Sognava di fare l’interprete e di lavorare alla Comunità europea. Invece si è ritrovata inaspettatamente, da autodidatta, a gestire la sala della trattoria di famiglia a Rivisondoli, in Abruzzo. Si è messa a studiare, ha osservato cosa succedeva nei locali dei più bravi e ha sviluppato la sua personale filosofia, accompagnando la cucina del fratello Niko. Nel frattempo quella trattoria è diventata un ristorante con tre stelle Michelin. E lei, da quasi vent’anni (lo saranno nel 2020), è la garbata padrona di casa.
Ieri sera, a Saint-Jean-Cap-Ferrat, Cristiana Romito ha ricevuto il premio come miglior Restaurant Manager del 2019 da Les Grandes Tables Du Monde, l’associazione francese che rappresenta e promuove i migliori ristoranti in tutto il mondo. Un riconoscimento all’eleganza informale della sala del Reale a Castel di Sangro, speculare all’esperienza gastronomica.
Sarà finalmente l’ora di parlare di uno stile Romito anche in sala, e non più solo in cucina?
«Ci sono tanti stili di servizio – sottolinea con decisione la General Manager di Casadonna e Maître D’ del Reale – così come ci sono tanti stili di cucina. Servirebbe parlarne di più e meglio. Questo premio rappresenta un riconoscimento internazionale della qualità del nostro modello. È un onore e una gratificazione per tutta la squadra. Noi siamo in sette. C’è un ragazzo che sta facendo uno stage e che viene da Intrecci, la scuola di alta formazione di sala. E c’è Gianni Sinesi, il nostro sommelier, con cui lavoro da sedici anni in simbiosi totale: è il mio alter ego in sala e i suoi abbinamenti completano alla perfezione il percorso ai tavoli del Reale».
Come descriverebbe lo stile Reale?
«Sicuramente mi riflette e mi rappresenta, ha un tono di voce rassicurante e discreto, quasi sussurrato ma allo stesso tempo deciso. Cerchiamo di seguire l’ospite con un’eleganza disinvolta, senza essere invadenti. La nostra è una coreografia che non ammette stonature, ognuno deve sapersi muovere nello spazio e conoscere le posizioni degli altri colleghi: è una specie di danza intorno al tavolo che ha bisogno di studio e preparazione ma agli occhi del cliente si rivela spontanea e informale. La mise en place è essenziale, il tavolo all’inizio è pulitissimo: ogni posateria viene messa in base al piatto che arriva. Probabilmente è uno stile diverso dai canoni classici del fine dining ma molto coerente con la cucina di Niko».
È difficile accompagnare e raccontare la cucina di Niko Romito?
«Seguo mio fratello in questo percorso da sempre e conosco profondamente la sua cucina. Sono la prima ad assaggiare i suoi nuovi piatti, che poi devono essere provati da tutta la squadra di sala. La cucina di Niko parla da sola, noi cerchiamo di presentare il menu dando le informazioni principali, ad esempio le tecniche di cottura, ma lasciamo che sia l’ospite a farsi una sua idea. Solo quando ha finito il piatto instauriamo un dialogo e condividiamo le sensazioni».
I clienti con l’attitudine migliore?
«Quelli del Nord Europa, sono colti e preparati, con una grande apertura mentale. Si riconoscono molto nella cucina di Niko, amano i nuovi piatti come il piccione con chiodi di garofano, acqua e sedano o il rombo alla brace con capperi e genziana, anche se magari alcuni ingredienti non appartengono alle loro tradizioni».
Cosa serve alla formazione di settore, in particolare agli Istituti Alberghieri?
«Un approccio più multidisciplinare. Il livello culturale degli studenti deve migliorare, a cominciare dalla conoscenza delle lingue e dall’approfondimento di temi al di fuori del mondo della ristorazione. Puoi anche conoscere tutto della mise en place o delle tecniche di sporzionamento ma è inutile se non sei in grado di entrare in empatia con i clienti e rispondere alle loro domande. La formazione deve includere anche le soft skills: abilità comunicative, capacità di lavorare in gruppo, problem solving. Noi spesso dobbiamo essere in grado di gestire situazioni complicate al tavolo, a volte anche litigi di coppia, riportare il sorriso e trasformare l’umore degli ospiti. La routine non deve esistere, ogni sera è come andare a teatro».
È ancora emergenza sala?
«Sicuramente c’è più attenzione rispetto al passato ma c’è ancora molto da fare in termini di informazione. Io ricevo ancora pochissimi curricula rispetto alle candidature per la cucina. Oggi molti ventenni si sentono già arrivati. Invece in questo mestiere non si deve mai smettere di imparare e guardare. Bisogna essere delle spugne. Il consiglio che do ai miei ragazzi è quello di girare il più possibile, e non solo nell’alta ristorazione».
Chi sono i suoi punti di riferimento nel settore?
«Antonio Santini è ancora il grandissimo che ha fatto la storia della sala. Con Maurizio Menichetti (il sommelier di Caino, ndr) abbiamo un rapporto speciale, anche per la vicinanza di Niko con Valeria Piccini, e lo considero un altro straordinario uomo di sala. E c’è una bella sintonia e stima con Catia Uliassi, con cui mi confronto spesso pur nelle nostre diversità».
C’era proprio Antonio Santini sul palco della Riviera Francese a premiare un’emozionata Cristiana Romito, che ha così commentato: «A Casadonna e al Reale ho sviluppato la mia propria idea di ospitalità, studiando, osservando e guardando le più grandi sale del mondo, ma da sempre ho pensato che la migliore sala sia quella di casa».
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