Una varietà paesaggistica e umana invidiabile, colline che sfidano gli iconici scenari toscani ma talvolta più selvagge, ombrose, smezzate dal fiume Serchio e in bilico tra Appennino e mar Tirreno, per una giostra che equilibra sole, vento, piogge ed escursioni termiche. Un territorio affascinante quanto appartato che lambisce la città di Lucca, dove la Repubblica indipendente sembra ancora viva, specie sul fronte enologico: vini caratteriali, espressivi e originali, spesso fuori dagli schemi come lo è chi li immagina e li produce, interpretando al meglio il potenziale di questi suoli. La Doc Colline Lucchesi nacque nel 1968 per i vini rossi e nel 1985 per i bianchi, vertendo sugli autoctoni sangiovese e trebbiano ma vedendo l’ausilio di altre varietà locali e internazionali, anomale per la Toscana e non solo. Alcune vi giunsero dopo l’insediamento di Elisa Bonaparte che riaprì la città al mondo, senza riuscire a mutare le abitudini dei lucchesi: il sistema delle ville-fattorie ha sempre garantito vino buono, motivo in più per concentrarsi su un mercato quasi autoreferenziale. E chissà se ha inciso questo carattere autarchico anche nella formazione della rete di Lucca Biodinamica, esperienza più unica che rara cui aderiscono molte delle aziende che raccontiamo in queste pagine, fondata sui principi agricoli steineriani ma estesa alla condivisione di esperienze, attrezzature, filosofia di vita. Con la Doc vissuta come un’occasione, talvolta colta in pieno e talvolta ignorata, forse ancora in nome di quell’indipendenza che malvolentieri si piega ai dettami di un disciplinare.
La visione pioneristica di Valgiano
Tenuta di Valgiano, nell’omonima località, è divenuta nei decenni un’icona del territorio, fondata da Moreno Petrini e Laura di Collobiano. Nei terreni della fattoria pascolano «mucche, capre e pecore del vicino – come racconta Laura –, e abbiamo galline, faraone, piccioni e arnie per il miele». Un luogo che sa d’altri tempi, ricchissimo d’acqua e di verde, in grembo all’austero altopiano delle Pizzorne. È la qualità dei loro vini che ha innescato una crescita del comprensorio, la loro fedeltà alla biodinamica a consolidare il credo. «La nostra forza sono i suoli di origine preglaciale, unione tra placca ligure e toscana: sovrapposizioni e scivolamenti creano variabili ideali per la viticoltura». Non secondario è il clima: «Nonostante la siccità, a Valgiano abbiamo sempre equilibrio e freschezza. Siamo a 250 metri di altitudine tra Appennino e costa, e anche quest’anno l’uva è bella e vigorosa». Il Tenuta di Valgiano è un vino totem per la Doc Colline Lucchesi, elegante e materico, saporito, un sangiovese con merlot, syrah e altre varietà toscane, mentre ormai fanno corsa propria il Palistorti, da vigne più giovani, e il più immediato Mazzapink.
Famiglia e territorio
Non è distante la storica fattoria Colle Verde, in località Matraia, acquisita dai bavaresi Patrick e Katrin Engels che tengono molto al rispetto della tradizione e della natura: «Qui è dove possiamo coltivare i nostri valori, oltre che la vite». Il loro hobby è diventato «professione, stile di vita», e gli occhi di Katrin scintillano mentre ne parla perché «l’attenzione all’ambiente riguarda anche le relazioni umane». Ne è una riprova il clima che si respira conversando con Gabriele Bartalena (al suo fianco come amministratore e agronomo) e Marco Vannucci (enologo), a rappresentare un gruppo «che è come una famiglia», biodinamici in vigna e mai invasivi in cantina, «fermentazioni naturali e nessun apporto chimico, nessuna filtrazione per esaltare l’energia del frutto e la voce del territorio». I rossi nascono da terreni sassosi, ricchi di galestro e pietra di Matraia, un’arenaria calcarea simile alla pietra serena «ideale per il sangiovese, che sa tradurre al meglio le qualità del terroir». Nel Brania delle Ghiandaie 2021 si esprime in purezza con vinificazioni naturali, evoluzione e affinamento in cemento, mineralità sconvolgente ed eleganza da vendere. I bianchi nascono da terreni profondi e drenanti di sabbia e ghiaia, la vigna dello chardonnay rasenta un torrente che aggiunge freschezza e la muffa nobile esalta la complessità; si veda il Brania del Cancello con apporto di trebbiano, vermentino, grechetto.
In giro verso Capannori
Sui pendii di Segromigno in Monte incontriamo Colle di Bordocheo, fattoria a conduzione familiare con bella batteria di vini biologici, mentre tra i borghi di Tofori e San Gennaro c’è la storica Fattoria di Fubbiano di cui citiamo I Pampini, rosso che unisce sangiovese e teroldego, varietà tipica del Trentino ma qui presente da oltre quarant’anni (a Lucca tutto è possibile). Nei confini della limitrofa Gragnano, ultimo lembo di colline lucchesi verso la provincia di Pistoia ma sempre nel comune di Capannori, la tenuta Lenzini è guidata da Benedetta Tronci col marito Michele Guarino che ricorda come «i terreni di argille, miste a sabbie, prima di noi hanno preso coscienza di essere biodinamici, a restituirci vini incentrati su slancio, finezza, eleganza». Si punta molto sui monovarietali tra cui segnaliamo il merlot Doc Colline Lucchesi Casa e Chiesa e il saporitissimo La Syrah.
Vicino di “casa” c’è Saverio Petrilli, mentore e promotore della citata rete Lucca Biodinamica, riferimento per la zona e per tante aziende che si sono avvalse del suo carisma, della sua cultura, della sua inesauribile energia in simbiosi con l’ambiente. Qua è ripartito nel 2017 con Malgiacca, che adesso vede in forze anche il figlio Ettore oltre a Lisandro Carmazzi, Luigi Fenoglio, Ettore Petrilli e Sarah Richards, tenutaria di un vigneto da cui si iniziò ad assemblare il bel mosaico di vecchi appezzamenti e nuovi impianti. I lavori sono tutti manuali, il vino è «espressione della fertilità» e nasce da una terra «che ha bisogno di respirare, proprio come noi», ricorda Saverio. La troviamo infatti protagonista al pari delle varietà che «qua sono varie e in proporzione variabile, come da saggezza contadina». Il sangiovese si esalta in una dimensione terragna e finissima innervando rossi dal tannino integrato, fine, mentre spunta il volto di Salvador Dalì nell’etichetta del Dalìtro, formato generoso per un rosso scorrevole, «quotidiano come lo è sedersi a tavola e mangiare». Nota di merito per il Tingolli, bianco floreale quanto austero, manifesto della filosofia aziendale per integrità e originalità.
Oltrepassando il Serchio
Sulla sponda occidentale del Serchio la prima sosta è in via della Maulina, dove Matteo Giustiniani e Mina Samouti guidano Fattoria Sardi, nota per la prestigiosa produzione di vini rosé che pare guardare alla Provenza. In realtà non è un vezzo ma un assecondare la vocazione del luogo, microcosmo vitato «tra la Vallebuia, luminosissima, e la Val Freddana, rigidamente fedele al proprio nome. Clima e suoli alluvionali creano le condizioni ideali per la produzione di rosati», che prendono il nome di Le Cicale e 10 Primavere con diverse ricette da vermentino, syrah e sangiovese. Rientrano nella Doc i “classici moderni” rossi e bianchi, mentre vibrano di gioia i pèt-nat rifermentati in bottiglia senza solfiti aggiunti (ribadiamo, a Lucca può accadere di tutto!), con l’impiego (anche) del moscato rosso d’Amburgo, «varietà divertente quanto identitaria, da recuperare per i vini di pronta beva». Anche da Fattoria Sardi si è seguaci della biodinamica, si producono piccole quantità di olio, miele e succo di mela, oltre agli ortaggi che il “cuoco contadino” Damiano Donati valorizza (assieme ai prodotti degli artigiani locali) al Ristoro agricolo.
Saliamo a San Martino in Vignale dove Fabbrica di San Martino è l’avamposto di Giuseppe “Beppe” Ferrua, veterano della viticultura lucchese (e della biodinamica) con sede in una villa dallo stile barocco. Il modello è quello dello château francese (già insito nel toponimo Vignale, “vigneto racchiuso da mura”), con l’obiettivo di valorizzare «mineralità del suolo, tipicità varietale, specificità di ogni vendemmia affinché ciascun vino sia unico, non replicabile». Se nel Fabbrica Rosso è protagonista il sangiovese, l’Arcipressi è un blend enciclopedico delle varietà autoctone, anche da vigne molto vecchie, fermentazione naturale e grande racconto del territorio.
Pievi, ville, vino e cooperazione
Approdando in via della Pieve di Santo Stefano (tra scorci di una Toscana diversamente bucolica), oltre all’omonima realtà guidata da Francesca Bogazzi troviamo Villa Santo Stefano, scelta dal tedesco Wolfgang Reitzle per produrre olio e vino (citiamo il poliedrico Loto, tutto da uve francofone), nonché la meravigliosa Tenuta di Forci che vive il suo Rinascimento grazie agli investimenti dell’olandese Robert Jan Van Ogtrop (viticoltura ma anche arte, cucina, ritiri immersivi e rigenerativi). Lo scenario si fa più ruvido risalendo il Serchio fino a Ponte a Moriano dove ha sede Calafata, prima cooperativa agricola sociale di Toscana (2011), nome ispirato «ai mastri calafati che con ascia, corda, pece, sapienza e lavoro, impermeabilizzano le barche restituendole al mare». Si partì da un appezzamento in via d’abbandono, rimpallato dalla parrocchia alla Caritas fino a un gruppo di ragazzi «estranei alla vitivinicoltura», come ricordano Marco Bechini (presidente) e Mauro Montanaro (responsabile di produzione): «Avevamo in comune la sensibilità verso l’ambiente e il sociale, la volontà di rispondere alle esigenze delle persone più sfortunate». Una start-up figlia di un bando europeo fu sfruttata per creare la cooperativa con 12 soci iniziali poi diventati 28, così com’è cresciuto il parco di vigneti e oliveti, orti, il ventaglio di servizi offerti e soprattutto il numero di ragazzi assunti al lavoro: «Oltre trenta unità tra chi riemerge dalle dipendenze, chi giunge dal carcere o da Paesi stranieri come richiedente asilo». Punto fermo la biodinamica (agli albori fu vitale il supporto dei citati Petrilli e Ferrua) per vini franchi e godibili, si prendano il rosso Majulina, da oltre quaranta varietà difficili anche da classificare, oppure il bianco Almare, un trebbiano macerato e polposo.
Quasi Garfagnana
Ultima tappa da Cipriano e Antonio Barsanti (enologo il primo, musicista professore il secondo), sui pendii di Borgo a Mozzano in località Macea – medesimo il nome per il loro sogno divenuto realtà, laddove c’è già aria di Garfagnana e l’Appennino sembra a un palmo di naso. È un posto incantato, la piramide vitata sottratta al bosco è sorvegliata da una torre del Quattrocento che per i due fratelli è sempre stata casa, «impossibile venderla e cambiare aria, siamo custodi del luogo in tutto ciò che rappresenta». Cipriano, Cipo per gli amici (in pista anche con Camiliano, altra interessante azienda lucchese di cui citiamo il rosso Nero del Gobbo), ricorda la difficile vendemmia d’esordio per il loro Pinot Nero (sì, c’è anche questo a Lucca!), anno 2004, «mentre già dalla successiva, seppur “toscaneggiando” molto, cominciava ad avere un senso». Se rispetto e umiltà sono le regole chiave nell’approcciare la materia, la prima svolta avvenne nel 2007 «col vigneto che cominciava a farsi adulto», la seconda nel 2014 «iniziando a utilizzare raspi nella vinificazione. Il pinot è un grande lettore del territorio, al pari di nebbiolo e sangiovese, se ben gestito ne veicola tutto il potenziale». Oggi i loro vini «sanno di Macea» ed è il miglior complimento che possiamo fargli, fedeli come sono alla filosofia e alla terra da cui pervengono. Ma dopo aver conosciuto un po’ i vignaioli lucchesi, così autarchici e consapevoli, preparati, appassionati, così indipendenti seppur tanto abili a fare squadra, siamo certi che il concetto valga un po’ per tutti: esaltare il carattere della propria terra, restituirlo nel bicchiere rifuggendo ogni omologazione, è il valore aggiunto che più si ha voglia di raccontare in ciascun vino prodotto.
Il progetto Scipione di Pieve Santo Stefano
In località Pieve Santo Stefano (omonima la società agricola), Francesca Bogazzi, quinta generazione di vignaioli, rientrata nel 2010 da una vita diversa in quel di Parigi, è adesso madrina dei buonissimi vini a marchio Villa Sardini. Esposizioni e suoli variegati offrono prodotti diversificati da sangiovese e ciliegiolo, colorino, merlot, cabernet franc, syrah, tutto in biologico con vinificazioni separate: citiamo tra i vini lo strutturato ed elegante Ludovico Doc Colline Lucchesi. Ma citiamo soprattutto il Progetto Scipione, dal nome del Sardini che fu ministro delle finanze per Caterina de’ Medici. Progetto nato nel 2006, divenuto associazione dal 2019, oggi focalizzato sull’autismo, coniuga aspetto ludico e lavorativo, agricoltura, cucina, sport, ballo, in un’ottica di inclusione e reale autonomia, «per un progetto di vita sostenibile, a medio e lungo termine – come ricorda Francesca –, destinato ai giovani che hanno finito o stanno per finire il percorso scolastico». In un ambiente straordinario, dove pulsa il cuore buono della natura e dell’uomo. Godere dei vini di Villa Sardini significa anche sostenere il Progetto Scipione: bene prendere appunto tra i consigli per gli acquisti.