gelato

Gelato Reloaded

Da Milano alle isole gli artigiani innovano tra sguardi al passato e moderna tecnologia.

Identitario, emotivo, pulito, tecnologico, gastronomico, personale. Non è uno di quei quiz da fare sotto l’ombrellone alla “Dimmi che gelato mangi e ti dirò chi sei” ma una selezione ragionata (e golosa) degli interpreti contemporanei del mondo del freddo. Li accomuna l’aver ragionato su un prodotto che, alla stregua di altri campi della gastronomia, riesce così a conciliare effetto nostalgia e interpretazioni d’autore, liberandosi di luoghi comuni e dogmi. D’altro canto, qui la “tradizione” è una questione incerta e a tratti scivolosa, a cominciare dalla nomenclatura. Artigianale? Secondo la normativa riguarda qualsiasi “preparazione” in laboratorio, a prescindere dall’uso di semilavorati. Naturale? Un po’ vago e non del tutto corretto, anche perché – come ci hanno spiegato diversi degli artigiani interpellati – alla base della voluttuosa magia del gelato ci sono reazioni chimiche e trasformazioni molecolari, oltre che macchinari imprescindibili. La strada, allora – che si decida di guardare al passato, o di premere il fast forward – è forse nella ricerca di sapori “assoluti” e puliti, nel rifiuto delle scorciatoie. Ciascuno a suo modo.

La scelta dei fratelli Paparella di restare fermi nel tempo sembra quasi una rivoluzione gentile: quella di Mokambo in Puglia è una storia di famiglia pluricentenaria (la Crema del Re 1840 fu premiata da Ferdinando II di Borbone) che ricorda quanto siano importanti le radici, le stesse che rendono Ruvo di Puglia una meta al pari della bella cattedrale romanica. Dietro le tendine ricamate, gli arredi d’antan e la foto incorniciata dell’avo Luigi Marseglia, lo sguardo è rivolto al futuro, in una prospettiva assai luccicante nel caso del prezioso gusto realizzato con zafferano iraniano in pistilli ricoperto da foglia d’oro 24k edibile: un’esperienza immersiva in bilico tra provocazione e sublimazione del gusto.

La Sicilia del gelato non può prescindere dal nome di Santo Musumeci, pluripremiato maestro scomparso nel 2022, di cui la figlia Giovanna ha raccolto l’importante eredità. Cresciuta in laboratorio con il papà, una volta alla guida del bar pasticceria ha lasciato tutto com’era: quando si varca l’ingresso di questa bottega dal sapore retrò nella piazza di Randazzo sembra che la biodiversità isolana sia a portata di cono o coppetta; a cominciare dalle creazioni estemporanee, frutto del raccolto del giorno, tra cui la granita di gelsi e susine.

Ci sono poi storie più recenti dove nella biografia si legge “prima generazione”, sostituendo lignaggi familiari con studio (tanto) e creatività (infinita). È il caso di Alessandro Cesari, gelatiere che sfida i palati della “grassa” Bologna con gelati che lasciano la bocca pulita ma si fanno ricordare a lungo, grazie a ingredienti puri, assenza di qualsiasi “aggiunta” – a cominciare dal latte in polvere – ed equilibri che guardano più alla cucina (anche asiatica) che alla gelateria classica. Così, il suo Sablé conquista soprattutto una clientela internazionale, colleghi inclusi: in una calda mattina di luglio ci abbiamo trovato il titolare di Django, gelateria greca con sede ad Atene e Syros, per un incontro in carne e ossa dopo i confronti “virtuali” che hanno ispirato un gusto profumato dai limoni che crescono sull’isola delle Cicladi.

È partito da zero anche il visionario Stefano Guizzetti che, con una laurea scientifica in mano, è riuscito a emanciparsi dal concetto del “si fa così”, divertendosi a sbilanciare l’etichetta e a sperimentare come farebbe un chimico (che tra l’altro è). Con le sue idee, a volte impossibili e senza precedenti, ha messo in discussione anche quel tanto caro “come una volta” che nel mondo del gelato è ritenuto da sempre sinonimo di correttezza e genuinità.

A riscrivere le regole classiche del gelato ha contribuito anche Fabrizio Fenu che, a Cagliari, ha saputo conquistare anche i più scettici portando sotto zero i sapori della campagna sarda e facendo dialogare dolce e salato, senza timori reverenziali verso le regole perentorie della tradizione. Vedi il gusto con scorzone nero di Laconi e tuorlo d’uovo, affumicato in fase di mantecazione con del fumo: riprende l’idea di Jordi Roca, pasticcere del Celler de Can Roca, che – per il suo iconico dessert Viaje a La Habana – già nel lontano 1998 disattendeva gli insegnamenti classici che vogliono i laboratori immacolati e totalmente privi di odori.

Ma allora come definire questo nuovo corso? Una risposta che sintetizza bene le diverse scuole di pensiero è quella del romano Stefano Ferrara (la potete ascoltare nella prima puntata del nostro podcast Cover Story), che per il gelato sceglie il termine “personale”. Il suo non si vede: è in barattoli pronti all’uso, al contrario dei macchinari all’avanguardia (questi sì, bene in vista) con cui viene prodotto, segno di grande artigianalità. Sembra quasi un paradosso ma per lui la tecnologia viene in aiuto al mestiere, come nelle cucine dei grandi chef, svuotando di significato il concetto di naturale: del resto, come dicevamo, il gelato è tutta una questione di chimica.

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Foto di Alberto Blasetti / Food e prop styling Benedetta Canale

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