La natura sulla tavola di Alain Ducasse
La sua rivoluzione vegetale, Alain Ducasse ha saputo portarla a compimento senza strappi o estremismi, col favore del tempo, a dimostrazione del fatto che immaginare scenari alternativi per una grande cucina dei giorni nostri è un processo che, naturalmente, prova a recepire nuove necessità alimentari ed esigenze ambientali. Stimolando, così, un cambiamento profondo (e possibile!) in termini di sostenibilità e benessere a tavola. E lui, celebrato nel gotha della ristorazione francese e internazionale, ha messo al servizio della causa il proprio carisma, dimostrando in tempi non sospetti come anche un blasonato ristorante di “palazzo” – sempre nel rispetto di quel cerimoniale esclusivo che proprio Ducasse ha contribuito a forgiare – possa infrangere regole non scritte, ormai sorpassate (ricordiamo, a tal proposito, la degustazione plant-based Jardins de Provence proposta già nel 1987 ai clienti del Louis XV di Monaco). Era il 2015 quando, inaugurando un nuovo corso per la cucina tristellata del Plaza Athenée, il cuoco francese – già da tempo sensibile alla riduzione delle proteine animali nella dieta quotidiana – presentava al mondo un menu privo di carne (banditi dunque anche foie gras e pâté de canard, tartare e filet mignon), incentrato invece su pietanze a base di verdure, cereali e pesce, con esplicito riferimento alla necessità di salvaguardare le risorse del pianeta, sempre più rare, e quindi da consumare consapevolmente (prima di lui, nella capitale francese, era stato Alain Passard, nel 2001, a bandire la carne dalla tavola de L’Arpege). Parola d’ordine: naturalité.
Di recente, le strade del prestigioso hotel parigino e di monsieur Ducasse si sono separate. Ma in città i nuovi progetti di ristorazione dello chef procedono su un percorso ormai consolidato. Naturaliste (naturaliste-paris.com) è l’idea di food delivery intelligente che il cuoco ha concepito durante la pandemia con il suo sodale Romain Meder: piatti studiati con tutti gli accorgimenti utili per resistere al trasporto, ordinabili online e venduti a prezzi democratici; ma soprattutto basati sulla valorizzazione di ingredienti vegetali e prodotti naturali, oltre che sulla riduzione degli sprechi, «perché crediamo che l’atto di nutrirsi costituisca la nostra connessione più profonda con la natura», spiegano gli ideatori del format. Così, nella stagione estiva, si sceglie tra una zuppa fredda di zucchine con mandorle e basilico e un ceviche di melone con leche de tigre vegetale e yogurt: stimoli, questi, pronti a concretizzarsi nel quadrante Est di Parigi con Sapid, l’insegna di casual food che Ducasse inaugurerà entro il mese di settembre in rue Paradis, allestita quasi fosse una mensa votata alla convivialità, e – soprattutto – portatrice di quei valori di “ri-evoluzione” che lo chef, oggi, ritiene necessari quanto mai prima d’ora. E la cucina vegetale ne sarà asse portante.
Il cambio di prospettiva di Josean Alija
Fioroni, menta e latte di fichi: il nuovo dolce servito al Nerua di Bilbao è un boccone di fine estate, un viaggio nei ricordi del pueblo, un’ode all’albero di fico sui cui rami ci si arrampicava da piccoli e sotto la cui ombra si trovava un fresco conforto. Ed è anche l’ennesima prova di una liaison senza fine tra Josean Alija e l’universo vegetale, a cui è devoto dagli albori della sua carriera e dall’ingresso – oltre vent’anni fa – tra i petali di titanio del Guggenheim. A scanso di equivoci, però, è bene evidenziare come il cocinero basco non sia mai stato radicale nel suo vegetarianismo ma abbia sempre cercato un equilibrio nuovo tra i diversi mondi proteici. E così, in tempi pionieristici, ha ribaltato i ruoli e ha sovente confinato la carne alla voce “contorno” o a quella di “fondo”, affidando (o restituendo) dunque a un pomodoro, a un asparago verde o a un fungo il palco principale, tanto quanto a un’acciuga, a uno sgombro o a un vitello.
Di Alija colpisce la sua singolare sensibilità nell’esprimere il potenziale ancora inespresso dei vegetali e nel sublimarne sapori, colori e consistenze. Ma anche la capacità avanguardistica – in qualche modo coerente con l’attitudine innovativa del museo che lo ospita – di mutare le prospettive. Così successe, ad esempio, in occasione dei suoi studi ed esperimenti sull’utilizzo del caffè verde come ingrediente in cucina.
I garum (vegetariani) in bottiglia del Noma
Al Noma, l’esplorazione del mondo vegetale – e della natura tout court – si è sempre nutrita della sperimentazione certosina e incessante che impegna parte del team di René Redzepi durante tutto l’arco dell’anno, per trasformare in una delle esperienze gastronomiche più ambite al mondo le risorse rintracciate con altrettanta abnegazione su un territorio a primo impatto avaro di prodotti. Nel ristorante di Copenaghen, il primo menu interamente vegetariano ha debuttato nel 2018, in concomitanza con la stagione estiva, chiuso all’epoca dall’emblematico dessert che imita un vaso di fiori. E ogni estate ritorna, col suo corredo di erbe, funghi, radici, fiori, ortaggi. Tema di ispirazione – il mondo vegetale – che evidentemente alla corte del Noma non conosce limiti: può tradursi, per esempio, nell’hamburger vegano ottenuto a partire da una particolare lavorazione della quinoa cotta, trattata come fosse tempeh (in carta da Popl, burger bar che ha preso il posto di 108, sul molo di Christianshavn); o alimentare la produzione di una linea di garum in bottiglia, prossimamente disponibili per l’acquisto online, primo confronto dello chef danese con il mercato dell’e-commerce a uso e consumo di una platea eterogenea. Entro la fine del 2021, le prime due variazioni sul tema, entrambe vegetariane, sbarcheranno sul web (già aperto il pre-order): frutto della fermentazione di riso e uova la prima, a base di funghi affumicati la seconda. Salse dal gusto concentrato, che aggiornano una tecnica di trasformazione millenaria – risalente all’Antica Roma – alla luce delle ricerche condotte negli ultimi vent’anni al Noma, che ha pensato di fornire anche qualche consiglio utile (e ricette) per utilizzare nella cucina di casa i garum d’autore. Avete già prenotato la vostra bottiglia? — nomaprojects.com
La svolta dell’EMP: libertà green
Nella storia recente di Daniel Humm, la decisione di dare forma a una cucina concentrata sul mondo vegetale deriva da una profonda riflessione personale, cui la dimensione professionale – quella di uno degli executive chef più acclamati di New York, e del mondo – non ha potuto fare a meno di adeguarsi. Ma il menu veg dell’Eleven Madison Park non è certo un ripiego dovuto a repentini scrupoli di coscienza. E anzi, nel coincidere con la ripartenza del ristorante tristellato – lo scorso giugno, dopo lunghi mesi di stop dovuti alla pandemia – ha segnato la concretizzazione più vitale, creativa e stimolante di una nuova maturità gastronomica, debitrice di un grande lavoro di sperimentazione su prodotti e tecniche di trasformazione. Concentrazione di sapore di brodi vegetali, test di sviluppo di latti, creme e burro (quello di girasole, per esempio) vegani, fermentazioni e inusuali accostamenti di materie prime poco esplorate. «Quelli che all’inizio ci sembravano limiti sono diventati motivo di nuove libertà», ha avuto a che dire Humm introducendo la svolta green dell’EMP, poco prima del debutto del nuovo menu, comunque consapevole del rischio imprenditoriale dietro una scelta tanto spiazzante. Oggi, in cucina, non entrano più carne, pesce e derivati animali: la scena è tutta per funghi, ortaggi, frutti, cereali, legumi, radici. Di ogni ingrediente si cerca di catturare l’essenza, con l’obiettivo di non far rimpiangere agli ospiti piatti iconici del passato come l’anatra laccata al miele di lavanda o l’aragosta al burro. Per 335 dollari, dopo il benvenuto affidato a un tè di pomodoro, la degustazione si snoda tra una decina di portate plant-based (stessa filosofia al bar, dove il percorso è più breve, ma sempre devoto alla causa: sei assaggi a 175 dollari). Sul primo menu trovano spazio materie prime curiose come il celtuce – ibridazione tra sedano e lattuga, coltivata alle porte di New York – o il tonburi (semi disidratati della Kochia Scoparia), superfood conosciuto anche come “caviale dei campi” preso in prestito dalla cucina giapponese buddhista, che Humm combina con piselli e menta, in accompagnamento con una crema montata di limone e mandorle. Ma anche pietanze raffinate come la melanzana arrosto con shiso e coriandolo o creazioni che esplorano le infinite sfumature di un colore: cetriolo, melone e daikon affumicato per rappresentare il verde (qui accanto, ph. Evan Sung); tofu rivestito di fiori di zucca con lemongrass ad accendere la tavola di arancione. E l’azzardo dello chef svizzero non sembra aver spaventato gli avventori, con il calendario delle prenotazioni subito andato sold out. Proprio come ai vecchi tempi.