Era il 1997 quando Teo Musso, all’epoca un giovane birraio che aveva da pochi anni iniziato a brassare nel suo brewpub piemontese nato (tra i primissimi in Italia) a Piozzo, in piena terra di grandi vini, decise di provare a fare qualcosa fino ad allora mai tentato: mandare 500 bottiglie delle sue “ammiraglie” (la chiara Isaac e l’ambrata Super) a una lista di ristoranti della penisola, per provare a far nascere negli chef l’interesse verso questo prodotto – fino ad allora relegato a pub e pizzerie – e i possibili abbinamenti con la loro cucina. Sono trascorsi oltre vent’anni, nel mentre la birra artigianale italiana ha conosciuto un vero e proprio boom (soprattutto tra il 2010 e il 2016) ed è entrata nelle carte e nei piatti dei ristoranti e nei concorsi gastronomici, per poi tornare a essere soprattutto una bevanda da estimatori, mentre le pizzerie scoprivano le bollicine e al tavolo arrivavano cocktail e infusi vari.
Teo Musso, però, non ha mai smesso di considerare la birra – sempre più legata alla terra e a un concetto “agricolo”, quella di Baladin, dall’uso di orzo coltivato in proprio ai primi campi sperimentali di luppolo – un prodotto gastronomico, su cui sperimentare nella ricerca di aromi e sapori e con cui divertirsi ad accompagnare piatti e ricette non banali.
Nasce così Opera, l’ultima creazione del birrificio piemontese: una birra insolita tanto per il profilo sensoriale quanto per la metodologia di produzione (e per i personaggi coinvolti). Il nome si riferisce al progetto, avviato due anni fa da Musso e Andrea Bezzecchi, esperto di fermentazioni acetiche e anima dell’Acetaia San Giacomo di Novellara, per avviare un’acetaia e un birrificio nella Casa di Reclusione di Milano Opera creando un prodotto comune. Messo in pausa dalla pandemia, era comunque già partito con una fase di ricerca e sperimentazione il cui frutto è adesso in bottiglia.
Mettendo il naso nel bicchiere – possibilmente un Teku, il calice da degustazione ideato proprio da Teo insieme all’esperto Kuaska, al secolo Lorenzo Dabove, per esaltare le caratteristiche delle birre – si avverte una complessità non comune, con note che vanno dalle fragoline di bosco e frutti rossi ai datteri, fino allo zenzero candito e alle prugne umeboshi; per poi sfociare, dopo qualche tempo nel bicchiere e con qualche grado in più, nelle note tostate e vanigliate tipiche delle birre scure e “strong”. All’assaggio si percepisce, dopo l’ingresso dolce, un’acidità marcata ma elegante che dà grande freschezza, piuttosto diversa da quella delle birre “sour” come i Lambic o le Gueuze della tradizione belga. Inutile cercare, però, uno stile in cui incasellarla: la base di partenza è la Elixir – acclamata Belgian Strong Dark Ale di Baladin – cui viene aggiunto, nella fase finale di fermentazione, dell’aceto. Non uno comune, però, ma quello realizzato con metodo tradizionale (o “ancestrale”, se volete, basato sul lento lavoro di acetobatteri “nobili”) da Bezzecchi, partendo proprio da un’altra birra di Baladin, la Open Gold (American Pale Ale), di cui vengono smussate le note amare date dal luppolo (che nelle birre di Piozzo sono comunque sempre piuttosto contenute).
«È l’unica birra Baladin che non fa rifermentazione in bottiglia», spiega Musso addentrandosi nei dettagli tecnici. «L’aggiunta dell’aceto, che abbassa la gradazione alcolica della birra di partenza scendendo dai 10% vol iniziali a 8,5, avviene a due giorni circa dal termine della fermentazione alla temperatura di 25°C». In questo modo l’anidride carbonica prodotta durante il processo fermentativo va a saturare il tino di fermentazione e dunque inibisce la crescita degli acetobatteri presenti nell’aceto “bloccando” una seconda fermentazione acetica che, se lasciata incontrollata, porterebbe a un’acidità estrema. Il risultato è invece una birra “warming”, avvolgente e morbida ma non stucchevole, con un’effervescenza lieve ma presente; il consiglio è di servirla a una temperatura di circa 10-12°C (dunque non ghiacciata) e, dopo averla assaggiata, lasciarla anche a lungo nel bicchiere senza paura che ne svaniscano gli aromi, anzi apprezzandone ancor di più la complessità e l’evoluzione.
E qui si arriva al tema degli abbinamenti gastronomici. Le possibilità sono molteplici, come dimostrano gli spunti forniti dai partecipanti alla tavola rotonda online organizzata per introdurre la birra alla stampa; in attesa della presentazione ufficiale sulla pagina Facebook di Baladin in programma lunedì 22 marzo alle 18.30, nella prima giornata della Italy Beer Week, evento diffuso che quest’anno si svolgerà forzatamente online.
Andrea Bezzecchi resta “territoriale” suggerendo di accompagnarla al cotechino o in generale al carrello dei bolliti, mentre il beer sommelier Simonmattia Riva – cui si devono le note sensoriali citate in precedenza – propone una cheesecake con fragoline di bosco, ma sottolinea anche l’affinità con la mostarda di Cremona. E se a noi le sue indicazioni “orientali” suggeriscono di sperimentare con un’anguilla laccata alla giapponese, lo chef Gennaro Esposito – che apprezza soprattutto la sapidità che caratterizza la bevuta e in generale gli aceti dell’Acetaia San Giacomo, e vi ritrova anche il sapore antico delle ciliegie sotto spirito – spariglia le carte in tavola indicando tanto un piatto di spaghetti salsati ai frutti di mare quanto un tiramisù (puntando sulle note che emergono a bicchiere fermo). E soprattutto definendola «Una birra che ti fa compagnia nei momenti difficili, da avere a portata di mano quando si litiga con la propria moglie». O marito, va da sé.