La tradizione della tavola piemontese ha molte facce e una di queste ha il volto dell’intramontabile fritto misto. Un piatto contadino, che nasce dall’arte del non spreco e in cui frattaglie e interiora sono sempre state protagoniste. Rognoni, animelle, cervella, testicoli, la fricassà nèira (il fegato) o quella bianca (i polmoni) non sono che alcuni degli elementi di una portata un tempo unica, ricca e di sostanza che era accompagnata da pezzi di carne, salsiccia, verdure e, nella versione dolce, da fettine di mela e semolino. Proprio la caratteristica di essere composto da elementi salati e dolci rende il fritto misto piemontese un emblema di sapori contrastanti che si differenzia molto da altri fritti regionali. Le parti povere degli animali che ne raccontano da sempre l’esecuzione, fanno pensare a un’origine molto lontana, a tempi di ristrettezze alimentari in cui comunque non mancavano occasioni di festa: la macellazione del maiale era una di queste e riuniva la famiglia intorno alla tavola.
Tra le maggiori estimatrici del fritto misto c’è Mariangela Susigan: lo prepara da 43 anni tutti i giorni, tranne che nel mese di agosto. È lei alla guida del Gardenia di Caluso (Torino), il ristorante che sorge nella patria dell’Erbaluce Docg e che dal 2000 detiene la stella Michelin. Qui siamo in un punto di passaggio obbligato verso la Valle d’Aosta, ed è per questo che il fritto misto resta sempre in carta, must amato da liguri e lombardi diretti in montagna. Quello del Gardenia è, ovviamente, sia dolce che salato. E così filone di vitello (midollo della schiena), cervella, salsiccia, bistecca di vitello, costoletta di agnello e piedino di maiale (in piemontese batsuà) vengono accompagnati da verdure come finocchi, asparagi, melanzana e carciofi, ma in primavera anche da salvia, borragine e fiori di zucchina. In stagione la pera Martina è cotta in vino rosso e spezie, così come le pesche preparate con una base di vin brulé, ma nella frittura dolce capeggiano anche l’amaretto e il semolino.
«Ci sono dei fondamenti di tecnica – spiega Susigan – da seguire per la riuscita di un buon fritto misto piemontese. In primis occorre usare un olio che tenga il punto di fumo a 180° gradi: quelli di semi di arachide e di girasole, seppur più amarognolo, vanno benissimo. Io utilizzo la friggitrice elettrica – prosegue – cambiando l’olio tutti i giorni: questa accortezza mi consente di usarlo per ogni pezzo senza il rischio che rilasci sapore». Il fritto misto piemontese, in versione vegetariana e in cono da passeggio, è poi preparato da Susigan (fino a 500 porzioni al giorno) durante numerosi eventi, come emblema del suo street food itinerante.
Altro elemento fondamentale per la riuscita di un buon fritto misto è l’impanatura: «Tutte le carni e le verdure seguono la panatura all’inglese che realizzo con semola di grano duro rimacinata, uovo e pan pesto. Servono però un paio di accortezze: le verdure devono essere molto asciutte e tutto va fritto velocemente per evitare che inumidisca e assorba olio. Il semolino – prosegue – lo impano nel pan grattato, mentre mele, pere e amaretti in una pastella realizzata con farina 00, latte, uovo, lievito per dolci, grappa, un po’ di zucchero e un pizzico di sale».
Di scuola diversa è un’altra grande donna della ristorazione piemontese: Elide Mollo, che dal 1983 è alla guida del ristorante stellato di famiglia, Il Centro di Priocca (Cuneo). In quel Roero dalle rocche imponenti che nascondono reperti fossili, il ristorante ha proprio nel fritto misto uno dei suoi simboli: si serve da fine settembre a fine aprile, ma è tra gennaio e marzo che il ritmo diventa incalzante. «Il fritto misto – spiega Mollo – cambia in base alla stagione e riserva di volta in volta alcune varianti». Immancabili la carne di maiale e di agnello, tutti i tipi di frattaglie e abbinamenti ormai consolidati: batsuà e semolino; agnello e cavolfiore; grive e formaggette (Toma di Langa di mezza stagionatura); milanese e subric (bistecca impanata senza osso); salsiccia e finocchi; fegato e amaretti; filetto e zucchine; cervella e carciofi; filoni e melanzane. «Ci sono parti – prosegue – che occorre preparare prima come il piede del maiale che va cotto quattro ore e poi pulito e disossato, o cervella e filoni che sono da far sbianchire». Quando si trovano, al fritto misto si aggiungono creste e lumache, oltre alla frittura dolce: arancia, mela e pera passate in pastella. «Noi utilizziamo padelle di ferro e, in base ai prodotti e alle pezzature, impaniamo con farina e pan grattato o grissini. Usiamo sia l’olio di semi che quello di oliva e in alcuni casi anche il burro: il segreto è cuocere tutto in olio separato che va mantenuto caldo ma in modo non eccessivo per evitare che si dori troppo l’esterno e il calore non penetri bene nell’interno».
Sui fuochi del Centro di Priocca ci sono padelle diverse per le diverse fritture, tutte gestite contemporaneamente con l’abilità di chi questo mestiere lo conosce bene. «Dopo la cottura – aggiunge Mollo – scoliamo il fritto sulla carta assorbente, lo saliamo, lo mettiamo nei piatti e lo portiamo in tavola insieme a salse di nostra produzione come quella di peperoni, il bagnetto verde e quello rosso o ancora la mostarda di uva nebbiolo. Ogni piatto è composto da quattro pezzi e arriviamo anche a ventiquattro portate». Dopo il terzo assaggio, c’è spazio per un intermezzo con un’insalata di misticanza e frutta condita con vinaigrette, per pulire e rinfrescare la bocca. «L’olio per la friggitura va distinto – prosegue – in base a cosa andremo a preparare: quello di semi ad esempio va bene per batsuà e agnello, quello di oliva per il semolino, quello di semi di arachide lo utilizziamo per i cavolfiori. Nei tagli di carne cerchiamo di inserire rane e lumache e, in stagione, anche asparagi, fiori di acacia e zucchine in pastella». Fondamentale è poi l’impanatura: «Il batsuà è preparato con farina, uovo e grissini, mentre il semolino viene passato nel pane pesto».