In piuma d’oca, in lana di pecora, di miglio, di farro, con crine di cavallo o una semplice aggiunta di un poggiacapo? Chi pernotta in una delle camere del Parkhotel Laurin troverà sul comodino una brochure come questa: è il menu dei cuscini. Difficile comunque non riposare bene a Bolzano, città che, secondo il rapporto dell’Ecosistema Urbano 2022, è in cima alla classifica italiana delle performance ambientali, e l’anno scorso era sul tetto del bien vivre stando a un’altra indagine sulla qualità della vita.
Motivazioni che spiegano anche perché in passato commercianti del Principato Vescovile di Trento, dalla Repubblica di Venezia e da Firenze scelsero di trasferirsi qui, e che, più di recente, hanno convinto anche Dario Tornatore, chef di ConTanima, al rientro in Italia dopo anni all’estero tra Londra e Medio Oriente dove, per diverso tempo, è stato il cuoco della famiglia reale in Bahrain. Dopo essersi avvicinato al capoluogo altoatesino per seguire una consulenza in Val di Fassa, Tornatore è approdato in questo “Albergo Storico” che nel 2010 è stato insignito di tale onorificenza esattamente a 100 anni di distanza dalla sua fondazione, diventando quasi una sorta di residenza d’artista per molti personaggi: qui ha soggiornato anche Gustav Kuhn che, nei dieci anni durante i quali ha diretto l’Orchestra Regionale Haydn, è stato ospite del Laurin per cinquanta giorni all’anno. Non è quindi difficile intuire perché questo indirizzo dell’ospitalità bolzanina sia segnalato come tappa obbligatoria per chi soggiorna in città.
Se il Laurin Bar&Bistrot è considerato “il salotto di Bolzano”, le cui pareti trasudano di storia con gli affreschi che raccontano la saga di Re Laurino, luogo dove entrare anche solo per fumare nella smoker lounge o sorseggiare un Gin Tonic con il loro signature gin, King Laurin, con sentori di ibisco e alloro che ricordano il verde intorno (la bottiglia si può anche acquistare), nel parco secolare di 4mila metri quadri si cammina accanto a opere d’arte contemporanea (a fine maggio verrà aperta anche la piscina), grande passione del proprietario Franz Staffler che, ogni mattina è seduto sulla poltrona gialla vicino al camino sorseggiando acqua frizzante. Prima di varcare la soglia dell’albergo abbassate lo sguardo a terra: nel marciapiede sono incastonati alcuni dei 100 talleri in bronzo che descrivono sensazioni di viaggio, tra cui anche il nome del ristorante: ConTanima.
Inaugurato nella ristrutturata Glasshouse che si trova nel parco e che affaccia sul roseto (questo è il periodo ideale per ammirare i boccioli in fiore), il progetto gastronomico che alza l’asticella è oggi saldamente affidato a Dario Tornato che accoglie gli ospiti con due biglietti da visita: la pummarola e una playlist che alterna cantautorato italiano e indie più recente. Il menu è trilingue – del resto la maggior parte degli abitanti sono di madrelingua tedesca – e, una volta quando si arriva nella sezione italiana si può leggere il manifesto scritto dallo chef che evidenzia i punti di forza della sua cucina: materia prima fresca e stagionale, produttori locali, brace, affumicatura, fermentazione ed essiccazione, pochi ingredienti nel piatto che cambiano consistenze, temperature e sapori. Che ci fanno in carta piatti come carciofo, lingua, babà e pastiera? Basta parlare con lo chef per scoprire di più sulle sue origini.
Nato a Napoli e cresciuto a Roma dall’età di quattro anni, Tornatore ha la sensibilità di un cuoco giramondo che ha innestato sapori lontani nelle memorie culinarie della sua infanzia. Si parte con un omaggio alla sua città natale addentando i taralli mentre tentano di confondere quelle finte olive in conserva che, in realtà, sono delle ciliegie (ma non è l’unico ingrediente a volersi mimetizzare in questo percorso). Manca solo il Ponentino che soffia a Roma ad accompagnare l’amuse bouche che è una dichiarazione d’amore per la sua città tra supplì, puntarella e alici, un ovetto alla carbonara e un’esplosione di cacio e pepe al cucchiaio, mentre il panino con la porchetta si è trasformato in un bao. Il cetriolo marinato nella salsa kimchi è invece un’esplosione di spezie: da mangiare in un unico boccone.
La cucina ludica dello chef si palesa al momento di “Game: selvaggina, sottobosco, nuvole e pioggia” con cui rievoca le uggiose giornate londinesi, interpretando la cacciagione sottoforma di mousse sopra cui viene centellinata, goccio dopo goccia, una infusione di pino mugo come una nuvola che evaporando diventa pioggia. È finta anche la Genovese con candele e cipolla affumicata: il sapore è quello della domenica in famiglia, con la pasta che ha fatto la classica crosticina sulla sua superficie, ma – sorpresa – è totalmente vegetariana. E non manca neanche la scarola ‘mbuttunata che viene direttamente da giù. Con nonchalance si passa dalla Campania al Giappone con la lingua che, come in questo caso è grigliata e servita con un gyoza ripieno dei suoi scarti da accompagnare sorseggiando sake. C’è poi il “Raviolo di agnello blasfemo” (con una sfoglia tirata sottilissima) che viene terminato direttamente al tavolo con un giro d’olio conservato all’interno di una bottiglietta che raffigura la Madonna. Prima di passare al dolce, pulite il palato con una selezione di foglie locali (basilico rosso, ananas, salvia, finochietto, begonia e menta azteca) tenute insieme da un gel di chinotto nero. Doppietta di dolci con una Cacio e pere con cagliata di latte crudo, gelato e crumble di noci, pera alla brace, miele e polline più (sua maestà) la Pastiera. Un melting pot culturale, e non solo, che fa sorgere una domanda: ConTanima o ConTamina?
Informazione di servizio utile per gli avventori: l’hotel è aperto tutto l’anno mentre il ristorante solo dal lunedì al venerdì (il martedì gli under 35 hanno uno sconto del 20% sul menu). Il riposo nel weekend qui è sacrosanto e lo chef ne approfitta per far visita a produttori e cantine della zona.