Addio all’anguilla

In pericolo di estinzione per sovrasfruttamento ed emergenza ambientale, il pesce molto amano dagli chef di tutto al mondo deve essere (almeno temporaneamente) bandito dai menu. L’appello di Mauro Colagreco, e del World Culinary Council, viene raccolto dai colleghi di tutto il mondo.

Cosa sarebbe il Natale napoletano senza capitone? E la cucina giapponese senza unagi, l’anguilla japonica tipica delle acque giapponesi, che con la sua carne grassa e gustosa rende indimenticabili nigiri e preparazioni come l’unadon? E ancora, come rinunciare alle anguille marinate delle valli di Comacchio, o a quelle arrostite sugli spiedoni che si possono assaggiare negli indirizzi più veraci della Sardegna? Protagonista di tanta cucina regionale, e sempre più apprezzata come ingrediente di pregio dagli chef di tutto il mondo, l’anguilla europea (e la sua controparte femminile, il capitone, i cui esemplari sono più grandi e carnosi) è però adesso messa a rischio di estinzione da una serie di cause che non hanno a che fare solo con la ristorazione ma che di certo richiedono un’attenzione maggiore nel suo utilizzo, evitando – almeno per il lasso di tempo necessario al ripopolamento degli stock ittici– di metterla in menu.

Questo pesce è stato infatti inserito dal 2018 nella lista rossa delle specie a rischio stilata dall’IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura), dopo l’allerta già data più volte negli ultimi 20 anni dagli scienziati europei del CIEM-Consiglio Internazionale per l’Esplorazione del Mare circa i fattori legati alla possibile scomparsa di questa specie, chiedendone la sospensione della pesca da tre anni a questa parte. Con un ciclo vitale lungo e complesso, che si estende su un periodo di circa 20 anni e prevede spostamenti e cambi di habitat tra acqua dolce e salata per la crescita e la riproduzione – rendendone anche difficile se non impossibile l’allevamento, che si limita a quello di esemplari giovani catturati in natura – l’anguilla è infatti messa in pericolo dall’inquinamento crescente degli ambienti marini, costieri e fluviali oltre allo sfruttamento a fini alimentari.

Secondo un documento diffuso nel 2022 – quando la petizione Power to the Eel, con un appello per la protezione dell’anguilla europea, ha raccolto oltre 40.000 firme ed è stata presentata da un gruppo di ONG al Commissario Virginijus Sinkevičius – la popolazione europea era ridotta a solo l’1-5% di quella originaria stimata: nonostante ciò, solo Irlanda e Slovenia ne avevano chiuso ogni tipi di pesca mentre nella maggior parte dei Paesi UE è ancora consentita (in alcuni casi anche a scopo ricreativo, mentre in Italia dal 2023 ne è vietata la pesca sportiva tutto l’anno).

Adesso, anche la cucina ha deciso di fare la sua parte: il World Culinary Council di Relais & Châteaux – composto da 21 chef e presieduto da Mauro Colagreco – si è schierato al fianco di Ethic Ocean, ONG dal 2009 partner dell’associazione di cui è presidente Laurent Gardinier e molto attiva sui temi ambientali e della biodiversità marina, chiedendo ai 27 ministri dell’Unione Europea di ascoltare le raccomandazioni degli scienziati prendendo le misure necessarie per salvare questa specie. Dal canto loro, gli chef del World Culinary Council hanno eliminato l’anguilla dai menu dei loro ristoranti e adesso si rivolgono ai colleghi di tutto il mondo per fare altrettanto, sensibilizzando anche i clienti: «Se vedete l’anguilla nel menu di un ristorante, non ordinatela. Non esitate a dire al cameriere che siete sorpresi di vederla nel menu. Potete aggiungere che bisogna agire con urgenza su tutte le cause che hanno portato al declino di questa specie e che le parti interessate hanno ignorato per oltre 20 anni, come l’inquinamento agrochimico», esorta lo chef del Mirazur.

L’obiettivo è replicare quanto già fatto con il tonno rosso – il cui minor consumo, regolamentato dalla modifica del regolamento europeo del 2009, anche in seguito alla campagna d’informazione supportata da chef e ristoratori, ha riportato nel giro di circa 8 anni questo prodotto sulle nostre tavole – permettendo il ripopolamento degli stock ittici e poi adottando una migliore gestione della pesca e del consumo di questo pesce delizioso ma delicato. «Avevo diversi piatti in carta con l’anguilla, amo molto soprattutto quella affumicata. Ma possiamo sostituirla con altri pesci grassi», spiega Colagreco. «Se vogliamo salvare questa specie, dobbiamo cambiare il nostro comportamento. Se ci riusciremo, in futuro potremo mangiare di nuovo l’anguilla, ma solo quando la sua pesca sarà considerata di nuovo sostenibile e quando saremo riusciti ad agire su tutti i fattori legati al suo declino».

Non un addio definitivo, dunque, ma una rinuncia temporanea e doverosa. Unanime o quasi la risposta del mondo culinario, con tanti chef da sempre vicini all’elemento marino che hanno raccolto l’appello dello chef di origini argentine: «In tantissimi hanno aderito e hanno risposto positivamente, anche grazie all’impegno di colleghi come Pedro Subijana (delegato di Spagna e Portogallo del World Culinary Council, ndr). E pure in Giappone, dove ci aspettavamo molta più resistenza a riguardo, c’è grande interesse».

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