Al sorger del sole è quasi un quadro astratto, la città a galleggiare sul fianco della montagna; al calar della notte ha la grazia di un presepe, le luci a ricordarci quant’è caparbio l’uomo. Cortona è severa e acciottolata, affascinante, bellissima, arroccata sui cinquecento metri di altitudine con l’Appennino alle spalle e la Val di Chiana di fronte, un susseguirsi di poggi dove il progresso non scalfisce l’armonia della natura. E là in fondo Montepulciano e la Val d’Orcia, Montalcino, le nobili terre del sangiovese che assistono come arbitri a questa storia assai diversa.
Appartata e fiera, forte di radici etrusche e spirito aretino, Cortona è a proprio agio nelle pagine di Erodoto come nel film di Audrey Wells, Under the Tuscan Sun, tratto dall’omonimo romanzo di Frances Mayes: da lì l’apertura a un turismo nuovo, sedotto dall’incanto dei luoghi e dalla bontà della tavola, da quanto di stupefacente si può versare nel bicchiere. È stata a lungo terra di uve bianche, trebbiano in testa; sembrava difficile trovare quella che ne racchiudesse il potenziale per elevarlo all’eccellenza, fare di una terra un vino spendibile nel mondo. Eppure il clima c’era, c’erano il sole e il vento come il fresco delle notti d’estate, c’erano marne e arenarie, limo, argille, lasciti del Trasimeno che in antichità ricopriva i suoli con le sue placide acque; c’erano la cultura e l’ambizione per una vitivinicoltura di qualità. E infatti un giorno è arrivato il syrah, anzi “la syrah” come la chiama qualcuno, o forse vi è tornata, perché c’è chi la vorrebbe qui da tempo immemore. Ha grappolo cilindrico, irregolare, acini piccoli di colore blu intenso, forieri di vini
rossi scuri e complessi, accomunati da una nota speziata che riconduce al pepe nero; le sue origini sono per alcuni persiane, per altri francesi, appannaggio della Valle del Rodano dove si eleva nelle espressioni più prestigiose. E sono proprio certe assonanze con quella regione che hanno indotto i cortonesi a investire sul syrah.
La scintilla si accese negli anni 70 presso Tenimenti d’Alessandro, quando col professor Attilio Scienza e l’Università degli Studi di Milano si avviò la ricerca sui vitigni più adatti alle caratteristiche del territorio, al suo calore e alla sua luce. Tra le varietà internazionali coinvolte nel vigneto sperimentale furono i cloni di syrah provenienti dalla Côtes du Rhône ad ambientarsi meglio, gli stessi che dalla vendemmia 1992 avrebbero dato vita al mitico Bosco, primo purosangue di zona, intenso e strutturato, longevo, ben presto un simbolo dell’azienda e del cortonese. Tenimenti d’Alessandro lo produce in località Manzano, dove oggi sono 30 gli ettari certificati in biologico grazie al nuovo corso avviato dal 2013, con l’acquisizione da parte della famiglia Calabresi. «Già eravamo soci, ancor prima amici — ricorda il giovane Filippo Calabresi dalla cabina di regia —, e avevamo coinvolto il langarolo Luca Currado Vietti nella ricerca di vini meno bordolesi e più borgognoni, syrah più vicini alla vera essenza del Rodano». Il cammino di Filippo, condiviso con il responsabile di produzione David Capecchi, vede preferire la finezza alla concentrazione, l’eleganza a «quegli spigoli che solo il tempo smusserebbe», tanto che a piccoli passi si è preferito uscire dalla Doc e seguire il proprio corso: «Cambia il clima come cambiano il gusto e il mercato, se facciamo sempre le stesse cose non è più territorio ma riproposizione di un protocollo». La trasformazione pare compiuta nel syrah base, identitario e beverino, mentre la nuova sfida riguarderà le selezioni dalle vecchie vigne: il pensiero torna al Bosco e va al Migliara, il cru più prezioso, «per conquistare consumatori con un grande vino di Cortona, che viva di spirito nuovo rispetto al passato».
Un notevole impulso alla zona fu dato dagli Antinori con l’acquisizione di Tenuta La Braccesca, 340 ettari vitati con perno nell’antica fattoria dei conti Bracci, sul confine tra Cortona e Montepulciano. È dal loro vigneto più vocato che nasce il celebre Bramasole da 100% syrah, prima annata prodotta nel Duemila quasi a festeggiare l’ottenimento della Doc, raggiunto nello stesso anno. E sono questi i tempi in cui Fabrizio Dionisio, romano, raccoglie il sogno avviato dal padre acquisendo una tenuta in località Il Castagno, «un angolo di paradiso dove passavo i mesi estivi, finendo per innamorarmene», mentre un secondo appezzamento nasce a Poggio del Sole, ancora nel Chiuso della Valdichiana, sistema collinare con altitudine media sui 300 metri. «Il syrah era poco più di una speranza» quando Fabrizio riuscì a convincere il padre, avvocato come lui, a impiantare le prime 75mila barbatelle provenienti dal Rodano. «Studiare, imparare a coltivare dubbi e incertezze aiuta molto», anche quando si finisce a coltivare qualcos’altro, per esempio la vite: «Sarà per questo che il vino venne buono fin dall’esordio del 2003 e che il miracolo si è ripetuto negli anni. Ciò dimostra l’importanza del territorio, mentre noi fortunatamente incidiamo pochissimo». Si aggiunga la fortuna del syrah, «una varietà così suadente che sui suoli di Cortona coniuga l’essenza femminea col nerbo e la potenza». L’azienda cresce ma Dionisio mantiene un carattere artigianale, una filosofia a misura d’uomo che si respira negli ambienti e nelle parole, nel gesto di ogni collaboratore. Allo storico Castagno, la sintesi del syrah cortonese, si è affiancato il più immediato Castagnino e il cru Cuculaia, nonché una sorprendente versione spumantizzata desiderio della moglie Alessandra, mentre tutta la famiglia è rappresentata dall’acronimo Linfa, «il syrah più nudo, vinificato in anfora» ma pulito, nitidissimo nella sublimazione della sua nota fruttata.
Risponde per le rime Stefano Amerighi, nato a Foiano della Chiana, che a sedici anni cominciò a bere consapevolmente grazie alle bottiglie che il padre, tuttora allevatore di maiali, recapitava da Montalcino. Quindi l’università a Siena, la facoltà di Scienze Politiche, un corso da sommelier e certi syrah che lo stregarono definitivamente: «Mi sembrava impossibile che si facessero qui, nel cortonese», parola di chi è divenuto presidente del relativo consorzio di tutela. All’alba del millennio i colli del Poggiobello di Farneta furono l’avamposto per i primi impianti, la biodinamica una scelta di vita non scindibile dall’antroposofia, laddove «coltivare educa a una visione complessa del mondo». Anni da monaco, di solitudine e di lavoro, di contrasto con la famiglia in nome di una missione. Fino alla prima coppia di turisti che andò a cercare il suo syrah, «non la dimenticherò mai», anello di una catena di sintonie umane ad accompagnare vini sempre più centrati ed espressivi. «Non abbiamo il clima della Côtes du Rhone — ricorda Francesco Beligni, suo braccio destro —. Non i loro suoli granitici e calcarei, le loro pendenze». Si guarda alle eccellenze del grande nord, a denominazioni come Hermitage o Cornas, «ma dobbiamo domare il calore e la siccità delle nostre annate» e quindi l’alcol, la materia. Nuovi impianti raggiungono gli 800 metri sopra i tetti di Cortona, «tutti ad alberello, su suoli ricchi di scisti e galestro», inarrestabile la sperimentazione in cantina, vinificazione di grappoli interi con i raspi, rinuncia al legno in favore di cemento e ceramica. «Un’interpretazione più vicina possibile all’essenza del vitigno — dice Amerighi —, legata all’aspetto floreale», dove il proverbiale pepe del varietale sia «un tappeto musicale che accompagni la gentilezza, la magia». Il classico syrah nasce da una parcellizzazione di 30 lotti, «fiore, sale, china, violetta», Serine è frutto di un clone antico, mantenutosi puro, l’Apice è il racconto introspettivo di suoli calcarei e maturazioni più lente.
Nella collina adiacente Cortona troviamo la sede di Baracchi, «un piccolo mondo a chilometro sotto zero», dal ristorante al wine resort, fino alla cantina, oggi guidati con energia da Benedetto Baracchi. Qui si produce vino dal 1860 ma si guarda alla modernità, si pensi alle pioneristiche spumantizzazioni di sangiovese e trebbiano o al primo Syrah Riserva della Doc Cortona, oppure all’etichetta che lo vede in blend col cabernet sauvignon. I 32 ettari di vigneto sono divisi in quattro zone e questo offre una molteplicità di suoli e microclimi, così che ogni varietà abbia la dimora più adeguata. «Ci divertiamo a giocare anche oltre il syrah», che prende il nome di Smeriglio quando nasce dalle vigne del Falconiere, «terreno sabbioso ricco di minerali, per un vino che alla speziatura predilige il frutto»; la Riserva affina in barrique e le uve provengono dalla zona di Gabbiano, «suoli argillosi dove la pianta spinge molto, più concentrazione e più alcol», sentori di prugna e marasca, di ciliegia. Affiancato da Filippo Simonetti, «che in ambito vino è il nostro tuttofare», Benedetto scruta l’orizzonte immaginando soluzioni per affrontare il cambiamento climatico, «dai nuovi cloni alle forme di allevamento più adeguate, sempre che non si debba ricorrere agli impianti di irrigazione». Guardando a tutto il comprensorio, il Cortona Syrah rappresenta l’80% delle oltre 500mila bottiglie prodotte come Doc, per un mercato che trionfa all’estero con Stati Uniti e Nord Europa in testa, Brasile, Canada, Cina e Giappone in crescita. Tra i vini protagonisti di questo successo dovremmo raccontare il Crano e l’Arenite della famiglia Baldetti, il Pietro di Stefania Mezzetti e il Laudario de I Vicini, lo 0.618 di Leuta e il Klanis di Tenuta Montecchiesi. Così come colpiscono certe giovani realtà che si affermano con produzioni qualitative, subito apprezzate da critica e consumatori.
Mirco Zappini è un raro «cortonese doc che fa Doc Cortona», ha studiato da perito elettronico e lavorato da orafo, da idraulico, con la moglie si è dedicato alla serigrafia su tessuto per conto di griffe internazionali. L’avventura in cantina nasce nel 2012, restaurando un antico casale con grandiosi affacci in località La Rota, a oltre 300 metri di altitudine, nella frazione di Farneta: «Fu allora che decisi di vinificare le nostre uve, puntando soprattutto sul syrah». Entro pochi anni le bottiglie della sua Cantina Canaio (chiamata così in ricordo di un avo, appassionato di caccia e proprietario di molti cani) si fanno apprezzare per originalità e spesso re, il Calice è un syrah interamente prodotto in acciaio, fresco e godibile, il Terra Solla è più strutturato e affina in legno, il Villa Passerini si fa in anfora con le uve coltivate nell’omonima dimora cortonese. «Non è un lavoro ma il coronamento di un sogno — dice Mirco — e anche i nostri ospiti apprezzano la passione con cui lo portiamo avanti». E sono qua vicino i due ettari vitati di Fabrizio Doveri, che per vinificare si sposta sotto casa, a La Dogana, prima annata nel 2011 per una sola etichetta (in juta, tributo all’esperienza nel tessile). Ecco il Cortona Syrah L’Usciòlo: «Che non vuole copiare nessuno, è semplicemente il mio vino, biologico e senza aggiungere niente». Succoso quanto ampio, sapido, con potenziale di invecchiamento enorme. Anche alla Cantina Doveri si parla di ospitalità, anzi chiudiamo con una nota di ottimo auspicio: «Dopo due anni difficili sono tornati i turisti, perlopiù stranieri, qui come nei dintorni. Sono la nostra pubblicità migliore, è grazie a loro se piccole realtà come questa possono diventare internazionali». E se in giro per il mondo possiamo incontrare bottiglie testimoni di una Toscana nuova, antica, diversa, come quella del Cortona Syrah.