A inizio dello scorso marzo, proprio quando Roma (e poi buona parte del mondo) stava per entrare in lockdown, Patrick Pistolesi presentava la sua inedita drink list “New Humans”. Una sorta di profezia, col senno di poi, più che una semplice intuizione dettata (anche) dal suo imprinting cinematografico carico di scenari distopici à la Blade Runner. Che poi questi nuovi umani del post-emergenza si siano rivelati migliori, beh, sappiamo che no. Diversi, sicuramente. E speriamo – per quel che più interessa qui – bevitori consapevoli e dai sensi acuiti, cultori di un bere miscelato no frills.
Drink Kong è stata la più bella tra le recenti nuove aperture della Capitale a tema mixology. Anche la più internazionale – tanto da guadagnarsi subito la posizione 82 nella World’s 50 Best Bars e il Campari One to Watch come rivelazione – in una scena romana che è sì in piena fioritura, ma ancora poco costante e vittima di diversi cliché duri a morire: «Qui da noi arrivano turisti contemporanei che cercano un’esperienza più innovativa e che, dopo giorni e giorni di estenuanti caffè e carbonare, esclamano “Thank God, a bar!”». E a minimo impatto: sono rigorosamente bandite le cannucce di plastica e si promuove la “no straw campaign”.
Quello di Pistolesi – uno dei bartender più esperti e talentuosi in circolazione, mamma irlandese e padre romanissimo – è un progetto ambizioso, che nasce negli spazi di un vecchio ricambio bici, in un angolo fascinoso del Rione Monti che mostra tutto il sincretismo e le stratificazioni architettoniche della città, e che ora può contare anche su una preziosa “giungla” urbana dove consumare un cocktail en plein air. Pistolesi e i colleghi del team – tra cui il bar manager Livio Morena – amano definirsi un “instinct bar”: «Perché vogliamo levare molte delle sovrastrutture – spiega – di un mondo che a volte è severo, difficile e noioso. Nessuno, quando è seduto al bancone del bar, vuole una lezione, ai nostri ospiti chiediamo che seguano il proprio istinto e l’umore, che abbassino la guardia, che giochino un po’ con noi».
Il precedente menù “Reflections” si basava sugli stimoli cromatici simbolici che agivano sull’immaginario del pubblico ispirando sensazioni ed emozioni: «Quasi delle tavole di Rorschach attraverso cui seguire il proprio istinto e umore. Da barman devo cercare di trattare con il genere umano, di prendere il lato migliore delle persone e interpretarlo con discrezione». “New Humans” – confezionato in un progetto grafico e tipografico raffinato e personalissimo, grazie alla collaborazione con Studio Lord Z di Alessandro Gianvenuti – è l’evoluzione del codice espressivo di Drink Kong, con 5 macro categorie di cocktail identificate da 5 archetipi e da una gradazione di colore in cui l’ospite può riconoscersi e attraverso cui può esprimersi, un po’ come succedeva con la precedente drink list, ma accendendo stimoli completamente inediti, da accompagnare (eventualmente) con le proposte della cucina, tra cui bao, dumpling e tartare che non sfigurano accanto all’offerta liquida.
Si parte subito forte, in un territorio poco conosciuto, con “NewMami” (che è un po’ come il mostro finale degli arcade anni 80, ma qui ci devi passare all’inizio) e i suoi sapori decisi, sapidi, dal gusto umami appunto. Poi ecco arrivare colori (e miscele) più rassicuranti e comprensibili: “Holus” – in latino “tutto ciò che è verde” – è la sezione dedicata ai drink ispirati al mondo vegetale (come il finocchio in “Darth Fennel” o il cavolo in “Savoy C”). “Kudamono” – in giapponese “tutto quello che riguarda la frutta” – si concentra sui cordiali freschi e i sapori di frutta intensi (a casa potete rifare il tropical green “Ultrakiwi” con la ricetta completa, link in fondo). “Herbs & Herbs” è ideale per gli amanti del bitter, e dunque del mondo dell’erbaceo e del balsamico, dell’officinale e dell’erboristico, con aperitivi e drink Negroni Style: provate il “Cobra Kai”, sottotitolo “no merci” (speriamo non serva spiegarvi che il rimando è a Karate Kid), la cui ricetta è nel link. Infine ecco “Sukoshi”, letteralmente “un po’”, la categoria dove trovano spazio cocktail analcolici e fermentati a basso contenuto alcolico.
Al livello inferiore si trova il laboratorio, con centrifugatori e distillatori, dove si sperimenta e si fa ricerca su ingredienti poco usuali. «Ma tutti i drink sono senza fronzoli e senza decorazioni – ribadisce Pistolesi – perché è importante solo cosa c’è dentro e perché per me la garnish è il locale». E così è, in effetti: un concentrato di pop culture, da Star Wars a Cocktail a Tron (cult movie del 1982 a cui il bellissimo e instagrammabile bagno rende omaggio), in cui emergono, tra neon, ideogrammi e botte di colore, tutte le passioni (e le inquietudini) adolescenziali e adulte di questo barman che ama spudoratamente anche il Sol Levante. Tra le grandi sale principali, dove c’è spazio anche per il palco per musica dal vivo e dj set, si cela un esclusivo omakase bar per sole dieci persone (e solo su prenotazione): «Cerco di tornare in Giappone quasi ogni anno, mi piacciono le contraddizioni, il contrasto tra tradizione e modernità, la serietà con cui fanno ogni cosa. A Tokyo ci sono bar e standard pazzeschi, dall’High Five al Tender Bar di Kazuo Ueda, che considero il mio maestro. È il luogo giusto per assaggiare i cocktail classici perfetti, con cristalli e ghiaccio impeccabili, e condivido la loro ossessione per la qualità. Dopo 23 anni so sempre dove e cosa comprare e come trattarlo».
Pistolesi, che pure è figlio di quel “Big Bang” della miscelazione romana di dieci anni fa e di cui riconosce la fondamentale importanza («tutti cercavamo un padre biologico come Jerry Thomas, tutti guardavamo alla grande miscelazione d’albergo, e quella legacy è importante, ma io volevo sdoganare la mixology in una direzione più pop, senza esasperazioni») ha voluto creare – emancipandosi dai manierismi degli speakeasy – una “specie nuova”. La stavamo aspettando.
Le ricette dei cocktail:
foto Alberto Blasetti
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