Solamente sette grandi tavoli con venti coperti totali, una sala dal design contemporaneo che con le sue grandi vetrate incuriosisce i passanti, più un’altra sala più intima dove sono visibili le oltre 600 etichette che contraddistinguono la cantina. Siamo alla Taverna di Bacco, ristorante inaugurato nel 2015 dalla famiglia Villani appena fuori le mura del borgo medievale di Nettuno, cittadina di quasi 50mila abitanti che, insieme ad Anzio, è una delle tappe gastronomiche più interessanti del litorale laziale a sud di Roma. Il nome dell’insegna non è casuale: «Quando abbiamo preso il locale eravamo indecisi sul nome, poi scavando nella pietra (che da questi parti è presente sin dall’antichità, nda) abbiamo trovato incastonato un volto di Bacco in terracotta. Così abbiamo chiamato il nostro ristorante omaggiando il Dio del vino, anche se sin dall’inizio del progetto la nostra idea era offrire una vasta scelta di vini italiani e internazionali».
A parlare è Lucia Villani, classe 1994 che, insieme all’amica e cognata Francesca Catanzani, dirige la sala dell’insegna e cura personalmente la carta dei vini che può contare 70 tipologie di Champagne, 200 etichette rosse – con una buona presenza di Spagna, Francia e Cile – e 150 referenze di bianco provenienti anche da oltreoceano , come il Freestone Vineyards Napa Valley, 100% Chardonnay. «Se pensavate al mare, dalle nostre vetrate si vede il centro cittadino, non abbiamo proposte tradizionali, ma piatti ricchi di visione e sostanza. Siamo costantemente alla ricerca del buono per renderlo anche bello, augurandoci possa essere d’aiuto per qualche ora di relax e buongusto» continua la giovane proprietaria che alla taverna di Bacco, nonostante disti a un centinaio di metri di distanza dal mare, propone una cucina dove il pesce non è l’unico protagonista.
Se tra gli antipasti – che arrivano dopo un fresco benvenuto a base di Zuppetta fredda al pomodoro, pane arrostito e origano, una Cialda di manioca con granchio e lime e una saporita Crocchetta ripiena di spuntature di maiale – non si può prescindere dall’ottimo Carpaccio a base di cernia, salsa d’ostrica, peperone crusco, piquillo e foglia d’ostrica, resterete sorpresi dalla Tartare di Carne con foie gras, mela verde e cipolla sotto aceto. Spunti gastronomici che mettono in risalto le abilità di Filipe Dos Santos, chef di origine brasiliana che si è formato in Italia nella scuola internazionale di cucina italiana Alma per poi affinare la tecnica prima da Vittorio a Brusaporto e poi dalla famiglia Alajmo. «Mi piace creare gusti semplici, ma esplosivi, sapori riconoscibili, qualcosa che dovrebbe far venir voglia di essere mangiato di nuovo» dichiara il cuoco. Un esempio concreto? La Lingua con gamberi rossi, salsa kimchi e kumquat (mandarino cinese), ingrediente che insieme al kimchi “tradisce” la passione di Dos Santos per la cucina orientale.
Come già anticipato, la materia prima ittica spesso cede il passo a ricette di terra che hanno il gusto dello Spaghettone con guanciale, piselli e ravanello fermentato – tra i primi piatti c’è anche un omaggio alla tradizione romana, i Rigatoni con la pajata – o, tra i secondi, l’Anatra con arancia, finocchi e vaniglia, cotta e insaporita alla perfezione grazie all’ultimo step della preparazione che prevede un passaggio sulla brace. «Metto una proteina al centro dell’idea e sperimento due o tre combinazioni intorno – chiosa lo chef –. Se è il caso di parlare di processo creativo, direi che il mio possa essere sintetizzato così».
Un percorso culinario – oltre alla possibilità di ordinare alla carta sono disponibili due menu degustazione, rispettivamente di sei e otto portate – che anche nei dessert conferma l’estro e l’originalità di questa insegna con il Millefoglie con caramello, nocciola, pepe e whisky o l’avvolgente e delicata Panna cotta a base di miele, camomilla, polline e lavanda.