Concentrato, silenzioso e determinato, più a suo agio tra i filari dell’orto e dietro al bancone che sui palcoscenici di congressi ed eventi mediatici. Classe 1988, a – quasi – 34 anni Alberto Morello non pensa a fare il pizza star ma al lavoro da portare avanti nel suo locale, Gigi Pipa, che dal 2018 si è spostato dalla sede originaria poco distante dal Castello Carrarese di Este (all’interno dell’hotel che i genitori Maurizio e Miriam hanno gestito per oltre trent’anni anni) a quella ampia e accogliente in via Corradini, negli ambienti dell’ex Saffa, storica fabbrica di fiammiferi del Padovano.
Lui e il fratello sono cresciuti in albergo, che era anche la loro casa. Ma mentre il secondo ha deciso di prendere un’altra strada iscrivendosi all’Accademia Aeronautica per diventare pilota, Alberto ha sempre dato una mano nell’attività di famiglia prendendo dimestichezza con le mansioni dell’hotel e poi – quando i genitori hanno deciso di creare il ristorante-pizzeria al suo interno, scegliendo il nome di fantasia che è rimasto nel tempo – anche della cucina. A dir la verità, anche lui aveva in mente un altro percorso: dopo il liceo si era iscritto all’Università, scegliendo il corso di Ingegneria Gestionale, ma dava sempre una mano quando c’era bisogno. Fino a quando non ha capito che forni e fornelli lo attiravano di più. «Mio padre inizialmente si occupava della cucina del ristorante, e da lui ho imparato – anche solo rubando con gli occhi e standogli accanto – senz’altro la professionalità e l’amore per questo lavoro, oltre alle nozioni di base. Per me cucinare non è mai stato un peso: anche a casa, o magari quando mi trovavo con gli amici, mentre altri colleghi cercavano di evitarlo a me faceva piacere preparare da mangiare», racconta Alberto, che ha infatti un approccio alla pizza molto improntato alla cucina – a cominciare dalle attrezzature, lampada riscaldante al pass inclusa, e dagli assaggi di benvenuto – pur senza strafare.
Quello su impasti e lievitazioni, invece, è un percorso che ha portato avanti in autonomia: «Quando ho deciso di occuparmi della pizzeria, nel 2009, ho capito che volevo imparare a lavorare in maniera più attenta e professionale dei vari pizzaioli che erano passati da noi e che a mio parere erano piuttosto superficiali: facevano la pizza “classica”, piuttosto sottile e uniforme, e la condivano perlopiù con ingredienti in scatola. Così è scattata in me l’idea di fare qualcosa di diverso e mi sono avvicinato ai corsi dell’Università della Pizza del Molino Quaglia: erano gli inizi, io avevo 19 anni e in aula con me c’era Renato Bosco, per dire». Per anni Alberto ha continuato a studiare e ad approfondire – anche approfittando della vicinanza con la struttura che si trova a Vighizzolo d’Este, a dieci minuti di macchina da Este –, restando a lungo il più giovane tra gli iscritti, ma non certo il meno risoluto. «Erano gli anni in cui si cominciava a parlare di un modo diverso di fare pizza. Lì ho conosciuto anche Simone Padoan e dopo qualche anno ho deciso di seguirne la scia utilizzando lievito madre, lievitazione nel padellino e un servizio in spicchi, curando la presentazione e la scelta degli ingredienti».
Inizia così un lavoro molto attento su lievitazioni e farine che continua ancora oggi: sono oltre cinque gli impasti che segue quotidianamente da Gigi Pipa, dove alla pizza classica “all’italiana” – rivista e corretta – si è affiancata quella di stampo napoletano, soffice e con il bordo pronunciato; e ci sono pure l’impasto croccante, il Pan Burger (per le pizze farcite) e quello al farro (cui si affiancano altre sperimentazioni, come quelli con farina di riso e di orzo e con farina di segale e semi misti), proposti soprattutto nel menu della pizza a degustazione, per sostenere – e abbinarsi, valorizzandoli anche attraverso il contrasto di sapori – a topping più elaborati. Come ne L’Oca in Onto – in cui l’impasto riso e orzo accoglie fior di latte pugliese, cavolini di Bruxelles, gel di pere e la tipica preparazione locale Presidio Slow Food, con l’oca cotta nel suo grasso –, o nella pizza col baccalà mantecato, sempre con impasto di riso e orzo, che si ispira al ricordo del baccalà alla vicentina con la polenta del papà che nella cucina del ristorante si preparava ogni settimana (ma che per la pizza sarebbe stato un condimento troppo umido). O ancora nell’Agricola (impasto di segale e semi con Taleggio Dop, cavolo riccio, cappuccio stufato, cavolfiore viola e crema di spinaci, almeno nella versione invernale), la pizza che racconta la sua seconda passione: l’orto, curato in proprio.
«È un progetto iniziato un po’ per caso, a un amico e alla mamma era venuto il pallino dell’orto e mi regalavano le verdure da usare sulle pizze. Visto che l’albergo aveva una parte di giardino abbandonato nel 2014 mi è venuta l’idea di fare un piccolo orto da seguire personalmente». Un’idea – e un altro impegno, che non lo spaventa – che lo ha seguito accanto alla nuova sede e si è poi sviluppato con un vero e proprio appezzamento di terra con un orto sinergico poco lontano dal centro di Este, da cui arrivano gli ortaggi utilizzati per le pizze. Ma Alberto non si ferma qui: nel nuovo locale – che ha studiato e arredato personalmente, reinterpretando gli ex spazi industriali in maniera moderna ma calda e originale, anche con l’aiuto della moglie Anna che si occupa di progettazione e arredamento di negozi – è ora attiva anche la Bottega, pensata per assaggi veloci durante tutta la giornata e per la vendita di prodotti da forno, vini e farine. A dargli man forte c’è sempre il papà Maurizio, mentre la signora Miriam si divide tra il locale e l’impegno da nonna. Anche questo vuol dire essere una famiglia che lavora insieme.