Nel panorama piuttosto disastrato dell’annata 2023, c’è un vitigno, e un’azienda, che possono salutare il nuovo anno con un bel sorriso stampato. Parliamo di Ferraris Agricola, realtà del Monferrato che, dal post Covid-19, non ha fatto che crescere (+10% rispetto al 2022), portando con sé la fama e l’appeal del ruchè, vitigno tipico dell’area attorno a Castagnole Monferrato, in provincia di Asti, che dal 2020 ha intrapreso una vera e propria ascesa internazionale, registrando una delle migliori performance enologiche degli ultimi anni. Il vitigno era stato riscoperto negli anni 60 dal parroco Don Giacomo Cauda, il quale aveva preso in cura una vigna di 5 ettari del beneficio parrocchiale, iniziando a sperimentare la vinificazione del ruchè in purezza e creando una piccola produzione di 3.400 bottiglie, etichettate come “La Vigna del Parroco”. Dal 2016 la vigna appartiene a Ferraris Agricola, azienda guidata con successo dal 2001 da Luca Ferraris, ex presidente dell’Associazione produttori del Ruchè, nonché uno tra i primi giovani monferrini tornati a dedicarsi alla viticoltura che tanto ha fatto, e sta facendo, per il suo territorio. «In qualità di azienda leader sia della produzione sia del turismo locale (10mila le visite registrate quest’anno in azienda, 90mila le bottiglie vendute all’estero e 240mila in Italia), abbiamo voluto prendere per mano la denominazione e, da ormai da 23 anni, la accompagniamo nella sua crescita, iniziata nel 2001 quando contava poco meno di 50mila bottiglie fino ad arrivare, nel dicembre del 2021, a superare il milione».
Il Museo del Ruchè
«Questo territorio aveva bisogno di un supporto, soprattutto da un punto di vista enoturistico» e, così, tra le sue ultime iniziative, Luca ha inserito il Museo del Ruchè, realizzato con il contributo della Regione Piemonte. Aperto dal settembre 2023, il museo si snoda all’interno dei tipici infernot, locali sotterranei scavati a mano nel tufo, che hanno contribuito al riconoscimento del paesaggio vinicolo del Monferrato a Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco. «Il museo – racconta Luca – è stata un’operazione molto particolare, un investimento importante per la nostra azienda, sia a livello finanziario sia di ore di lavoro, a partire dalla progettazione tematica dell’area espositiva. Alla fine abbiamo deciso di raccontare la storia delle famiglie piemontesi, utilizzando la famiglia Ferraris come esempio; quelle famiglie che, dalla fine dell’Ottocento a oggi, hanno vissuto i grandi cambiamenti della vita agricola». Si parte, quindi, con il racconto di chi, soprattutto i padri, decideva di lasciare la propria casa per andare a cercare fortuna all’estero: in Argentina, in Australia, negli Stati Uniti. «È la storia del mio bisnonno, partito alla volta della California per la corsa all’oro, che poi ebbe la fortuna di trovare, e grazie al quale ebbe la possibilità di acquistare una casa con i vigneti nel Monferrato, dando inizio alla sua avventura», racconta Luca. Si prosegue poi con le macchine agricole e gli attrezzi, testimonianza della fatica del lavoro in vigna, che portò la gente a scappare verso le città, fino ad arrivare alla stanza dedicata al sopracitato Don Giacomo Cauda, colui che cambiò le sorti di questo territorio, dal punto di vista sociale ed economico, al quale Luca dedica l’etichetta più rappresentativa dell’azienda.
La vigna del parroco
«Considero la vigna del parroco un museo a cielo aperto della denominazione – afferma Luca –. Inoltre, si tratta di fatto del primo marchio della denominazione, registrato dal Parroco alla Camera di Commercio di Asti nel 1995, nonché uno dei primi in tutto il panorama enologico piemontese. Ancora oggi poi è l’unico cru della denominazione che può portare la menzione Vigna». Per queste ragioni storiche, Luca Ferraris ha voluto esaltare il prodotto, differenziandolo già a partire dalla forma della bottiglia, bassa e panciuta, «la più simile che abbiamo trovato a quella utilizzata nel 1967 per la prima annata di produzione de La vigna del parroco da parte di Don Giacomo». Inoltre, proprio nel rispetto della sua simbolicità, «è l’unica etichetta in cui non è presente il marchio di Ferraris Agricola, proprio perché abbiamo voluto esaltare quello che è il brand istituzionale più importante della denominazione».
Nel calice l’annata 2022, particolarmente calda, si mostra piuttosto concentrata ed evidenzia nettamente gli aromi floreali e speziati tipici del vitigno che, secondo gli studi della dottoressa Schneider dell’Università di Torino, sarebbe un incrocio tra la malvasia aromatica bianca di Parma e la croatina piacentina, giunto nel Monferrato grazie al convento benedettino di San Rocco, da cui il nome ruchè. All’assaggio rivela un tannino molto delicato, disciolto in un corpo di buona morbidezza, data anche dal grado alcolico importante (15% vol.), e un’aromaticità rispondente nei ritorni floreali e speziati. Un vino tradizionale ma che si abbina molto bene anche a una cucina di matrice fusion, speziata e vegetariana.
Il nuovo ruchè Riserva
Oggi a La vigna del parroco Ferraris affianca ben quattro altre versioni di ruchè, tra cui l’ultima nata, la Riserva Castello di Montemagno 2021. La Riserva era, infatti, la tipologia che mancava nella Docg e che è stata tanto attesa da molti produttori, che ne avevano fatto richiesta di aggiunta nel disciplinare già nel 2020. «Il suo inserimento ci dà finalmente l’opportunità di mostrare al mondo dove possa realmente spingersi il ruchè, oltre a garantirci una maggiore redditività su vini più complessi» spiega Luca. Frutto di un importante investimento sostenuto nel 2017 per acquistare un vigneto nella contea del Castello di Montemagno, appare sul mercato con 4mila bottiglie, destinate però a salire, visto il potenziale dei 6 ettari di appezzamento. «Facevamo già quattro tipologie di ruchè, ma ci mancava un prodotto più internazionale, più moderno, che facesse un passaggio in legno, ma senza snaturare il vitigno – racconta Luca –. Il perché di questa etichetta lo posso spiegare con le parole di un giornalista di New York il quale, durante una degustazione, mi disse: “Il Clàsic è un grande ruchè, l’Opera prima un grande vino rosso”, perché di fatto con i lunghi affinamenti veniva spogliata delle caratteristiche del vitigno: mancava, quindi, all’appello un grande ruché Riserva». Nato per il mercato internazionale, il vino ha ricevuto tuttavia un ottimo feedback soprattutto dall’Italia, nonostante si tratti di un prodotto sostanzialmente in controtendenza rispetto al mercato, che vuole sempre più vini di facile beva e poco strutturati. Il motivo è che, nonostante il prolungato passaggio in legno (12 mesi in tonneau seguiti da altri 12 in bottiglia), conserva ben evidente il carattere “amichevole” del ruchè, conferendogli tuttavia una maggiore eleganza nel profilo aromatico, che unisce alla frutta nera una piacevole armonia di spezie, anche balsamiche, e gustativo, con una bocca setosa e di dinamica struttura.
Lo spumante Alta Langa
Le “follie” di Luca Ferraris, tuttavia, non si sono esaurite con la realizzazione di Museo e Riserva. Dal 2020 ha concretizzato un nuovo obiettivo con lo spumante Alta Langa Docg Tenuta Santa Chiara. Si tratta del primo Metodo Classico di Ferraris che nasce da una passione per le bollicine e dalla scintilla scoccata per un appezzamento situato presso il Monastero Bormida, quasi al confine con la Liguria, da parte di Luca e sua moglie Chiara. Blend di pinot nero e chardonnay, trascorre 30 mesi sui lieviti e mostra nel calice tutto il carattere tipico di uno spumante Alta Langa, col suo gusto salino e piacevolmente ammandorlato. Un vino che esce dal mondo ruchè ma che rimane fedele al territorio e alla tradizione piemontese, vero punto fermo della storia di Ferraris.