Cronache del sottosopra

Cronache del sottosopra

In Moldova, nel segno del vino e dell’ospitalità eroica, tra enopoli ipogee, chilometri di tunnel e bottaie sotterranee alla scoperta di ex miniere trasformate in cantine e tasting room iperlevigate.

Il bundle del corso accelerato Tetris+Risiko che l’attualità, imponendosi, suggerisce di maneggiare con crescente destrezza muta le regole (sic) di ingaggio (sic?) di certi viaggi. Vale in generale e di più se la destinazione si trova alle porte di una nazione invasa, sotto attacco da settimane. Costringe a rivedere tempi storici e tempistiche di esplorazione, prospettive di approfondimento, ritmo e velocità di lettura. E così quello che doveva essere un blend di placidi carotaggi ad assaggiare tra Feteasca e Rara Neagra (due varietà locali di uve) e navigar dolce per vigne e paesaggi nel winescape moldavo ha restituito molto più del previsto: la conferma della leggendaria ospitalità locale che da quinta rassicurante s’è fatta palco (senza però messinscene) e tanta, tantissima umanità. Vitigni e calici, certo. E brindisi in compagnia di rifugiati ucraini, passeggiate in solitaria tra i filari, chiacchiere senza fretta ai lembi di terre in cui l’attesa e l’urgenza dell’imprevisto hanno tutt’altro significato. La retorica d’ordinanza è inevitabile, necessaria. E pone un quesito: qual è il registro narrativo più adeguato? Mi ci sono dedicato prima di partire, la “operazione militare speciale” era già in corso. Me lo sono domandato durante la permanenza in Moldova (non Moldavia, vă rog). Poi ho trovato una chiave: il dentro/fuori, un binomio da declinare in due varianti.

La prima è quella del sottosopra, si srotola al buio e sotto ai neon di centinaia di chilometri di gallerie sotterranee di tre cantine. Con l’underground dell’Europa Orientale abbiamo del resto la relativa dimestichezza che va dalla cronaca dal sottosuolo delle città che resistono, all’intima penombra di alcune crama, passando per Dostoevskij e Kusturica e chissà chi altro. Non è mappa ma può farsi viatico e portolano. L’altro è quello dei confini: non solo terreni e terroir, dunque. Ma territori e terre contese o condivise. Dalle prime ore della guerra l’accoglienza delle border wineries – una su tutte, Purcari 1827 – tiene infatti insieme gli ospiti in cerca del mix di esperienze che altre destinazioni di enoturismo hi-end propongono (tasting e escursioni, otium slow et similia) con chi ha attraversato la frontiera e non sa quanto resterà. Tutti insieme, nel segno (anche) del vino, a dare diverso senso alla keyword che da due anni aleggia stanca sul comparto travel: #proximity. E una nuova accezione di vini “eroici”. Trenulețul, il brano con cui la Moldova ha partecipato all’Eurovision Song Contest, omaggia i Ramones (Hey, ho!) e urla Folklore și Rock ’n’ roll su un treno per Bucarest. Mi torna così in mente la stazione della capitale: solo partenze per la Romania, sul tabellone niente orari per Odessa o San Pietroburgo. Eccola allora la sintesi dell’affinamento del racconto: il pop genuino, dal kitsch d’antan (e di oggi) a quello di una cordialità senza fronzoli, sopra – o sotto? – le righe. Nota da sussidiario: la Moldova è poco più grande del Belgio, appena più piccola di Taiwan ed è attraversata dai corsi di due fiumi notevoli. Quello del Prut segna la frontiera occidentale con la Romania, la gemella diversa con cui condivide lingua, vessillo, liturgie. Il Nistro fa invece da cerniera liquida a est, con quel pezzo di paese chiamato Transnistria e, oltre, l’Ucraina. C’è poi il sud: la Gagauzia in cui si parla più turco e russo che romeno, l’ex Bessarabia col Danubio a due passi e le acque salate del Mar Nero a un’ora. Con la Georgia la Moldova ha condiviso il ruolo di fornitore primario di vino all’Unione Sovietica. Poi la rinascita, da paese indipendente, nel segno della densità di superfici vitate e di qualità dei vini. Riconoscimenti, wine routes & co nelle aree Igp (Codru, Valul lui Traian, Stefan Voda) per una consacrazione al rallentatore ma solida.

Restiamo al di qua dell’eterogenesi dei confini e facciamo base a Chişinău. Per arrivare a Mileștii Mici basta mezz’ora dal centro, idem per Cricova: in entrambi i casi i vialoni a troppe corsie lasciano spazio a curve nette e lievi pendenze prima di giungere a destinazione. Fino a qualche tempo fa non era necessario fermarsi ai rispettivi parcheggi: si poteva tenere il motore in folle, controllare che i fari fossero accesi, mettere la prima e varcare lo stargate di mondi ipogei di ex miniere. L’ho fatto anch’io, confesso. Ma in motocicletta, col pretesto del diritto/dovere di cronaca e la scusa della nostalgia di una corsa inquinante e senza casco. Le due aziende più grandi hanno una sessantina di chilometri di gallerie ciascuna ancora in uso, con quelle “off” il conto complessivo sale a oltre trecento e sfiora i quattrocento se si aggiungono anche i vuoti rettilinei di Brăneşti col suo ristorante Epoca de Piatră in stile Flinstones. Vinograd si potrebbe tradurre Città del Vino, in romeno indica invece semplicemente una vigna. Queste tre enopoli sotterranee hanno strade, incroci, pendenze impercettibili. Cavità buie e spazi misteriosi, Golden collection e una teoria di tasting room da antologia iperlevigata del marmo: una sconfinata wunderkammer a troppi zeri per azzardarne una sintesi. E aneddoti su aneddoti, col verosimile e il plausibile a mettere in crisi il motto “in vino veritas”. A Cricova si dice che Yuri Gagarin si sia perso, forse è solo un refuso sulle date di ingresso e uscita. Appunto. Hey, Ho. Let’s go! E Noroc (“buona fortuna” ma anche “salute” alzando i calici, in romeno) a chi scappa dalla guerra. E a chi accoglie, dentro e fuori.

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Foto in copertina: Le gallerie delle bottiglie storiche, alloggiate nelle kaza (nicchie) (ph. Vinăria Cricova).

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