiano anche miele), servito con pan brioche al burro, un po’ di cavolo nero, olio e cipolla caramellata e irrorato con tè al gelsomino. Oppure l’anguilla con il carpione (che non è in carpione) o l’agnello savoiardo di Giulio Raseri. Ma di sicuro bisogna chiudere con la zuppa inglese, liberandosi dalle ansie da eccesso calorico.
CUCINA RAMBALDI
Via Sant’Ambrogio, 55
Villar Dora (TO)
Tel.: 011 0161808
Prezzo medio: 45€ (a pranzo formula lavoro a 15€)
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