Con 112 anni di attività alle spalle, non si può certo dire che il Grand Hotel Tremezzo – leggendaria struttura pieds dans l’eau – sia una nuova apertura. Eppure, sono diverse le novità che l’elegante albergo sul Lago di Como (dove l’hôtellerie conosce ormai da alcuni anni un rinnovato splendore all’insegna della gastronomia e della mixology) propone per l’estate 2022: dalla proposta wellness di Villa Sola Cabiati, dimora settecentesca annessa all’hotel, alla drink list del TBar e la boutique online Sense of Lake, dedicata a creazioni locali ed eccellenze del Made in Italy. Mentre la punta di diamante della nutrita offerta gastronomica della struttura – che comprende pure lo spin-off al Lago del milanese Da Giacomo, con la sua celebre offerta di crudi e piatti di mare – resta La Terrazza Gualtiero Marchesi, che porta sulle sponde del lago l’eredità preziosa del grande maestro della cucina italiana e i suoi piatti che hanno fatto la storia.
In Costa Smeralda è sbarcato Claudio Melis: lo chef di origini sarde – a lungo alla guida de In Viaggio Claudio Melis Ristorante di Bolzano – firma l’insegna del nuovo Pasigà Restaurant del Sulià House Porto Rotondo, Curio Collection by Hilton, boutique hotel affacciato sul Golfo di Cugnana, dove propone una cucina bistronomica e dall’impronta etico-sostenibile. Mentre a ridosso delle bianche spiagge della costa est, sulle colline del bel borgo di San Pantaleo, al boutique hotel Petra Segreta Resort & Spa – unico Relais & Châteaux della Sardegna – l’executive chef e patron Luigi Bergeretto è affiancato dal collezionista di stelle Enrico Bartolini per la creazione dei nuovi menu della struttura. A cominciare da quello de Il Fuoco Sacro, ristorante gourmet la cui cucina attinge soprattutto da Stazzo Malcusa, fattoria biologica di proprietà poco distante dall’hotel: nascono così proposte come la Melanzana al pomodoro, la Tartara di bue rosso con curry, mandorle e caviale, la Zuppa di aragosta fresca locale, da godersi assieme alla vista su La Maddalena.
A Praialonga (nei pressi dell’Isola di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone, dove c’è la Riserva Marina più grande d’Italia) è invece approdato nel 2020 lo chef campano Nicola Annunziata. Dopo aver lavorato a Il Vistamare Restaurant di Latina – prima come sous chef di Rocco de Santis e poi come responsabile di cucina, confermandone la stella – guida la brigata del Pietramare Natural Food, ristorante gourmet (e stellato) del Praia Art Resort, albergo diffuso 5 stelle della famiglia Vrenna. Insieme ad Annunziata – e alla sua brigata di dodici persone – ci sono l’architetto, gourmand e cuoco Raffaele Vitale (già artefice del locale campano Casa del Nonno 13, al Pietramare in veste di consulente e “direttore creativo”) e il botanico Carmine Lupia. Alla base della cucina identitaria e contemporanea di Annunziata ci sono infatti l’attenzione al territorio e alla sua biodiversità e l’attività di foraging. Un esempio? Noi di Kalabria: spaghetti spezzati in una zuppa di pesci di scoglio dello Ionio con pesto rosso (pomodoro e peperone essiccati, Parmigiano, basilico e mandorle) e polvere di olive nere.
La Sicilia di Mantarro: un viaggio rassicurante e centrato sul gusto
Quando si parla di fine dining siciliano, di grandi maestri e ambasciatori dei sapori di Trinacria, si fanno spesso, e a ragione, i nomi di Pino Cuttaia e Ciccio Sultano. I loro ristoranti, con le relative stelle, hanno trasformato il volto gastronomico dell’isola e raggiunto oggi città lontane, da Roma a Vienna passando per Milano. Ma accanto a loro può affiancarsi senza remore un altro grande, schivo e riservato, infaticabile lavoratore non particolarmente appassionato di media: Massimo Mantarro. Nato all’ombra della “Muntagna”, etneo fino al midollo, Massimo vanta un curriculum interessantissimo, che parte da Taormina, passa per il Don Alfonso a Sant’Agata sui Due Golfi e il Cambio di Torino, il mitico Mulinazzo di Villafrati e il Duomo di Ragusa, per tornare a Taormina. Il suo è un percorso di gavetta prima e di mestiere poi, fatto di imprese titaniche, come quella di curare il food&beverage di uno degli alberghi più affascinanti al mondo: il San Domenico di Taormina. Storico e meraviglioso ex convento affacciato sul mare, set di pellicole di successo e oggetto di citazioni letterarie, il San Domenico è rinato, gastronomicamente parlando, grazie a Mantarro. È stato lui, ben prima della ristrutturazione, a prendersi cura del Principe Cerami — così si chiama il ristorante — e a trasformarlo in qualcos’altro.
Il resto lo ha fatto Four Seasons, con un investimento fra i più importanti nella storia recente dell’hôtellerie europea, e più di due anni di lavori. Oggi il convento è diventato una meta turistica in sé, ambita quanto la città stessa che lo ospita, dotato di comfort modernissimi incastonati come gemme fra gli antichi saloni, le terrazze e il chiostro. Inevitabile che una cornice come questa debba poter parlare di territorio: i prodotti, gli allestimenti, i sapori valorizzati sono quelli siciliani più schietti, dal dolce al salato, dallo sfincione alla cassata, passando per i migliori extravergine, formaggi e mandorle. Ma la Sicilia è un continente gastronomico che sta conquistando il mondo e qui ci limitiamo a citare solo qualche elemento di una proposta che, a partire dalla prima colazione (definizione riduttiva), spazia giornalmente fra mare e montagna e propone tante diverse sfumature. Ma sedersi al nuovo Principe Cerami significa iniziare un viaggio diverso e molto particolare, in cui la sapienza del cuoco di mestiere si incrocia con una scelta molto precisa relativa ai sapori di cui sopra. Lo si comprende a partire dalla cura dell’ospite, in una delle sale più piacevoli d’Italia, in cui ci si sente a proprio agio fin da subito, in barba ai blasoni e all’importanza del menu. Il servizio danza con garbo, è sempre attento e non si fa mai sentire. La cucina, invece, è focalizzata su una centratura di gusto che vuole e deve far comprendere a chi è a Taormina dove è arrivato.
Non c’è nulla, al Cerami, che ricordi la classicità di maniera. Ci sono, sì, elementi rassicuranti, come nel risotto alici, finocchietto e pistacchio: sono il riso stesso, il Parmigiano e il burro di Normandia. Fanno da architrave alle sottolineature locali, il pesce, gli aromi erbacei e le sfaccettature sapide del frutto di Bronte. Che diventano al palato un perimetro chiaro e inconfondibile per come vengono utilizzati. Sono di fatto la firma di un cuoco che della Sicilia conosce praticamente tutto e che ai suoi ospiti vuole trasmettere sincerità e concretezza. Senza troppi giri di parole e, soprattutto, senza inutili formalismi. – Marco Bolasco