Quando, nel 1982, Pino Daniele pubblicava nel suo album Bella ‘Mbriana la canzone Tutta n’ata storia, si riferiva al suo rapporto con gli Stati Uniti, che lui (come tutti, del resto) a quel tempo vedeva come una sorta di terra promessa e grande fonte d’ispirazione musicale. Sapeva, però, che la sua era e restava una storia molto diversa, legata alle sue origini e alla sua vita.
Vi pare troppo traslare tutto ciò all’odierna scena gastronomica di Napoli? Forse sì, ma qualche elemento in comune c’è. Dopo decenni – secoli – di orgogliosa chiusura nelle roccaforti della ricca e gloriosa tradizione locale, oggi la città sembra pronta ad aprire le sue vedute e le sue frontiere, lasciandosi ispirare da altre abitudini e altre culture senza per questo rinnegare la sua storia. A partire dal primo pasto della giornata, in cui le opzioni vanno oltre la scelta tra sfogliatella riccia e frolla o cornetto “panoso” (quello della tradizione ischitana, l’esatto opposto del croissant super sfogliato e altrettanto buono) e dal rito del caffè.
Breakfast gourmet
Una delle buone notizie è che anche in napoletani stanno iniziando ad apprezzare la colazione lenta e ricca, seduti a un (bel) tavolo, magari con interessanti incursioni salate a spezzare il dolce monopolio del repertorio locale. Tra i primi a proporre una nuova formula è stato il Luminist, il cafè e bistrot guidato dallo chef Giuseppe Iannotti al piano terra del complesso museale delle Gallerie d’Italia ospitato dal palazzo che fu la sede storica del Banco di Napoli: fin dall’inizio, qui accanto a una vasta scelta di lievitati “cosmopoliti” – che oggi includono cinnamon roll, pain suisse crema e cioccolato, cruffin e maritozzo affogato al caffè – è stata inserita la carta delle uova, che con spirito glocal propone omelette e uova alla Benedict con erba cipollina e salmone affumicato, uova strapazzate con la bufala e le uova in purgatorio (con sugo di pomodoro ed erbe) della tradizione; mentre la domenica il brunch – che annovera anche pancake, croque monsieur e l’English breakfast completo – si può fare anche sul rooftop, dove si trovano il cocktail bar Anthill e il ristorante 177 Toledo.
Bella novità è la proposta di ToLive, “luxury lounge cafè” – come recita l’insegna completa – che ha portato tra gli eleganti palazzi della residenziale collina di Posillipo una ventata di aria fresca gastronomica: tra il grazioso dehors e il curato spazio interno con libreria e sala privata per cene e piccoli eventi, il menu della prima colazione alterna brioche “col tuppo” e croissant sfogliati, crostate e uova, cookies e squisiti cornetti all’ischitana da farcire al momento con creme e confetture, da accompagnare con spremute fresche e caffè e cappuccini ben fatti.
E se a sdoganare anche l’abitudine della prima colazione con vista in hotel ci aveva pensato il Renaissance Naples Hotel Mediterraneo (del gruppo Marriott) con il ricco buffet proposto anche agli ospiti esterni sul Roof Garden D’Angiò all’11esimo piano, chi ama il genere deve assolutamente concedersi l’esperienza sul Rooftop Garden Le Pavillon del de Bonart Naples, Curio Collection by Hilton. Tra opere d’arte contemporanea – che impreziosiscono tutti gli ambienti dell’albergo in un bel progetto che coinvolge gli artisti locali più rappresentativi mettendo in dialogo il patrimonio culturale della città e la sua vocazione alla modernità – e una vista spettacolare sul golfo e i diversi quartieri partenopei, qui si può scegliere tra Continental, American o Balanced Breakfast, attingendo anche alle proposte dolci e salate (a cominciare dalla mozzarella di bufala) del buffet, oppure optare per una delle voci della carta: dall’avocado toast con salmone scozzese affumicato alle omelette, passando per i pancake con sciroppo d’acero e frutti rossi e il delizioso French toast alla curcuma e arancia con frutti rossi.
L’avanzata delle bakery
Le note burrose della boulangerie e viennoiserie di stampo francese e quelle speziate della bakery d’ispirazione nordica possono sembrare quanto di più lontano ci sia dalla tradizione e dalle abitudini napoletane (ma ne siamo poi così sicuri? Pensiamo al pisto, inebriante mix di spezie dolci che profuma i classici dolci natalizi partenopei). Eppure, con un po’ di ritardo rispetto ad altre città italiane, anche Napoli ha accolto con entusiasmo l’abitudine di iniziare la giornata con pain au chocolat, croissant al burro e bun speziati.
Se già da qualche tempo almeno Posca – grazioso bistrot a Port’Alba, nel cuore del centro storico – sforna a prima mattina cinnamon roll e Posca rolla alla crema, oltre a French toast, waffle, carrot cake e tartellette, la nuova frontiera della bakery d’ispirazione europea sembra essere il quartiere Vomero. Qui, a giugno 2024 ha aperto Cubo Bakehouse: piccolo forno – così ci tiene a definirlo Giovanni Coppola, giovane cuoco napoletano che dopo anni di esperienza in cucine stellate ha deciso di dedicarsi alla panificazione e ai lievitati – in cui 30 mq sono dedicati al laboratorio e 20 al banco con angolo caffè e qualche appoggio per chi si vuole fermare per mangiare sul posto pain au chocolat, pain suisse, cinnamon roll, croissant sfogliati (anche nell’immancabile versione cubica), veneziane e pan gocciole, accompagnati da un buon espresso specialty in cialde estratto con una macchina professionale.
Partiti con una produzione di circa 40 pezzi al giorno, grazie al passaparola – anche social – e a una proposta varia che annovera anche “special” del giorno o di stagione a base di frutta e ortaggi di una piccola azienda biologica locale, oggi da Cubo si sfornano quotidianamente fino a 450 pezzi che registrano il sold out, tanto che vanno prenotati online in anticipo indicando l’orario di ritiro. «Siamo riusciti a convincere i napoletani a uscire dalla loro comfort zone, grazie alla nostra proposta e all’ambiente che invita a socializzare e a dedicare qualche minuto in più alla colazione. Abbiamo una clientela abbastanza variegata, formata in primis da chi è abituato a viaggiare ed è curioso verso le abitudini diverse dalle nostre», racconta Giovanni Coppola. Forte delle esperienze con chef come Georges Blanc, Quique Dacosta e David Muñoz (e poi soprattutto di quella con Giovanni Solofra e Roberta Merolli al Tre Olivi di Paestum) e dell’attenzione nordica ai fermentati, il cuoco-fornaio impasta e cuoce anche baguette, focacce e il classico “pane cafone” a lievitazione naturale della tradizione campana, arricchito appunto con ortaggi o anche con l’albedo di limone fermentato – ormai un signature, all’insegna del zero waste – così come il rugbrød, tipico pane scandinavo in cassetta ideale per i “panini aperti” danesi, a base di farina biologica di segale coltivata in Cilento e macinata su richiesta.
A poca distanza, accanto all’ospedale Santobono, guarda soprattutto alla scuola francese Memè Boulangerie. Aperto a metà dicembre 2024, mette insieme passioni ed expertise di famiglia: quella per la viennoiserie di Rosaria Scotti, che ha lasciato il suo impiego nel settore della comunicazione per studiare e perfezionarsi con maestri come Loris Oss Emer, Omar Busi e Armando Palmieri; quella del figlio Vittorio, cuoco formatosi in Francia e con un’esperienza decennale alle spalle, ma sempre più attirato dalla panificazione con la spalla del collega Giovanni e il supporto del know-how del pizzaiolo e panificatore cilentano Valentino Tafuri; e quella del nipote Ivan Passera, esperto del settore alberghiero attualmente in Australia, che si occupa soprattutto della gestione con un occhio alla sostenibilità (che sia ambientale, economica e umana).
Anche qui, gran parte del piccolo ma accogliente spazio è occupata dal bancone, che accoglie diverse proposte da asporto durante la giornata: da pain au chocolat, croissant sfogliati, cinnamon roll, girelle ai frutti rossi e la squisita treccia con crema all’arancia e zenzero per la colazione a focacce ripiene e ciabattine (e su ordinazione i buonissimi croissant con farciture salate) per il pranzo, che presto saranno affiancate anche da qualche piatto di “comfort food”. Tutto il giorno, fino alle ore 18, ci sono anche gli ottimi pani – dal multicereali a quello con curcuma, pepe e semi di sesamo o all’Urban a base di farina tipo 1 – e i cookies. E anche qui, le proposte della prima colazione sono completate, per chi vuole fermarsi in maniera veloce ma non arrangiata, da un buon caffè estratto con una Cimbali professionale: «Vista la cura che mettiamo nella produzione, ci sembrava doveroso dare attenzione anche al caffè», spiegano i tre.
La rivincita del caffè napoletano
A proposito di caffè, anche qui la città fa registrare un’evoluzione interessante. Ormai messa in dubbio – in maniera più o meno accurata e corretta, ma in gran parte veritiera – la superiorità della tradizione partenopea, basata spesso su miscele a base soprattutto di Robusta di dubbia qualità ed estrazioni spinte, c’è chi prova ad aprire anche in questo ambito le vedute degli abitanti (rendendo felici expat e turisti stranieri poco avvezzi all’amaro) e chi lavora per dimostrare che un approccio moderno e realmente incentrato sull’eccellenza sia coniugabile con la tradizione napoletana.
Sempre al Vomero, non è ormai più una novità la proposta di Ventimetriquadri: minuscolo ma grazioso locale dedicato al caffè di stampo specialty (vezzi inclusi, come il servizio di alcune estrazioni nel calice da vino per esaltarne gli aromi) con miscele e origini pregiate di torrefazioni nazionali e internazionali come Ditta Artigianale, Gardelli Bugan e La Cabra, che possono essere accompagnati dalle proposte dell’all day brunch come pancake, crostate vegane, energy bowl, avocado toast e uova.
Ha due sedi nel centro storico della città l’insegna It’s Cafè & Bistrot che a vini, cocktail, aperitivi, piatti semplici, sfogliatelle e torte affianca una grande attenzione a tazze e tazzine, a partire di chicchi che vengono selezionati direttamente dai produttori e tostati in proprio, ottenendo miscele e monorigini che vengono estratte con diversi metodi ma sempre con grande cura. La miscela della casa alla base dell’Espresso Nap-less prevede 30% Arabica e 70% Robusta con tostatura medio-scura, in omaggio alle abitudini locali, ma ci sono anche l’Harmony (60% Arabica e 40% Robusta) o lo Specialty 100% Arabica da singola piantagione, disponibile pure in versione Chemex, V60, French Press e Drip Coffee e pure un buon decaffeinato lavato ad acqua. Mentre il menu della caffetteria prosegue con diverse proposte arricchite da creme, spezie o latte Nobile, e dalle versioni fredde che vanno dal cold brew all’Iced Latte Reverse (crema di latte e mousse di caffè) oltre che dai cocktail a base espresso.
Tra le diverse micro-torrefazioni cittadine e regionali che si stanno facendo notare – vedi Sansone, in città, o Costanzo Specialty Coffee a Frattaminore – spicca per qualità e “attitudine” quella targata Diaz, in via dei Tribunali a due passi dall’ingresso di Napoli Sotterranea. Dietro ci sono i fratelli Andrea e Luigi Grieco che, complice la pandemia e la loro curiosità verso questo prodotto che li ha spinti a studiare e ad approfondire con corsi e viaggi rispettivamente il mondo della torrefazione e della caffetteria, hanno trasformato il bar di famiglia (in precedenza già ampliato negli spazi e con una proposta da bistrot) in un piccolo tempio del caffè di qualità, mantenendo ben salde – ma aggiornate – radici nella tradizione partenopea. «Vogliamo proporre un’altra idea di caffè napoletano, basato sulla selezione di una materia prima di alta qualità e con una tostatura non eccessivamente scura, che non porti con sé aromi poco piacevoli di affumicato o cenere», spiega Andrea. «E soprattutto, vogliamo che il nostro caffè diventi lo spunto per parlare della miscela, per rendere partecipi le persone di quello che c’è dietro alla tazzina».
Così è nata la miscela Espresso Diaz Napoli (70% Arabica e 30% Robusta, usando quella di origine India Kaapi Royale e Messico dagli aromi di cioccolato e spezie e l’amaro piacevole), ideale per ottenere il tipico corpo del caffè napoletano con la moka, ma pure l’Espresso Diaz 100% Arabica e le monorigini che si prestano anche all’estrazione con V60, French Press e Kalita. E, perché no, pure con la “cuccuma” napoletana, che dopotutto è un sistema a filtro e rende ancora più suggestivo il rito del caffè a tavola, anche del grazioso dehors.
Anche qui non mancano le varianti di caffè freddo, di espresso con spezie e creme dolci come nocciola, pistacchio o cannella – «Anche quello fa parte della classica caffetteria napoletana, e la rispettiamo scegliendo creme e paste di alto livello», sottolinea Andrea – e i cocktail, al caffè o meno, per l’aperitivo. La prima colazione resta legata alla tradizione con cornetti classici, sfogliatelle ricce e frolle, pastiera e babà. Questi prodotti arrivano da un laboratorio di zona, ma presto saranno affiancati da qualche laminato di stampo francese.
I caffè di Diaz Microtorrefazione si trovano anche da Minimo Coffee Workspace, poco distante da piazza del Gesù: piccolo e semplicissimo locale dall’atmosfera accogliente e rilassante, nasce dall’idea di sfruttare durante il giorno una sala a parte dell’adiacente bar e birreria Blind Pig mettendo a disposizione degli avventori un tavolo comune, la connessione wi-fi per lavorare e un piccolo banco con la macchina del caffè (ma anche qui si può scegliere tra espresso, V60 e cuccumella) e qualche snack dolce e salato, da cornetti e pancake a bagel e instant noodles. Ma a guardar bene c’è anche la carta dei Gin Tonic, per chi non si fa problemi a lavorare con spirito un po’ più allegro, e il piccolo spazio ospita anche intrigantissime serate culinarie con excursus tra Giappone, Perù e Messico e interessanti workshop multidisciplinari. Il posto che mancava a Napoli, non solo per la prima colazione.