Qualche giorno fa un amico mi scrive per avvisarmi dell’uscita, su Netflix, di un nuovo film: Il Sommelier (Uncorked, nella versione originale) scritto e diretto da Prentice Penny. Amo i film che riguardano la mia vita lavorativa – in particolare il vino – e ricordo sempre con piacere titoli come Sideways, A Good Year con Russell Crowe e Cocktail con Tom Cruise. La storia raccontata dal nuovo film statunitense è veritiera e potrebbe rispecchiare la vita di tanti amici e colleghi.
Siamo nel Tennessee, più precisamente a Memphis, patria del blues e del BBQ: è qui che si svolge ogni anno, infatti, il World Championship Barbecue Cooking Contest. Il protagonista Elijah (Mamoudzou Athie) è un giovane cuoco della griglieria di famiglia con la passione per il vino e con il sogno di diventare un grande sommelier. L’attività di famiglia va bene e potrebbe rappresentare una strada sicura ma lui – che lavora anche part-time in un’enoteca della città – è combattuto tra le speranze di suo padre Louis (Courtney B. Vance), che vorrebbe affidargli il locale, e il desiderio di conquistare il titolo di Master Sommelier. È forse questo l’unico aspetto meno credibile del film perché nella realtà si tratta di un percorso molto più lungo e di un traguardo che in pochissimi riescono a raggiungere. Con grossi sacrifici economici, Elijah inizia a frequentare la Scuola di Sommelier e insieme a tre nuovi amici studia duramente sui libri e con il bicchiere, tra bottiglie di Chardonnay e Barolo, vigne francesi e cantine della Napa Valley.
In Uncorked ho trovato tante similitudini con il mio percorso lavorativo iniziale, quando dovevo dividermi tra la sala del ristorante, i libri e i gruppi di degustazioni. I film che prendono spunto dal nostro lavoro e dal vino sono sempre pochi ed è per questo, forse, che è facile affezionarsi subito. Sullo schermo viene spiegato in modo realistico cosa vuol dire dedicarsi seriamente al mondo del vino, soprattutto per quanto riguarda i corsi per Master Sommelier. Quando partecipavo alle gare mi ricordo che studiavo 5/6 ore al giorno, tutti i giorni, e mi incontravo con il mio allenatore 2/3 volte a settimana; inoltre, proprio come Elijah, organizzavamo degustazioni alla cieca con altri amici e colleghi, a volte anche dopo il lavoro. E anche io avevo la mia camera piena di cartine attaccate alle pareti e dietro la porta, libri e appunti ovunque.
Spesso in Italia si sottovaluta la figura del sommelier, come poi succede nel film quando la famiglia lo prende in giro chiedendo se vuole fare il “somalo”. In Francia – dove infatti lui va a studiare – questo non succede, c’è estremo rispetto per questo ruolo, le scuole sono molto serie e non offrono solo corsi di durata limitata. In generale, mi è piaciuto il fatto che il film esplori nuovi modi di parlare di vino: ad esempio nella scena, ottima, in cui Elijah conosce Tanya in enoteca. Lei, che non sa nulla di vino, cerca un vino per un regalo e lui le consiglia che bottiglia scegliere trovando un terreno comune: la musica, tema che fa da padrone in una città come Memphis. Alla fine lei se ne va – piuttosto colpita – con un Riesling: “Definito, pulito, con un finale dolce, un sentimentale”, in altre parole il “Drake” dei vini. Farsi capire dai clienti è proprio la parte più difficile: nei corsi ci insegnano a spiegare il vino in modo complesso e con un lessico molto ricco, ma con i nostri ospiti bisogna riuscire a entrare in empatia, a modulare il tono di voce, ed Elijah è bravo a capire che linguaggio possa essere più efficace per Tanya.
Intendiamoci, non è un film eccezionale – anche se è già tra i primi posti nella classifica dei più visti su Netflix – ma è comunque riuscito e rilassante. Lo paragonerei proprio alla sensazione che può dare un ottimo bicchiere di vino. Un Nebbiolo Langhe 2018 Pelissero, ad esempio: piacevole, senza pretese, ma che potrebbe un domani diventare anche un grande Barbaresco.
Rudy Travagli
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