Quando si parla di brodi e consommé un – “brodo ristretto” ottenuto dalla cottura in poca acqua per concentrare ulteriormente i sapori – la tradizione dialoga con la modernità. Ad esempio, se il galateo della tavola vuole che per sorbirlo si usi la tipologia apposita di cucchiaio, piccolo e arrotondato ma dal manico lungo, gli chef collaborano con i designer per studiare nuove forme. Quanto alla mixology, se dagli Stati Uniti arriva un insolito cocktail creato nel secolo scorso in Italia nasce l’omaggio all’acquacotta. Per i più pigri, invece, ci sono le versioni in vaso da aprire e versare in pentola per un pasto corroborante e salutare.
La funzione della forma
I Cappelletti in brodo asciutto del ristorante romano All’Oro si mangiano con cucchiaio o forchetta? A fugare ogni dubbio è il loro stesso autore, Riccardo Di Giacinto, che per questo suo signature (ha fatto saltare dalla sedia anche Giovanni Rana che non si capacitava di come lo chef romano fosse riuscito a sigillare il brodo in una pasta all’uovo) completato da Parmigiano, zafferano e limone, ha voluto una posata ad hoc. Si tratta di un cucchiaio con fori, anche perché questo è forse l’unico “brodo” da poter mangiare con un utensile forato, realizzato su misura da Mepra, azienda bresciana che dal 1947 produce posate e articoli in acciaio. Affascinato dalla cura della tavola giapponese e dal liturgico servizio delle pietanze liquide degli orientali, sempre alla stessa casa Francesco Apreda ha commissionato il suo cucchiaio usato unicamente per i cappellotti: una forma più rotonda e concava del solito. Sul manico sono state disegnate le farfalle, animale simbolo del ristorante all’interno di The Pantheon Iconic Rome Hotel.
Brodi prêt-à-manger
Se non avete tempo di sperimentare la ricetta di brodo tramandata da vostra nonna, mettete comunque da parte il dado istantaneo in favore della versione più autentica di un brodo di cappone, ma pronto all’uso. Per dei classici passatelli o un ramen all’italiana potete usare, ad esempio, il Re di Bonverre in vetro, di cui si fa garante lo chef due stelle Alberto Faccani che firma la ricetta da manuale di cucina emiliano-romagnola: pochissimi ingredienti, in primis un’ottima carne e sale di Cervia che aiuta a rilasciare i suoi umori. Chi non vuole rinunciare ai benefici del brodo trova in commercio versioni già confezionate come quelle della tedesca Jarmino, che propone brodo di ossa di pollo, manzo, vitello, pesce e vegetale privi di additivi, conservanti e zuccheri aggiunti. Illuminati dalla Bone Broth Diet anche i fratelli Nicola e Michele Solimeo che hanno lanciato Brodos Family, partendo dal loro piccolo allevamento di bovini grass fed alle porte di Asti e avviando la collaborazione con una piccola rete di allevatori, inclusa quella con Cascina Torrione per il brodo di ossa di pollo ruspante. La prossima sfida non poteva che essere sul vegetale: c’è già una piccola produzione pilota prevalentemente da funghi shiitake coltivati in Italia.
Dalla pentola allo shaker
Lo abbiamo visto nel piatto, in tazza e in tazzina ma il brodo può finire pure nel bicchiere, e più precisamente in un highball. Dagli anni 50, infatti, il brodo di carne è diventato anche ingrediente di un cocktail, nato a Detroit come “variazione” del Bloody Mary a quanto pare per aiutare il lancio del brodo in latta della Campbells: è il Bull Shot, drink a base di vodka, salsa Worcestershire, e succo di limone e appunto il brodo di carne al posto del succo di pomodoro. Al bar di Borgo La Chiaracia, elegante country resort al confine tra Umbria e Lazio, il bartender Alessio Ciucci (non nuovo a contaminazioni gastronomiche come nel Doc Bud, a base di zuppa di fagioli e Rye whiskey, dedicato a Bud Spencer) ne propone un’intrigante variante “local” in omaggio all’acquacotta, piatto povero della tradizione. Si chiama proprio cosi – The Acquacotta – il suo drink con vino bianco, Americano Cocchi e shrub di acquacotta a base di acqua di cottura della cicoria, sciroppo al pomodoro e aceto di mele, chiarificato con yogurt di pecora. Il tocco finale, oltre all’albume d’uovo? Un po’ di amido di pasta, a ricreare la sensazione del pane “inzuppato”.