Se una celebre citazione di Robert Musil sottolinea l’inutilità di affogare i propri problemi nell’alcol (in quanto saprebbero nuotare benissimo), una parte del mercato enoico sembra oggi orientata ad affrontare le proprie difficoltà puntando sul non-alcohol (le buone alternative al vino non mancano, comunque). Le buone alternative al vino, infatti, non mancano. Da mesi impazza un acceso dibattito sui vini dealcolati, visti come un miraggio dai produttori poiché in continua crescita, mentre i consumi di vino e alcolici in generale diminuiscono.
Gli ultimi dati International Wines and Spirits Record (IWSR) evidenziano in effetti incrementi esponenziali del consumo di bevande analcoliche e a basso contenuto alcolico, con tassi di crescita che arriveranno oltre il 7% entro il 2026, grazie al traino di mercati importanti come Australia, Brasile, Canada, Francia e Germania, Giappone, Sudafrica, Regno Unito e soprattutto gli Stati Uniti. Si parla di 61 milioni di nuovi consumatori per il no-alcol nell’ultimo biennio e non sembra una moda passeggera.
Mentre questo trend montava, l’Europa ha sdoganato la produzione di vini dealcolati, mentre l’Italia ci è arrivata solo a fine anno con un decreto del Masaf firmato dal ministro Francesco Lollobrigida. E se il plauso della categoria — da Unione Italiana Vini a Federvini — è arrivato immediato, si tratta ora di attivare una filiera che possa “creare” un nuovo segmento di mercato.
Vini zero alcol o soft drink?
Perché la filiera vitivinicola è tanto concentrata sul processo di dealcolazione? Innanzitutto perché i vini dealcolati non sono succhi di frutta né soft drink, ma entrano appunto nella filiera del vino dato che i processi di sottrazione dell’alcol devono essere applicati partendo appunto dal vino.
Al di là dei processi tecnici — che possono essere differenti e che hanno creato anche qualche disputa sull’utilizzo dell’alcol estratto — il punto cruciale è dunque che questi prodotti rientrano nella filiera del vino. E se da un lato possono dare un sollievo ai produttori nella gestione delle giacenze, diventando un altro prodotto nella linea, dall’altro hanno il vantaggio per il consumatore di essere sottoposti ai controlli cui il segmento vitivinicolo è vincolato.
Come scegliere un vino dealcolato?
Per l’appassionato di vino risulta difficile passare al dealcolato. Nonostante i prodotti siano sempre più accuratamente calibrati per avvicinarsi ai sentori del vino, si rivolge principalmente a una fascia di consumatori che non ha un legame con l’esperienza propria del vino alcolico.
C’è però una massa di persone che — per scelta o per necessità — deve evitare l’alcol. E allora, tra le bevande accessibili, può scegliere un vino dealcolato, condividendo comunque l’esperienza di un brindisi enoico.
Per scegliere un vino zero alcol, è utile affidarsi a chi ha condotto numerosi assaggi comparativi, come i degustatori del New York Times che, dopo aver passato in rassegna vari campioni, hanno identificato 8 etichette che meritano un incontro nel calice: il Noughty Dealcoholized Sparkling Chardonnay come spumante, il Unified Ferments Qi Dan come pet-nat , il Leitz Eins Zwei Zero Riesling, il Proxies Blanc Slate e il Unified Ferments Snow Chrysanthemum come bianchi, il Noughty Dealcoholized Sparkling Rosé tra i rosati, il Thomson & Scott Noughty Dealcoholized Rouge e il Prickly Red tra i rossi.
Per il pubblico italiano non manca la scelta di etichette dealcolate, da Princess a Prima Pavé, da Astoria a Zaccagnini. Uno dei primi ad aver affrontato il mercato no-alcol con accuratezza è stato Martin Foradori Hofstätter. Per la verità, il merito è del figlio Niklas che ha fatto assaggiare al padre dei dealcolati nel 2019, di ritorno dalla Germania, contribuendo alla decisione di famiglia di dare vita alla linea alcol-free Steinbock (un fermo e una bollicina a base di Riesling, che a fine gennaio 2025 saranno accompagnati da un altro spumante prodotto dealcolando un Riesling Kabinett).
«Nel 2024 abbiamo chiuso con una produzione di circa centomila bottiglie, per il 70% destinate al mercato italiano — spiega Martin Foradori —. Il canale che ha risposto subito è stato quello dell’hotellerie internazionale, ma stanno seguendo anche le enoteche. Oggi proponiamo anche due “private label” per due insegne in GDO italiane e questo è un segnale chiaro della domanda dei consumatori».