Nel quadrilatero della moda di Milano dal punto di vista gastronomico, si gioca un campionato a parte. È quello della cucina d’albergo, che intorno al distretto di Montenapoleone si esprime con risultati di qualità e personalità. In una quieta metà classifica era rimasto però il Grand Hotel et de Milan – simbolo meneghino con più di 160 anni di storia – fino allo scorso settembre, quando ha finalmente deciso di alzare il tiro, di riaprire il ristorante Caruso Nuovo e di cambiare la brigata. Ad allenarla è stato chiamato Gennaro Esposito e lo chef di Torre del Saracino di Vico Equense, due stelle Michelin, ha scelto di mettere in campo come executive chef l’ottimo Francesco Potenza, anche lui campano e con molte belle esperienze alle spalle.
Dopo il restyling degli interni dell’hotel nel 2010, è stato confermato il sodalizio con Dimorestudio, che stavolta ha firmato il rinnovamento anche di questo bistrot, affacciato sulla piazzetta di via Croce Rossa, riportando alla luce uno spazio con colonne, intarsi e pavimenti in graniglia e aggiungendo un coté bohémien ed esotico sicuramente fascinoso che però c’azzecca meno – onestamente – con la cifra culinaria. Ma tant’è. Il menu è una bella sorpresa: chi conosce la cucina di Esposito ritroverà la stessa nettezza di sapori, la mediterraneità esplosiva e il rispetto della materia prima, grazie alla mano felice di Potenza, soprattutto nella magistrale Minestra di pasta mista con pesci di scoglio, uno di quei piatti che valgono da soli la sosta. Eccellenti sono pure la Zuppetta di olive Nocellara del Belice con pesce spatola “anni 80” e il Baccalà alla Bella Donna.
Siamo pur sempre a Milano, e dunque non mancano interpretazioni della tradizione locale, con il giusto twist, dall’Ossobuco insolito (perché di selvaggina con polenta, friarelli e composta di clementine) al Risotto zafferano, agrumi e finocchietto, al Rostin negàa con bietole al peperoncino e ragù di funghi. In chiusura, il Babà napoletano con crema pasticcera e frutta di stagione è la scelta giusta per chi vuole restare nella comfort zone.
Nonostante il makeover del Caruso Nuovo rubi in questo momento la scena, attenzione a non dare per scontata l’altra tavola di questo salotto buono: il Don Carlos, ristorante classicheggiante che rende tributo all’opera di Giuseppe Verdi. Com’è noto, infatti, il Maestro visse in una suite dell’hotel di via Manzoni per ventisette anni. Tra bozzetti e scenografie del Teatro alla Scala – una manna per ogni melomane che si rispetti – qui si consumano molti dei pranzi d’affari del Quadrilatero, grazie anche all’atmosfera con- fidenziale e alla misura del servizio. La sala è rimasta immutata (per fortuna) nel suo fascino ma il “lifting” del duo campano ha funzionato anche in questa cucina: che sì resta nostalgica, quando non anacronistica, nei nomi (leggi Cocktail di gamberi) ma decisamente più contemporanea e puntuale nelle esecuzioni. È il caso del Raviolo del plin ripieno di reale di manzo con zucca e porcini oppure del Filetto alla Rossini con tartufo bianco, foie gras, spinacino saltato e salsa al Madeira. Ma soprattutto di un altro “insolito”, non l’ossobuco ma l’Insalata russa. Croccante, calibrata, buona da bis.