Un cocktail bar è come una casa. Un drink è come un abito. Bisogna sentircisi comodi. Ognuno ha la sua, di dimora del cuore. E il suo, di sarto di fiducia. Voi cosa preferite? Banconi scintillanti e decibel alti o secret bar da confidenze? Grandi classici della Golden Age o signature cuciti su misura? Una delle domande che mi fanno più spesso è: “dove vado a bere un buon cocktail a Roma?”. Per anni le risposte sono state sempre le stesse, ché gli indirizzi buoni per davvero erano tanti quanti gli ingredienti di un Negroni. Ma ecco che questa lunga e faticosa stagione pandemica, sorprendentemente, ci ha riconsegnato una capitale in pieno fermento – di cui si sono visti i prodromi già con le meno recenti aperture del Chapter, di The Court dentro Palazzo Manfredi e dell’Hotel Vilòn ad esempio, o con il nuovo corso di Baccano – ridestatasi dal torpore con tanti opening di livello, dal centro storico alle periferie, in grado di arricchire finalmente la scena del bere miscelato. Seguiteci nel nostro tour, che comincia a via Veneto. Di quella strada “inventata” da Fellini, e poi di nuovo protagonista di quel “vortice della mondanità” sorrentiniano, è (era?) rimasto ben poco, solo l’atmosfera polverosa e le insegne impolverate. L’apertura dell’hotel W a via Liguria, primo in Italia della catena internazionale, è già di per sé una buona novella, tenendo conto dell’ambizione del progetto. Ma lo è ancora di più per i nomi che compongono il dream team di cucina (Ciccio Sultano), pasticceria (Fabrizio Fiorani), pizzeria (Pier Daniele Seu) e bar. A governare le station del W Lounge Bar (che a breve avrà anche la sua versione estiva sullo spettacolare Otto Rooftop Bar con vista sull’Istituto Elvetico e su mezza Roma) c’è un nome noto e amato della miscelazione romana, Emanuele Broccatelli, che nel mentre si era molto dedicato al suo progetto Drink It di liquori e cocktail pronti in bottiglia (eccezionali, peraltro). Oltre al bagaglio tecnico e alla creatività, Emanuele ha la dote più importante per chi fa questo mestiere: sa ascoltare il cliente. È un alchimista contemporaneo, gioca con la memoria, accarezza gli ingredienti e poi restituisce sul bancone drink sempre eleganti, perfettamente bilanciati, che non urlano mai, al contrario della musica sparata a tutto volume (è il W, bellezza, cosa ti aspettavi?). La drink list è ispirata al concetto di “Unfolding Nature” che in altre parole vuol dire ampio uso di ingredienti freschi, tra cui erbe, foglie, fiori e frutti. Provate il Ginger Side, l’Herbal Martini o il Wine Root, cocktail evocativo e morbido senza dimenticare di farvi arrivare dalla cucina i bocconi gustosissimi e sicilianissimi firmati Sultano, ideali per accompagnare i cocktail.
Cambiamo rione e soprattutto mood: da Ludovisi al ventre di Trastevere, distretto dove bisogna avere fegato, sia per bere, sia per tollerare le orde di nuovi barbari che l’attraversano e lo saccheggiano, il sabato sera specialmente. E allora voi fate come noi: rintanatevi – previa prenotazione – al di là di un’anonima porta al civico 1 di vicolo di Santa Margherita, proprio alle spalle di piazza di San Calisto, e prendete posto al bancone di REM, micro bar per nottambuli (è aperto dalle 22 alle 5 del mattino) che rappresenta una vera e propria ancora di salvezza nel quartiere. La gestione è della famiglia di Co.So (punto di riferimento al Pigneto), il team – giovane e motivato – è composto da Valeria Tummolo, Claudio Diamantini e Federico Vitullo. Il concept e la drink list sono ispirati alle fasi del sonno: Awake, Light sleep, Deep sleep e REM, appunto, fase che nel bicchiere si traduce in Electric Bull (Gin, Electric bitter hm, Cordiale citrus, taurina e soda al gelsomino). Noi abbiamo provato, con grande soddisfazione, pure lo Sweet Sea (Tequila, Mezcal, limone lacto fermentato, sciroppo di alga kombu e spuma di acqua di mare) e, tra i “timeless”, The Lost World (Gin, homemade Chartreuse, sciroppo di cannabis, maraschino, succo di limone, albume ed essenza di cannabis sativa). Già è noto che a Trastevere, da 17 anni, la terrazza più ambita è quella di via del Politeama, dove si affacciano le grandi vetrine di Freni e Frizioni, lo street bar per antonomasia creato da Luca Conzato. Ma forse ancora non sapete che ha appena raddoppiato, nel quartiere Prati (via Sforza Pallavicini 12), con un locale multifunzionale di oltre 300 metri quadrati, una nuova veste in stile contemporaneo (bella e un po’ algida) e un’offerta innovativa e veloce. Freni e Frizioni Draft punta infatti sul pairing pizza-cocktail e sui drink premiscelati e serviti alla spina, ottimizzando i costi e i tempi di servizio ma senza abbassare la qualità. Noi abbiamo apprezzato il Gin tonic, il Draft mojito e il Pink is not dead, tutti realizzati nel loro laboratorio. E siccome siamo tignosi, abbiamo messo alla prova il team pure su due grandi classici, un Gimlet e un Manhattan, che i bartender hanno miscelato e servito in due versioni impeccabili. La pizza? Buona e ben lievitata, realizzata con farine macinate a pietra, giustissima per gli abbinamenti. In questo senso, non possiamo non citare l’altra novità che riguarda non il luogo, il Chorus Café di via della Conciliazione, ma la collaborazione tra Massimo D’Addezio, portentoso barman e mattatore delle serate alcoliche romane, e l’ottimo chef e oste Arcangelo Dandini, che qui ha portato, tra gli altri piatti, il Polpo arrosto, nocciola e cavolfiore e il suo iconico Spaghettone all’amatriciana. In Prati ha geminato pure Argot, il secret bar di Campo de’ Fiori aperto nel 2014 da Gianluca Melfa e Francesco Bolla. Anche il nuovo locale in via Alessandro Farnese – inaugurato trovando l’intesa di altri due soci, Ivano Gambacorta e Sirio Di Francesco – si ispira alle stesse atmosfere rétro dei fumosi e misteriosi club francesi, con pezzi e mobili vintage e di recupero. Argot Prati fa l’effetto “cocoon” di un posto che sa di casa, ma con diverse novità: la programmazione di musica dal vivo e una ristorazione che alza il tiro, grazie all’esperienza dello chef Andrea Quaranta. Così, in un ragionamento circolare tra bancone bar e cucina, ecco che si rafforza la tendenza di pasteggiare a drink fino a caratterizzarne alcuni con prestiti culinari di stagione. È questo il caso del Tomato Fields Forever, un low alcol a base di vodka con pomodoro, spuma di bufala e melograno o del No church in the wild, un Boulevardier con aggiunta di olio al tartufo.
La periferia, nel frattempo, non sta mica a guardare: da giugno 2021 una nuova apertura invita a raggiungere Centocelle, quartiere dai trascorsi popolari e dal presente vivace, che vanta da qualche anno una singolare rinascita gastronomica. Ma Mi Mo — questo il nome del cocktail bar di Nicola Formisano, Valentino Cuzzeri e Luca Marengo — arriva a perfezionare un’offerta non altrettanto esuberante sul lato mixology, portando la cultura del buon bere negli spazi rinnovati di un’ex tappezzeria. Il progetto architettonico, asciutto e rigoroso, è firmato dal team di Blankviz e concepito per concentrare attenzione ed energie verso il cuore pulsante del locale: la bottigliera e l’ampio bancone in cemento che accoglie 18 sedute. In carta 5 twist sui classici, una selezione di spritz, un buon assortimento di gin (menzione speciale per il Pigskin di Silvio Carta, Sardegna) e otto signature, tra cui il ben bilanciato Gold Pampered (Calvados, Rye Whisky, riduzione di mela, Peycheaud bitter). La proposta gastronomica è stata ridisegnata da Alessio Tagliaferri, terza generazione della famiglia Achilli — una delle più attive sul fronte della ristorazione romana — attraverso una scelta di tapas per accompagnare i drink. C’è anche un piccolo cortile sul retro, prezioso per la bella stagione, che ospiterà eventi di diversa natura, anche artistici e musicali, nuove formule per l’aperitivo e il brunch domenicale. Centocelle chiama Brooklyn.
Hanno collaborato Andrea Martina Di Lena e Carolina Pozzi