Uno degli effetti più evidenti della pandemia riguarda le limitazioni imposte alle nostre abitudini. Tra queste, quelle alimentari hanno subito un drastico cambiamento: il consumo del cibo come momento nutritivo, ma anche come atto colloquiale e sociale, è stato nei fatti stravolto dal confinamento. Se da una parte, infatti, i luoghi della ristorazione sono stati modificati per tutelare la salute, dall’altra è la casa ad essere diventata il teatro di un nuovo modo di vivere gli spazi e le funzioni dell’abitare. Casa Mondo (@maxxicasamondo) è la prima digital exhibition del museo MAXXI di Roma e indaga proprio le idee connesse a questa trasformazione in atto.
Lanciata lo scorso giugno e destinata al grande pubblico del museo, la mostra utilizza un profilo Instagram che è stato appositamente progettato (dallo Studio Formafantasma) per accogliere sette progetti di altrettanti designer ai quali è stato richiesto un progetto/ragionamento su una funzione dell’abitare. L’idea è quella di trattare la casa non più come luogo tradizionalmente suddiviso in stanze, che identificano ognuna una funzione dell’abitare (cibo-cucina), bensì come spazio diffuso in cui le funzioni diventano super-funzioni, vere aree tematiche. Il consumo del cibo in casa, infatti, non è più riservato alla cucina o alla sala da pranzo, ma diviene una funzione espletata in diverse modalità e zone. In più, da quanto l’orizzonte domestico è l’unico o il principale limite della nostra azione, ecco che le funzioni domestiche assorbono quelle esterne e allora la scrivania diventa un ufficio ma anche una mensa, oppure il tavolo assume il ruolo della scena conviviale trasformandosi in “ristorante” temporaneo, magari accogliendo, oltre al cibo, anche il tablet connesso con gli amici.
Tutto questo ci porta a rivedere quanto assunto dal mondo del progetto in passato (e infatti su Casa Mondo si trovano diverse references storiche) e a porre ai progettisti contemporanei le domande sul mutamento di orizzonte. Così, per il tema del Food Elena Tinacci ed io, in quanto curatrici della mostra, abbiamo chiamato quello che è stato senza dubbi il più rivoluzionario tra i progettisti sull’argomento negli ultimi vent’anni, il catalano Martí Guixé.
Il designer – o meglio “ex-designer” come egli stesso si è definito – ha realizzato espressamente per Casa Mondo una serie di disegni, che sono diventati altrettanti post sul feed di Instagram, accompagnati da statement che condensano una sua teoria sul cibo e lo spazio sviluppata nel corso di questi anni. La sua riflessione parte dai fatti che nella storia recente hanno rivoluzionato il nostro modo di stare insieme agli altri, identificando un primo epocale mutamento negli attentati dell’11 settembre e il secondo nella pandemia da Covid 19. Pur essendo così diversi nei presupposti, entrambi i fenomeni hanno reso la casa il centro della nostra quotidianità, identificandola come spazio protetto. I viaggi, le uscite, le cene fuori, sono al contrario diventati atti non solo ritenuti non indispensabili ma, addirittura, suscettibili di pericolo.
Cambia così il nostro senso dell’ospitalità associato al convivio, ma anche la nostra fruizione del mondo esterno, non più autentica e diretta, ma mediata da mezzi tecnologici, riportata più che esperita. Il cibo, nella visione di Guixé, è anche l’unica e ultima forma di natura, per quanto morta, che entra nel mondo artificiale delle cose domestiche. Materia pronta alla trasformazione per permettere l’atto del nutrimento, il cibo però non è più gestito da una madre presente, come è stato per millenni, ma da tutorial che ne prendono il posto; essi elargiscono consigli, mostrano come fare, fanno compagnia.
La nuova mamma-cuoca digitale è, in questa visione, cosmopolita ma anche complessa, se non proprio caotica e straniante. Si evolve in un’assistente personale, Siri Chef, che è una forma di intelligenza artificiale che mima la possibilità di accudirci o, meglio, di sentirci unici e coccolati. Anche la prassi della fotografia del cibo è un surrogato del valore di status symbol attribuito all’esperienza: fotografiamo la nostra bravura, la nostra cultura gastronomica poliglotta, arrivata a domicilio magari attraverso un delivery, per trovare una condivisione, una compartecipazione o un’esibizione.
Il fermo immagine scattato da Guixé è nitido, chiaro, a tratti spietato. Ma è quello che un buon designer sa fare: osservare comportamenti per progettarne di nuovi.
I/ MONDO: BENVENUTO A CASA
Nel 2000, se si viaggiava senza bagaglio si poteva fare del mondo intero un’estensione di casa propria (HiBYE, Moma 2001).
Dopo gli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001, il mondo è quello che c’è al di fuori dalla porta, e casa tua ti protegge da esso. Nel 2020, il mondo entra in casa tua, ma tu non esci più. Nel prossimo futuro la tua casa conterrà una miniatura, un prototipo soggettivo e malfatto del mondo.
II/ IPEROSPITALITÀ
Nelle antiche civiltà l’ospitalità prevedeva di accogliere lo straniero offrendogli cibo, riparo e sicurezza. Se il mondo arriva in casa tua dovresti accoglierlo in base ai principi dell’ospitalità. Il mondo entra come un estraneo e può darti informazioni su cosa sia strano, inusuale. In cambio tu gli doni cibo (pubblichi su Instagram quello che hai cucinato), riparo (proteggi l’ambiente) e sicurezza (contribuisci ad essa attraverso la politica).
III/ IL CIBO È IL LUOGO
Il mondo virtuale è sempre più importante: lavoriamo e socializziamo online, giochiamo ai videogiochi, comunichiamo attraverso gli smartphone. Il cibo è una delle poche cose reali rimaste, che interagisce con il corpo fisico e funziona come accessorio di autovalutazione e autoaffermazione. Il cibo diventerà l’oggetto più progettato, desiderato e significativo della nostra società. (Martí Guixé, 2014)
Questa considerazione speculativa viene ribadita con la pandemia e le crisi del 2020.
Il cibo rimane il nostro unico legame con la natura, o riferimento a essa. Manipolazioni, prove, esperimenti ed esperienze con l’atto del cucinare e prodotti, semi, odori, sapori, consistenze e riscontri sensoriali ridefiniscono la relazione umana con la natura, stabilendo una complicità estetica, fisica, esperienziale, ideologica, esoterica e mistica che ci permette di costruire una relazione a distanza con l’idea del “naturale”.
IV/ NON-MAMMA POLIETNICA
La cucina di casa è basata sulla tradizione e sulla trasmissione di ricette attraverso libri, manuali – e mamme, che cucinavano nelle famiglie e tramandavano questa conoscenza alla generazione successiva.
Al giorno d’oggi, Internet è un sostituto materno e la scomparsa della figura della madre come portatrice e trasmettitrice di informazione gastronomica di generazione in generazione è rimpiazzata dai big data e dai video di ricette. Con la sostituzione dei libri di cucina, scompare anche un asse che definisce qualità, etica, stile e classificazione geopolitica.
Questa nuova cuoca-non-mamma è cosmopolita, meta-territoriale, caotica, complessa, disparata e poli-etnica. La gastronomia nella rete non ha regole: è ingannevole, gioca scherzi, manipola. Il mondo gastronomico è interpretato attraverso la soggettività, attraverso l’incoerenza o attraverso una conoscenza insufficiente. È il grande caos culinario.
V/ SIRICHEF DE CUISINE
Internet è il migliore e il peggior cuoco del mondo. È una piattaforma che organizza contenuto, ma non lo fornisce o filtra. È una madre che ha tutta l’informazione del mondo: buona, cattiva e falsa – ma che non pensa.
Nel film HER (Spike Jonze, 2013), facciamo la conoscenza di un’assistente virtuale che assume il ruolo, soprattutto, di una madre, e lo interpreta brillantemente.
Abbiamo bisogno della SIRICHEF de Cuisine, intelligenza artificiale che sa tutto su di noi e sa come gestire la cosa in termini reali e personali. Nascerà così una cucina globale e locale allo stesso tempo, la nuova cucina poli-cosmopolita. La SIRICHEF de Cuisine non è come Siri. La cucina e il cibo non sono organizzati come i contatti della rubrica o un’agenda lavorativa. Sono elementi empatici, materiali e ingredienti concreti che colpiscono i sensi. È importante che la complessità di ciò che è legato alla gastronomia non sia gestita dall’economia o dalla funzionalità del mondo virtuale.
VI/ ARCHITETTURA MODERNA vs FOOD DESIGN
È la cucina che crea il cibo, o sono i prodotti, la cultura gastronomica e la tradizione a condizionare la cucina come elemento per la trasformazione del cibo? Nell’architettura moderna, la nuova casa era una macchina per abitare (Unité d’habitation, Le Corbusier). Rendeva funzionale ergonomicamente la vita quotidiana, ti proteggeva e costruiva un’immagine sociale. Adesso la casa in quanto simbolo non è più rilevante, l’elemento formale della casa diventa il tuo stesso corpo, la sfera privata passa dal personale all’intimo. Il cibo costruisce la tua immagine sociale e al tempo stesso, grazie alla sua ergonomica fisiologica, sancisce e rimodella il tuo corpo.
VII/ CASA MONDO RISTORANTE DOMESTICO
Cinque punti per una nuova gastronomia (ispirati al Manifesto di Le Corbusier)
Le prossime cinque considerazioni teoriche sono basate su 23 anni di ricerca nell’ambito del Food Design.
La teoria necessita di una formulazione concisa.
I punti non sono affatto collegati alle fantasie estetiche o alla ricerca di effetti di moda, ma riguardano eventi culinari che prevedono un tipo totalmente nuovo di gastronomia.
1/ Instagram bon vivant public eye
Il cibo ha assunto uno status e una rappresentazione simbolici. La gastronomia incorpora parametri che hanno a che fare con la luce e le ottiche, e si estende a formati fotografici e video.
Le sessioni culinarie saranno condivise attraverso l’immagine, che sia fissa o in movimento, per offrire ospitalità al mondo, quel mondo gastronomico che viene accolto in casa. Il cibo nutre e ti configura e, con l’atto di condividerlo sui network, ti rappresenta anche socialmente.
2/ Sketch food
Il cibo fatto in casa diventa un prototipo cronico. Nel cibo casalingo convenzionale la ricetta è locale o nazionale, dunque replicarla non crea un modello o un prototipo ma piuttosto la migliora o la mette in pratica. Nel caso di un libro di cucina globale, quello dei big data, se la ricetta non è più locale, quando si cucina il risultato è un bozzetto di qualcosa di ignoto che non diventerà mai un oggetto finale, sarà sempre uno schizzo abbozzato o un prototipo, con il carattere di un’eterna mock-up, perennemente incompiuto e mai autentico.
3/ Mixed media food chain
Nell’interpretazione, appropriazione o trasformazione soggettiva non c’è bisogno di seguire regolamenti. A casa tua, nella tua sfera privata, non ci sono né regole né dogmi. Non sei tenuto a comportarti in base ad alcun parametro razionale, puoi anche oltrepassare i limiti della salute, della nutrizione o di ciò che è considerato edibile. I risultati sono definiti in base alle tue abilità e alla tua conoscenza in rapporto all’esperienza e alla tua cultura personale. I tuoi ingredienti saranno multi-trasversali: biologici, coltivati sul balcone, di quinta gamma, industriali, trovati per caso, chimici, transgenici, illegali…
4/ AI-CHEF Gourmet
AI-CHEF Gourmet è una non-madre artificiale che si differenzia da SIRI perché ha a che fare con temi non legati al virtuale, al lavoro, ai contatti sociali o all’economia. AI-CHEF Gourmet si occupa di un ambito materiale: il cibo. Di conseguenza, dal punto di vista gastronomico AI-CHEF Gourmet è molto empatico e accompagna i suoi utenti nelle mansioni culinarie con tutte le loro implicazioni tecniche, tecnologiche, sensoriali e culturali.
5/ Pasti site specific
La tavola e il piatto non sono più riferimenti. Ogni pasto è una personale installazione, performativa e coerente con il contesto e il momento. I rituali sono pre-fissati con i commensali. L’atto di cucinare e il cibo non sono solo funzionali ma includono elementi fotogenici per lo streaming in diretta o per la trasmissione in differita, e per l’archiviazione e visualizzazione.
I cinque precedenti punti chiave delineano un’estetica fondamentalmente nuova. Non resta più nulla della gastronomia delle epoche passate, e nessun beneficio può essere ottenuto dalle nozioni letterarie e storiche che vengono insegnate nelle scuole gastronomiche.
(…)
L’era del Food Designer sta arrivando
Martí Guixé
“A Food Designer is somebody working with food, with no idea about cooking” (Inga Knölke, 1999). Questo statement riassume in maniera efficace quale sia il lavoro di Martí Guixé nel campo del Food Design. Il designer catalano nel 2001 si è proclamato ufficialmente “Ex-Designer” sottolineando la sua rottura dalla prassi tradizionale del design. Da allora la sua attenzione progettuale si è spinta verso le “materie viventi”, soprattutto verso il mondo del food, privilegiando il lato concettuale, indagando i processi, i metodi del consumo e della distribuzione del cibo e la sua dimensione sistemica. Nascono da questa attitudine alla speculazione i suoi progetti nel campo della ristorazione, dove realizza il format Food Balls, ristorante basato esclusivamente su la vendita e il consumo di polpette di ogni genere e tipo.
Di recente ha completato una serie di mostre-esperienze sul cibo, iniziato a metà anni ’90, con un lavoro realizzato con stampanti 3D (Digital Dark Food, 2017), separando i dati nutrizionali dalle qualità organolettiche del cibo tradizionale, in una forma di nutrimento personalizzato che indaga la separazione tra corpo e mente. Negli anni ha progettato dalle bevande alcoliche in forma solida alla pasta che viene fruita come tapa, portando l’esperienza più verso interrogativi aperti che soluzioni. Spesso si è confrontato con chef del calibro di Ferran Adrià o Antto Melasniemi. Con quest’ultimo ha concepito la Lapin Kulta Solar Kitchen, ristorante all’aperto che usa esclusivamente il sole per cucinare.
Guixé è interessato al cibo come reagente di nuove relazioni sociali, oppure come attivatore di speculazioni sulla relazione tra corpo e mente e i limiti tanto dell’artificialità innovativa, quanto della naturalità tradizionale.