I locali del cuore: Osterie d’Italia

In principio erano luoghi da presidiare, da proteggere. Erano gli anni in cui le osterie e le trattorie venivano salutate dai più come “la fiera dell’unto”, luoghi di ristorazione familiare e tradizionale decisamente fuori moda.Le riflessioni di Marco Bolasco

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Era la fine degli anni Ottanta, quelli della tagliata con la rucola e delle pennette alla vodka (con il salmone), insomma gli anni di una ristorazione che cercava goffamente il nuovo e che non si rendeva granché conto del patrimonio di cultura materiale custodito dagli osti. Le guide guardavano sostanzialmente ai ristoranti e si concentravano su (presunte) creatività e (generiche) novità. C’erano dei fuoriclasse, sì, ma nel complesso eravamo un po’ provincialotti: la nuova cucina italiana sarebbe nata solo qualche anno più tardi.

In quegli anni un gruppo di gastronomi si ritrovarono intorno ad un tavolo, da Cantarelli a Samboseto di Busseto, e nacque la guida Osterie d’Italia di Slow Food. Fra loro c’era Carlo Petrini, ovviamente, ma anche Paola Gho che di questa guida fu per vent’anni abbondanti la spina dorsale. La missione era chiara: parlare di ciò che gli altri stavano trascurando, di quella ristorazione fondata su tradizione, territorio, rapporto qualità prezzo e buona accoglienza. A quest’ultima fu dedicata subito grande attenzione, quasi quanto al cibo; d’altro canto le osterie erano e sono luoghi di socialità in cui la figura dell’oste e la sua capacità di accogliere sono effettivamente determinanti. Era l’epoca della Trattoria del Campazzo, nel modenese, dove un giovane Massimo Bottura muoveva i suoi primi passi fra tortellini e bollito.

Sono passati trent’anni, e trenta edizioni della guida, migliaia di collaboratori al lavoro si sono succeduti, così come decine di migliaia di locali e quasi una milionata di piatti assaggiati. Fra i locali più longevi in guida, i capisaldi di una ristorazione inossidabile e senza tempo, c’è La Brinca di Ne, sicuramente, nell’entroterra ligure del pesto vero e delle lattughe in brodo.

In trent’anni la guida ha cercato di affinare sempre più la sua capacità di monitorare e raccontare il territorio, ha dedicato sempre più spazio alla ristorazione autenticamente popolare, lasciando anche “volare via” locali che, crescendo, stavano trasformandosi in qualcosa di diverso da un’osteria. E negli ultimi anni ha cercato anche di raccontare ciò che di nuovo stava avvenendo in questa fetta di mondo del cibo. Raccontare di quei giovani che stanno tornando a questo lavoro disegnando di fatto i tratti della nuova osteria, che può assumere molte forme, ma che di sicuro non vuole essere un luogo esclusivo ma scommette sul quotidiano. Sono storie che appaiono più forti se lette all’interno dei territori, come quella dell’Oste Dispensa di Orbetello, che non ha mai ceduto alle mode del pesce per turisti lavorando solo sul pescato autenticamente di laguna.

Non è un mistero che questa pagina, e il concetto stesso di comfort, incrocino spesso le strade del variegato e appassionante mondo della ristorazione italiana più quotidiana. Dedichiamo dunque questa ad un compleanno molto importante e ci uniamo al coro di auguri a Osterie d’Italia!

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