Tra i boschi e i meleti della Val di Non in Trentino, in una terra solo all’apparenza dura perché fatta di roccia, di altezze e pendenze, nel Duemila ha rivisto la luce un vitigno autoctono quasi estinto: il Groppello di Revò. Pietro e Silvia Pancheri ne hanno sposato la causa con la loro azienda agricola LasteRosse – un nome che in dialetto trentino significa “rocce rosse” e indica il terroir in cui è stato impiantato il primo vigneto di Groppello – diventando di fatto i primi produttori di questo vino ormai dimenticato anche dagli stessi valligiani. Il progetto, sostenuto dalla Provincia autonoma di Trento, porta in realtà a una piccola produzione, frutto di appena un ettaro di vigna a 730 metri di altezza, coltivato “eroicamente”. Tutto per circa 8mila bottiglie l’anno che LasteRosse vende esclusivamente in cantina.
Nonostante i piccoli numeri, l’impegno nel conservare e valorizzare il Groppello di Revò, che ha fatto la storia della viticoltura trentina e che oggi risulta ancora abbandonato e bisognoso di attenzioni, va oltre ogni calcolo. Tanto che LasteRosse nel 2020 ha portato all’attenzione del pubblico la situazione critica di questo antico vitigno e creato un progetto di salvaguardia con l’adozione dei filari rimasti e la proposta dell’abbinamento con il tipico tortel di patate. «La nostra è un’azienda di frutticoltori – spiegano Pietro e Silvia – ma il vino già era presente tanti anni fa nelle proprietà della famiglia. Avevamo la vigna delle nostre valli, il Groppello, che dà un’uva a bacca rossa. Era il nostro vino di casa, presente da sempre. Poi la vigna è stata estirpata e sostituita da meleti. Il richiamo delle radici ci ha spinto però ad avviare questo progetto di recupero quasi 25 anni fa. Coltiviamo e vinifichiamo direttamente dalle nostre uve producendo vini particolari e spumanti preziosi. Del resto, produrre vino per noi è una storia di passione, tanto che dal 2012 abbiamo aperto le porte della nostra casa a chi vuole conoscere il nostro lavoro, con numerose proposte di enoturismo e attività in azienda».
I Groppello in purezza di LasteRosse
Il Groppello di Revò viene vinificato tradizionalmente da LasteRosse, in rosso e in purezza. Oggetto di una cura speciale in cantina, entra in commercio quando ha alle spalle 18-24 mesi con un breve affinamento in legno. Porta in dote profumi erbacei di sottobosco e un palato di pepe e spezie dolci, con una bella acidità che regala eleganza. Proprio grazie all’acidità, il Groppello si presta anche alla spumantizzazione e LasteRosse lavora su un Metodo Classico piacevolmente sapido e minerale, tonico nel calice.
«È un progetto che abbiamo creato e curato personalmente – rimarca Silvia –. Una nuova grande missione è salvare, proteggere e valorizzare il Groppello di Revò perché custode della storia e delle tradizioni del nostro territorio. Abbiamo iniziato con un movimento d’amore completamente social chiamato usando l’hashtag #youaregroppello che tutti possono utilizzare dedicando una foto o un video al vitigno, poi i vigneti sono diventati protagonisti di “adotta un filare”. Ogni anno vengono messi in adozione tutti i filari di Groppello e gli adottanti seguono in prima persona la crescita della vite, dal germoglio alla vendemmia. Assaggiano il vino prodotto e vengono a conoscerci per brindare insieme».
Quel grappolo stretto come un nodo
Il Groppello deve il suo nome alla forma del suo grappolo, compatto e stretto come un nodo, il “grop” in dialetto trentino. Il Groppello di Revò (detto anche Groppello e Groppello Anaune) è un vitigno autoctono trentino, coltivato da secoli in Val di Non per la produzione di vino Igt Vigneti delle Dolomiti, da non confondere con il Groppello coltivato sulla sponda bresciana del lago di Garda. La varietà trentina ha infatti una relazione genetica con la Nosiola e con la vite Raetica. Dall’analisi del Dna effettuata dalla Fondazione Mach di San Michele all’Adige, risulta infatti che il Groppello e la Nosiola hanno un genitore comune: il Rezè, l’uva coltivata nelle terre dei Reti di cui ci sono ritrovamenti storici conservati al Museo di Sanzeno in Trentino. Il vino da uve Groppello porta in dote il rotundone, ovvero la molecola che regala aromi speziati e pepati.
Dalle tavole imperiali alla Big Bench
Le prime testimonianze scritte della sua coltivazione risalgono però a metà del 1500, anche se la presenza della viticoltura in Val di Non è documentata già 1389. Dal 1800 e fino alla Prima guerra mondiale, sotto l’Impero Austro-Ungarico, il Groppello di Revò veniva conferito in grandi quantitativi alla corte di Vienna dell’imperatore Francesco Giuseppe e della principessa Sissi. Risale invece al 1893 la costituzione della cantina sociale di Revò, la terza del territorio Trentino, chiusa però nel 1936 a seguito di una grande crisi economica generale. E nei decenni successivi l’espansione della coltivazione di mele, che segna definitivamente l’economia della valle, porta alla quasi totale dismissione della vitivinicoltura.
Oggi i vigneti di Groppello di Revò si estendono per poco meno di cinque ettari e sono solo quattro le aziende agricole che vinificano in Val di Non. L’entusiasmo per il progetto di recupero di Pietro e Silvia è però contagioso e LasteRosse ha aderito al Big Bench community project, installando una “panchina gigante” del Groppello, diventata meta di viaggiatori che vogliono conoscere un pezzettino di Val di Non rurale davvero affascinante e un vitigno delle Dolomiti, testimone della viticoltura eroica di montagna e della biodiversità.