aglio ordino ph. Greg DuPree

Elogio dell’aglio orsino

Anche se la sua stagione è breve, merita di essere apprezzato. Dagli Appalachi all’Appennino.

A fine maggio, dietro Peoples Place, un centro sociale a Leivasy, in West Virginia, cresce un piccolo appezzamento di aglio orsino. «Se ne sente il profumo da lontano, ben prima di riuscire a vederlo», racconta Dawna “DoDo” Griffith, a capo dell’organizzazione non profit che lo gestisce. «Le persone qui lo definiscono un tonico primaverile: ti fa dormire meglio, ti fa sentire bene». Nella cucina di Peoples Place, Griffith dirige i cuochi volontari che si stanno preparando per l’attesissima cena a base di aglio orsino, una tradizione primaverile di molte comunità rurali degli Appalachi.

Questo aglio selvatico verrà cotto con lardo e bacon, e servito con un po’ di aceto di mele. Ad accompagnarlo, numerosi altri piatti tradizionali: mirtilli rossi e fagioli pinto, cornbread, uova e bacon. In un solo giorno, i proventi dei piatti venduti copriranno tutte le spese fisse di Peoples Place e le bollette di un anno intero. Ogni bulbo che rimane verrà pulito e spuntato, e poi piantato vicino agli alberi che crescono nel giardino sul retro, perché possa germogliare di nuovo.

Un tempo tradizione diffusa in tutti gli Appalachi, una regione che comprende 13 stati americani tra cui il West Virginia nella sua interezza, le cene a base di aglio orsino stanno diventando sempre più rare: in parte perché i custodi di questa pianta tradizionale e delle pratiche a essa legate stanno invecchiando, in parte perché la raccolta sfrenata ne fa temere l’estinzione, qui come altrove. L’aglio orsino è infatti molto popolare nelle cucine di tutto il mondo, incluse alcune zone d’Italia, mettendo a volte a dura prova gli ecosistemi. Ricco di vitamine e minerali, prende il nome italiano dal fatto (o credenza) che gli orsi ne siano ghiotti e lo mangino per riprendersi dopo il letargo.

Durante la sua breve stagione (in primavera, tra aprile e maggio), molti chef vi fanno ricorso per sottolineare la stagionalità dei loro menu, un po’ come con le diverse varietà di tartufo. Ma cercarlo è molto meno complicato, anche se spesso c’è la stessa circospezione a rivelare l’esatta ubicazione di dove cresca: non tanto per motivi economici e di concorrenza, ma per preservarne l’integrità e far sì che si perpetui.

Come zenzero e curcuma, anche l’aglio orsino è un rizoma, il che vuol dire che cresce e si moltiplica a partire da una radice orizzontale. Ci vogliono circa sette anni perché un seme diventi pianta. L’aglio orsino cresce rigoglioso in terreni rocciosi vicino ai boschi, e in ambienti umidi e ombreggiati, ad esempio lungo i fiumi.

Si può riconoscere un appezzamento in buona salute se produce dei fiori durante i mesi estivi, ricoprendo i lati delle montagne di piccoli boccioli bianchi. L’aglio orsino ama i climi come quello di Leivasy, o dei boschi del Nord Italia o degli Appennini, dove una spessa coltre di neve e foglie morte ricopre il terreno durante il lungo e rigido inverno, proteggendo i bulbi. In primavera, quando le temperature si alzano e il sole fa capolino, spuntano i primi germogli. Le foglie crescono e si aprono completamente verso fine maggio.

Temperature estreme, in un senso o nell’altro, mettono a dura prova la germinazione, che potrebbe non avvenire. E l’innalzarsi delle temperature è una minaccia per questa specie tanto quanto la raccolta sconsiderata. Bisogna stare attenti a non danneggiare i bulbi, conservandoli per ripiantarli. Meglio comunque tagliare delicatamente le foglie alla base dello stelo, evitando di raccoglierne più della metà da ogni pianta. Inoltre, nei nostri boschi va fatta attenzione a non confonderlo con il colico, che ha foglie simili (però non così profumate) ma è velenoso. L’alternativa ideale è acquistarlo nei mercati, procacciato da raccoglitori esperti, abituati a fare foraging di piante spontanee.

Oppure, alcuni chef e agricoltori nostrani hanno trovato modi per averne a disposizione tutto l’anno, facendone pesti o conserve (vedi “In vasetto”, in basso). Secondo Knox Fanelli di Larder Foods, un esperto raccoglitore che approvvigiona di piante selvatiche gli chef del sud-est degli Stati Uniti, l’aglio orsino è al massimo della domanda all’inizio e alla fine della sua brevissima stagione. La sua durata effimera serve a ricordarci che la nostra voglia di sapori eccezionali non può esistere a discapito del nostro pianeta.

«In un mondo perfetto, le persone prenderebbero solo quello di cui hanno bisogno, trattandolo come il bene prezioso che è», afferma Rachel Blankenship-Tucker, forager del West Virginia. Amare l’aglio orsino vuol dire adorarlo anche quando non si può mangiare, lasciarlo andare quando non si può raggiungere, e goderne con calma il sapore quando si ha la fortuna di poterlo assaggiare.

In vasetto

Salsa di aglio orsino: Ferdy Wild

Dalle foglie raccolte a mano nei boschi dell’Alta Val Brembana – dove si trova l’agriturismo gourmet Ferdy – durante i mesi primaverili, si ottiene questa salsa che può sostituire l’aglio in varie preparazioni, per condire primi piatti o bruschette.
ferdywild.com

Pesto di aglio orsino: Il Moera

Nella cucina a km 0 del ristorante Il Moera (nell’omonima azienda agricola) ha una parte importante l’aglio orsino. Lo chef Francesco Fusco lo trasforma anche in un profumato pesto con olio extravergine d’oliva.
ilmoera.it

Sale dei Boschi con aglio orsino di montagna Paolo Market

Il negozio di specialità gastronomiche bresciane e trentine sul Lago d’Idro propone, oltre alle foglie in olio e aceto, anche questo profumato sale ideale per condire e aggiungere sapore a ogni tipo di preparazione.
paolomarket.com

Maggiori informazioni

Foto di Greg DuPree

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