«Abbiamo iniziato a impiantare oltre 150 alberi tra i filari dei vigneti di Fontanafredda». È un annuncio importante quello di Andrea Farinetti, figlio terzogenito di Oscar che, nel 2008, con Luca Baffigo ha acquistato la tenuta che fu del re d’Italia Vittorio Emanuele II e della sua amata Rosa Vercellana. Non solo perché si pone come un atto concreto mirato a ripristinare l’ecosistema delle Langhe, fortemente minacciato dalla monocoltura della vite. Ma anche perché veicola un messaggio rivolto a tutti i viticoltori e al Consorzio, che proprio in questi giorni stanno discutendo in merito all’eventualità di autorizzare nuovi impianti dei vigneti di nebbiolo da Barolo sui versanti esposti a Nord, a discapito degli ultimi boschi rimasti. «Negli ultimi 12 anni abbiamo fatto molto per l’agricoltura e il territorio – afferma Andrea – questo nuovo progetto vuole essere un monito per tutti i vigneron di Langa: la nostra terra non può più aspettare, dobbiamo agire subito».
Il Bosco Vigna
«Bosco Vigna nasce dalla voglia di ripristinare un ecosistema, la flora e la fauna della bassa Langa, e favorirne la biodiversità che stiamo perdendo a causa della monocultura intensiva» spiega Andrea. «I nostri agronomi Alberto Grasso e Fabio Sozzani stanno seguendo il programma ormai da più di un anno. Si sono occupati di selezionare con cura le piante che meglio si adattano al nostro ecosistema, con specie autoctone e d’introduzione per apportare al suolo elementi nutritivi diversi, reintrodurre nell’ambiente animali che ormai sono spariti e generare un effetto di mitigazione climatica dovuta alle nuove correnti che si genereranno, favorendo allo stesso tempo il ripristino di ecosistemi degradati, la fertilità dei suoli e il contrasto delle patologie della vite».
Il progetto rientra a tutti gli effetti in quelle nuove pratiche di agroecologia volte a produrre risorse alimentari nel rispetto dell’equilibrio ambientale e della sua rigenerazione, di cui negli ultimi anni si sta sentendo parlare moltissimo. Perché l’agroforestazione (o agrosilvicoltura) sembra essere la risposta meno rischiosa e più facilmente attuabile per produrre prodotti agroalimentari in un contesto di incertezza diffusa in termini di clima, energia, economia e società, quale è quella in cui viviamo. Concetto sostenuto anche dall’attivista e ambientalista Vandana Shiva secondo la quale «la soluzione per la crisi climatica, la crisi alimentare e la crisi idrica è una sola: i sistemi colturali biologici basati sulla biodiversità».
Un ritorno alla policoltura
Parlare di policoltura oggi può apparire come un paradigma agricolo moderno, ma in realtà riporta al passato di numerose aree del nostro Paese, Piemonte incluso. Già a partire dal Duecento, infatti, in molte zone della regione si era diffuso il sistema colturale dell’alteno, (forma evoluta dell’arbustum gallicum già introdotto nel 400 a.C. dalle popolazioni Celtico-Liguri e del tutto analogo alla vite maritata degli Etruschi), ovvero l’alternanza, all’interno di un singolo fondo su una giacitura a dislivello, di piante di vite, cereali e alberi da frutto, che spesso facevano da tutori vivi alle stesse piante di vite. «Un’antica tradizione delle nostre campagne che, con il passare degli anni, è stata sacrificata per la monocultura intensiva» afferma Andrea. La sua razionalizzazione, oggi, permetterebbe di ripristinare il microclima più adatto e la fertilità dei suoli di un dato ambiente, senza andare a inficiare la produttività delle colture che, anzi, in situazioni di competizione ottimizzano l’uso delle risorse e degli spazi naturali.
Biodiversità da salvare
Già da anni Fontanafredda ha messo in atto un Rinascimento “verde” – dalla conversione in biologico dei 120 ettari vitati della tenuta, alla raccolta delle acque fino all’uso razionale dell’energia, con un impianto di cogenerazione e teleriscaldamento completato nel 2022 e l’installazione di pannelli solari – insistendo sul concetto di riportare la terra al centro delle attenzioni. Bosco Vigna si pone quindi come una naturale conseguenza di questo impegno, ma anche come un monito importante rivolto ai produttori delle Langhe e al Consorzio, che proprio in questi giorni stanno dibattendo sull’eventualità di autorizzare impianti dei vigneti di nebbiolo da Barolo sui versanti esposti a Nord, quelli da sempre considerati i meno indicati dato il tipico clima delle Langhe.
«Oggi si ipotizza che il cambiamento climatico abbia reso buone per la viticoltura anche le esposizioni a nord. Forse sì, ma se prendiamo in considerazione già solo l’annata 2023, dove ci sono state forti problematiche di peronospora, la situazione sui versanti collinari a nord sarebbe stata ben peggiore, a causa della maggiore umidità di queste zone» spiega Andrea. «È vero, il clima è cambiato, ma non possiamo affermare che il nord oggi è il nuovo sud. Per fare questo occorre una sperimentazione scientifica, che giustamente avrebbe senso fare. È legittimo il dibattito aperto dal Consorzio, che ha ben operato in questi anni e che ultimamente ha messo sul piatto modifiche al disciplinare importanti, riponendo la decisione alla maggioranza dei produttori. Ma il cambiamento climatico non si contrasta inseguendolo o adeguandosi per continuare a produrre come prima. Lo si contrasta anticipandolo e cambiando modo di produrre.
A nord sono rimasti gli ultimi boschi o altre coltivazioni diverse dalla vite, mentre negli altri versanti la monocultura è ormai dominante a scapito della biodiversità delle Langhe. Come ospiti di questo territorio, dobbiamo farci “perdonare” la fortuna di vivere immersi in una natura così straordinaria, rispettandola e preservandone le sue caratteristiche tipiche».