In questo caso ci sembrava giusto iniziare dalla fine. È stato un “vecchio cuoco”, come lo stesso si è definito, a chiudere il cerchio perfetto della diciottesima edizione di Identità Golose a Milano. «Qualche volta la rivoluzione passa per non fare niente», esordisce Albert Adrià, chef catalano che «con il fratello Ferran la rivoluzione l’ha fatta davvero», ricorda Marco Bolasco, giornalista che più di tutti in Italia ha la sensibilità per poter raccontare il ristorante che “ha influenzato buona parte dei cuochi mondiali, Italia compresa”, come scrisse per noi menzionando elBulli qualche tempo fa. «Tradizione e innovazione sono come Messi e Rolando, come Inter e Milan: l’uno non può esistere senza l’altro – suggerisce Adrià che tiene alto il ritmo del suo discorso –. Mi metto subito a cucinare: se voi aveste un calciatore davanti vorreste vederlo giocare, non parlare». Così inizia la performance agitando due calici di ristretto di pomodoro rosso e pomodoro verde, come a ossigenare il consommé, e ragiona sulle materie prime dell’alta cucina che «non possono costare poco». Poi, dopo anni in cui c’è stato un abuso della parola semplicità abbinata a quella di cucina, arriva lui che spiazza tutti: «Quindi io sono tonto che faccio una cucina complicata? La cucina semplice non esiste. Esiste la cucina buona». E aggiunge: «Perché tradizione e innovazione non possono convivere? Perché non si può avere una texture nuova con il sapore che conosco da tutta una vita? La buona innovazione si converte in tradizione». Dalla pandemia si è salvato grazie al suo Enigma, nuovo ristorante a Barcellona nel quale ha incorporato l’esperienza di Tickets, e dove continua a fare avanguardia: «È il mio locale, cucino io. Sono là tutti i giorni». Non manca un riferimento anche l’importanza della sala, un aspetto fondamentale per il successo dell’esperienza a tavola che può fare davvero la differenza perché «se il cliente non ha ricevuto un buon servizio di certo non tornerà». Altrettanto diretta è la sua arringa finale, in cui non usa giri di parole: «Io consiglio due cose: uno, sapere che tutto il mondo è pronto; due, sapere che tutto sta nella tecnica, nella texture e nella fermentazione».
La sconfinata creatività di Albert Adrià si espressa anche durante il rito del caffè nell’angolo di 1895 Coffee Designers by Lavazza, durante una masterclass che ha calato un poker di dolci in abbinamento alla collezione di bevande Specialty. Dal dessert che inganna l’occhio quasi fosse un tappo di sughero, il nome è Cork, appunto, ma in realtà è un biscotto al caffè cotto a vapore, alla cheesecake che assume le sembianze di una forma di formaggio per svelarsi acida e avvolgente al palato quando si spalma su dei friabili cookies. Se freschissimo è Coco Coco Coco con la scorza di lime che non fa solo effetto garnish, sono le zest di limone a dare una sferzata alla torta al cioccolato che fa di tutto per sfidare la forza di gravità tanto appare sottile.
Nel primo pomeriggio affollatissimo è stato anche l’Auditorium che ha accolto la lezione di Niko Romito, preceduta solo dalle parole di Gianluca Biscalchin con un’introduzione in medias res nelle cucine del Reale, «il luogo dove abita l’intelligenza della cucina italiana: signori, godetevela». Per presentare il suo ultimo menu (100%) vegetale il tristellato abruzzese fa proiettare la Foglia di broccolo: «Ho sempre lavorato con gli ortaggi, dieci anni fa a Identità Golose portai Carciofo e rosmarino, poi il tema sull’Assoluto di cipolla, e ancora Cocomero e pomodoro. Non avevo però mai indagato sul mondo delle foglie. In questo piatto ho usato una tecnica innovativa riuscendo a creare un fondo vegetale declinabile in altre preparazioni e ho lavorato su nuove consistenze. Mi si è aperto un mondo». Poi ha affrontato un altro tema: il limite. «È nel limite che nasce la creatività. Io sono nato nel limite, a Rivisondoli. In questo caso il limite per me erano le foglie. Il vegetale stesso crea dei limiti in carta ma il cuoco del futuro è colui che con tecnica, creatività, studio e fatica riesce a rendere prezioso qualcosa che non lo è». Ecco allora che Romito paragona il cuoco a un fabbro: «Quindi anche partendo da una cipolla, un pane, un carciofo, una trota si può fare un piatto d’avanguardia, che emozioni, che crei un sistema virtuoso intorno, dalla produzione alle persone che lavorano, fino alla gente che lo mangia. L’avanguardia funziona se crea emozioni: la cucina deve sempre di più rispettare l’equazione del buono». A racchiudere questi valori è quindi il vegetale che viene messo al centro: «È ciò che esalta al meglio il mio lavoro sul monoingrediente. Dico sempre che bisogna andare in profondità, scavare la verità stessa degli ingredienti e la trasformazione consente di tirarne fuori la potenzialità inespressa». Ma ci vuole sensibilità, la stessa di chi all’assaggio percepisce un sentore terziario che in realtà fisicamente non c’è: «Allora ho aggiunto l’anice; è stata la natura a suggerirmelo». Un messaggio che fa capire la bellezza del mestiere di cuoco, che dà dei messaggi nuovi, «quello che io chiamo la creatività utile perché un sistema gastronomico che funziona è quello che influenza. Quando si parla di fine dining, anzi di cucina di ricerca, mi piace più chiamarlo così, è utile fare sistema e solo dall’alto riesco ad andare verso il basso. Penso ad Alt dove l’offerta viene influenzata dalla ricerca del Reale: se qui servo un pollo in 9 minuti con l’umidità della coscia e del petto perfettamente uguali lo devo alla mia ricerca e ai miei ragazzi». A lui va anche il “Premio artigiano del gusto”: «Sono grato di questo premio, la parola artigiano racchiude il senso di quello che facciamo sull’identità del territorio».
All’innovazione continua è dedicato il premio che Moreno Cedroni e Luca Abbadir hanno ritirato la mattina presentando i prossimi piatti della Madonnina del Pescatore e del Clandestino (spoiler: a Portonovo il tema del 2023 sarà “Eros e Susci”, da mangiare con le dita). Sono stati viaggi, contaminazioni, prodotti di mare e ingredienti come l’acido formico delle formiche a segnare la loro rivoluzione. «Se la prima è una rivoluzione istintiva, la seconda ha segnato la nostra maturità, arrivando dritta al cuore».