Nonostante sia spesso complicato far comprendere ai mercati internazionali come l’Italia del vino non vesta solo in rosso, una cantina (e una dinastia) storicamente conosciuta per il suo Chianti Classico sceglie di recuperare le uve Trebbiano per dare vita a una nuova etichetta che strizza l’occhio al contemporaneo. Il nuovo Sanbarnaba di Castello di Brolio porta la firma di Francesco Ricasoli, che quest’anno celebra i trent’anni alla guida della tenuta di famiglia. «I vini bianchi rappresentano una grande tradizione per la nostra famiglia e per l’azienda – evidenzia il barone – basti pensare che il nostro Torricella è stato uno dei primi bianchi italiani pensati per essere longevi. Sempre sui bianchi, abbiamo iniziato 10 anni fa a sperimentare vinificazioni più o meno estreme con vari vitigni, ma alla fine siamo tornati sulle orme degli antenati e abbiamo scelto il Trebbiano». E giusto per non lasciare spazio a dubbi sulla centralità di questo nuovo progetto, annuncia già le prossime tappe. «Al momento abbiamo messo in bottiglia 5.600 bordolesi e 50 magnum da poco più di un ettaro – rimarca – e non appena sarà possibile faremo nuovi impianti con queste piante che hanno il Brolio nel Dna».
Dal cru al cocciopesto
L’idea di fondo è dare nuovo valore a un vitigno presente da sempre nei vigneti ed espressione di questo terroir tanto quanto il Sangiovese. Per questo è stata identificata una parcella particolarmente vocata in un vigneto storico e si è dato avvio a una piccola produzione in purezza, che Ricasoli stesso ha voluto battezzare sotto le insegne del Castello di Brolio, accostando questo bianco ai rossi storici dell’azienda. In effetti, il nuovo vino – che nel nome si richiama San Barnaba, considerato protettore delle coltivazioni e in particolare dalla grandine – non è frutto di una vinificazione tradizionale, ma si avvicina ai rossi per l’utilizzo della macerazione. Viene vinificato in cocciopesto, con una permanenza di tre mesi a contatto con le bucce, per essere poi affinato in cocciopesto (40%), in acciaio (30%) e per il resto in tonneau di secondo e terzo passaggio. Trascorre poi un anno e mezzo in bottiglia, giusto per rimarcare che la fretta non si addice a un vino importante, dalle ambizioni di longevità.
Un Trebbiano in profondità
La prima vendemmia – vintage 2020 – viene presentata sul mercato al Vinitaly. «Volevo far uscire il Sanbarnaba nel 2024, per esprimere una presa di posizione forte su questa etichetta – rivela Ricasoli – ma mi hanno convinto ad anticipare di un anno, allineando le tempistiche del Trebbiano ai nostri Gran Selezione. Comunque, posso dire che la progressione del vino è incredibile». Il suo assaggio lo conferma: nel calice il Sanbarnaba si presenta con un raffinato abito leggermente ramato, ma con una pulizia essenziale (nonostante la macerazione) che si staglia al naso e in bocca. Ai sentori sobri e asciutti di fiori e frutta essiccati, miele di corbezzolo e agrumi, corrisponde un sorso dritto e profondo, piacevolmente sapido, teso fino all’allungo su tonalità di fieno e salvia. Il Trebbiano c’è e non è mascherato. L’acidità spiccata si gioca su un sorso materico che, lungi dall’essere vellutato, si rivela invece scattante. Una sfida ad allungare il passo, tenendo la (seconda) bottiglia rigorosamente in cantina per aprirla tra qualche anno.