Classe 1990, Riccardo Baldi è dal 2009 alla guida dell’azienda vinicola fondata insieme al padre nel 2004, che conta dodici ettari di vigneto coltivati prevalentemente a verdicchio (e montepulciano) sulle colline che circondano Staffolo. Nonostante gli studi in Economia e Commercio, Riccardo cura ogni aspetto della produzione, incluso quello agronomico. Il suo vino? «Biologico e artigianale», senza mezzi termini, e decisamente personale. Il riconoscimento va dunque alla capacità di confrontarsi senza timore con la tradizione e il patrimonio di una regione vinicola rinomata, imparando dai grandi produttori che operano sul territorio in cui è cresciuto il valore della terra, dell’uva e del vino, e con la volontà di superare le sfide che un mestiere così complesso ti mette davanti. Punte di diamante della sua produzione sono La Staffa, Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Doc, e La Rincrocca, Verdicchio dei Castelli di Jesi Riserva Classico Docg, che nasce da una vecchia vigna impiantata nel 1972
Lavori in un contesto di grande tradizione vinicola: come si approccia un giovane come te a questa eredità importante?
Il mio è stato un percorso di scoperta progressiva, lo penso come un puzzle: all’inizio l’immagine non è chiara, ma seguendo alcuni indizi, indagando sul territorio, studiando la storia, confrontandoti con le persone che ci lavorano, pian piano i pezzi si incastrano e comprendi quanto è bello e complesso il mondo dei Castelli di Jesi. Poi ci sono io: la formazione personale di un vignaiolo è molto intima, fatta di molti assaggi, tanti viaggi in giro per l’Italia e la Francia. Così, negli anni, ho costruito la mia idea di vino.
Cos’è per te l’innovazione nel vino?
Nel mondo del vino da sempre si avvicendano mode. Oggi l’innovazione non può perdere di vista la storia del territorio, che è la nostra bussola. Per il verdicchio dev’essere lo studio e la massima concentrazione per comprendere le qualità del nostro vitigno e dei terroir. Il senso del mio lavoro è conservare il gusto del verdicchio di un tempo, attualizzandolo con le conoscenze del presente.
Come vedi il futuro della denominazione?
Abbiamo grandissima storia, e anche molta stoffa. Credo che i prossimi 15 anni saranno molto divertenti, le Marche stanno entrando nelle mappe di chi gira in Italia per enoturismo. Ed è un buon momento per agire, favoriti da un diffuso ricambio generazionale, dovuto a passaggi di testimone, ma anche alla nascita di nuove giovani cantine. Noi non ci dobbiamo inventare niente, tante denominazioni hanno racconti tirati per la giacchetta, noi abbiamo una storia: i Castelli di Jesi mettono insieme tanti piccoli Comuni, ognuno con le sue tradizioni e le sue caratteristiche pedoclimatiche.