Al Caseificio Rosola la sveglia suona tutto l’anno ancor prima che fuori faccia giorno. Lo sa bene Daniela Lolli (in foto), moglie di Alessandro Marchi, presidente e socio della storica Società Agricola Cooperativa fondata nel 1966 nell’omonima frazione del comune di Zocca (MO), che fa questa vita da quando, 17 anni fa, entrò in azienda per dare una mano nello spaccio dove tutt’oggi si vende l’alimento che non manca mai sulle tavole degli italiani, in particolare dei modenesi: il Parmigiano Reggiano. Quello di Rosola, però, è ancora più speciale: oltre a fregiarsi della denominazione “prodotto di montagna”, provenendo, appunto, da un’area appenninica – tale dicitura è stata introdotta nel 2013 con il regolamento UE 1151/12 per classificare i prodotti alimentari con questa origine –, è l’unico a derivare dalla Bianca Modenese, un’antica razza autoctona in via di estinzione, protetta e valorizzata dal 2006 come Presìdio Slow Food. «Siamo stati tra i primi allevatori a riportare in auge questo bovino dal mantello latteo – spiega Daniela – e, a quanto ne so, attualmente siamo rimasti i soli. All’incirca dal secondo dopoguerra nessuno voleva più allevarlo: la sua produzione di latte era nettamente inferiore rispetto a quella della Frisona. Noi ci abbiamo creduto. A darci ragione poi sono stati i risultati: il latte è molto meno grasso e maggiormente proteico».
Tra i suoi più grandi estimatori c’è Massimo Bottura, fiero portabandiera italiano della Dop (anche con il suo piatto tributo Cinque stagionature) che, con i suoi “muscoli di Parmigiano Reggiano e l’aceto balsamico nelle vene”, era presente da Rosola anche al momento dell’apertura della prima forma nel 2007. Lo ricorda Daniela: «Era una giornata di primavera simili a questa, ma pioveva fortissimo. Da quel suo assaggio non passa settimana che lui non acquisti da noi. Il suo preferito? Il nostro 30 mesi». Meno stagionati (e sempre con latte di Bianca Modenese) sono il Furmai, ovvero il “formaggio dei contadini” che da tradizione occupa le lavorazioni dei caseifici emiliani in inverno, quando si trasforma il latte avanzato dall’alimentazione delle vitelle, e il Maggengo, latticino la cui produzione va da maggio ad agosto e che sa proprio d’estate per via del foraggio verde con cui vengono nutriti i loro animali. Le stalle sono tutte in prossimità del caseificio, luogo in cui il latte entra alla sera e al mattino successivo, intorno alle 5.30: è a questo punto che Danilo Ceci, casaro da due generazioni e responsabile della produzione di Rosola, unisce entrambe le mungiture nelle caldaie di rame con il siero innesto e le riscalda lentamente (il sale si aggiunge in un altro passaggio, durante la salatura in salamoia).
Da qui in poi è tutta una questione di gestualità e pazienza: dalla velocità delle braccia che dividono in due la massa avvolta nel telo di lino ai rintocchi del martelletto, battuti da esperti battitori inviati dal Consorzio, che in pochi istanti decidono il destino del Parmigiano Reggiano, “espertizzando” la forma, ovvero controllando eventuali imperfezioni che può nascondere, un’insidia inevitabile in un prodotto artigianale. Per riuscirci servono anni di esperienza, tecnica e allenamento: solo un orecchio sensibile e allenato come quello di un musicista può garantire questa selezione, un gesto che nessuna macchina potrà mai sostituire, per fortuna. «I numeri crescenti di intolleranti al lattosio ci hanno spinto a ragionare su stagionature molto lunghe. La più estrema? A ottobre compirà 10 anni».