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Il 1° ottobre è il World Sake Day (Kanpai!)

Dal 1978 una giornata internazionale celebra il fermentato di riso che dal Giappone sta conquistando i bar (e le tavole) di tutto il mondo. I professionisti del settore hanno condiviso con noi tecniche e consigli per l’abbinamento perfetto.

Nell’enorme repertorio dei kanji giapponesi (gli ideogrammi di origine cinese alla base della più antica forma di scrittura nipponica) quello che indica il decimo mese dell’anno ha il profilo dei tipici contenitori di coccio nel quali si serve il sake. Per il purissimo fermentato di riso — la cui ricetta oltre al cereale non prevede altro che acqua, lieviti e koji (il riso colonizzato dall’aspergillus oryzae, una muffa benevola che induce la fermentazione) — inizia proprio in questo periodo la fase della lavorazione, al termine delle campagne di raccolta nelle risaie del primo autunno. Per tali motivi — e affinché le ragioni per brindare in giro per il mondo non manchino mai — è proprio il 1° ottobre la data in cui dal 1978 la Japan Sake & Shochu Makers Association (JSSA) ha deciso di celebrare ogni anno il World Sake Day.

Se fino a qualche decennio fa l’identità e il consumo del prodotto — spesso relegato a fine pasto e servito troppo caldo al posto dell’ammazzacaffè — sono stati largamente fraintesi, anche il sake è stato protagonista della diffusione della cultura gastronomica giapponese, che ha contagiato le cucine del mondo, come anche i bar. Compresi i nostri. «La clientela italiana si sta avvicinando sempre di più al mondo del sake e i dati di importazione lo dimostrano: nel nostro paese la richiesta è aumentata molto negli ultimi 5/7 anni», conferma Federico Zhu, direttore di Aji, brand milanese di IYO Group specializzato in delivery e take away. Come lui, sono molti i professionisti del settore food&wine che ne hanno approfondito la conoscenza e la versatilità per proporlo a una clientela più attenta. Perché il sake è uno spirito con una personalità distante da quella del vino, un fattore che è necessario tenere presente nel momento dell’abbinamento al pasto. «Come dicono in Giappone, il sake più buono è quello più puro, delicato e neutro. Il trucco per il pairing perfetto sta nella capacità di valorizzare il cibo senza incidere eccessivamente sul gusto. A differenza del vino, il sake non completa la cucina giapponese, ma le dà supporto nell’esaltazione dei sapori» spiega Zhu. Per comporre una carta dei sake ben studiata, prosegue, «ci si basa sulle complessità e le varie intensità organolettiche che hanno i sake e i piatti del menu. La provenienza geografica, al contrario di quel che avviene in enologia, non è determinante, anzi conta molto di più la qualità del riso, la sbramatura del chicco e i lieviti che si utilizzano nel processo di fermentazione. Bisogna giocare tra le varie categorie: dai Junmai (sake senza aggiunta di alcol) ai non-Junmai (sake con aggiunta di alcol). Poi, in queste sezioni, comprendere diversi stili: Junmai, Ginjo o Daiginjo, per avere una gamma ampia di proposte, da quelli più strutturati e complessi a quelli più delicati».

Una volta conosciute le tipologie di base, spazio alla fantasia per accostamenti che non escludono alcuna possibilità. Secondo Luca Rendina (sake sommelier, formatore Sake Sommelier Association Italia nonché fondatore della società di importazione e distribuzione BereGiapponese) un buon Junmai si può sposare bene con i sapori decisi della tradizionale coda alla vaccinara mentre un sake più strutturato — magari servito caldo per liberare aromi complessi (è buona prassi scaldarlo a bagnomaria) — affianca senza difficoltà addirittura la pizza condita con broccoli e salsiccia. «L’importante — ricorda — è non scegliere mai un prodotto in contrapposizione con il piatto, ma lavorare in concordanza, per accompagnare la portata. Rispetto all’universo dei vini, che conosciamo meglio, il sake è più pennellato e lavora “di fioretto”. È fondamentale sapere qual è il suo posto e lasciare che faccia un passo indietro, quando serve».

Occorre studiare le basi, quindi, e assaggiare spesso per allenare il palato a nuove sfumature di gusto, com’è possibile fare in molti locali che lavorano sulla cucina e gli spiriti del Sol Levante. Attivo a Milano dal 2014, Yazawa Beef – Japanese BBQ serve i tagli più pregiati di Wagyu Kuroge, il manzo tenerissimo allevato in Giappone secondo tradizioni secolari. Come spiega il sommelier e maître Alberto Alpini: «Si tratta di una carne ricca di omega 3 e omega 6, ovvero di acidi grassi vicini al mondo vegetale a livello aromatico. Per la sua delicatezza si presta a un ventaglio ampio di abbinamenti, che va ben oltre il classico vino rosso. La clientela sempre più spesso si affida a noi per individuare il sake migliore, che mi piace proporre nelle sue versioni morbide ed eleganti — spiegando come le bottiglie più pregiate siano quelle ottenute da chicchi molto raffinati, che hanno perso gran parte del rivestimento esterno e regalano profumi sottili, diversamente da quanto accade con i vini di alta fascia, generalmente più complessi — con i crudi e le tartare di carne. Con preparazioni alla griglia o accompagnate da salse ricche a base di soia propongo sake più strutturati e addirittura secchi, contando sulla loro texture ruvida per sgrassare il palato».

A Torino, invece, c’è una novità assoluta che promette di far divertire gli appassionati ma anche attrarre i neofiti: il sake bar, enoteca e bistrot Ailimē, inaugurato meno di due settimane fa dalla sake sommelier e imprenditrice Chicca Vancini. Un’anima emiliana (leggete tra le righe del nome del locale!) e una passione travolgente per il Giappone che negli anni l’ha portata a divulgare la cultura del sake lavorando sulla sua comunicazione, non senza qualche iniziale resistenza da parte dei bevitori. «Mi sono accorta che alle volte ci si approccia al sake con rigidità per via della sua trasparenza, che è associata ai superalcolici. Io spiego che si tratta di una bevanda che può andare dai 9 ai 20 gradi, e che il tenore alcolico non è mai un problema. Spesso i clienti iniziano con l’ordinare un calice per poi chiedermi una bottiglia intera — racconta Vancini, proseguendo sul caleidoscopio di combinazioni che si aprono sul pairing — Oggi nel vino si cerca soprattutto una buona spalla acida, specie durante il pasto, mentre il sake è una bevanda basica, di segno opposto. Ha note fruttate e lattiche che accompagnano perfettamente i gusti umami che tra l’altro caratterizzano anche molti prodotti d’eccellenza italiani». Uno su tutti? Il Parmigiano Reggiano del caseificio Rosola di Modena (lo stesso utilizzato all’Osteria Francescana), che non manca su un menu che spazia dall’Emilia all’estremo oriente senza alcun imbarazzo. Un’idea di cucina orizzontale che ruota ogni giorno, in un calendario ritmato da serate diverse e mai banali: dal martedì in stile izakaya giapponese al mercoledì vegano, dal giovedì emiliano con gnocco fritto e salumi Maiale Tranquillo di Bettella al venerdì a base di ostriche e prosciutto crudo, fino al sabato dedicato alle paste in brodo (rientra, fuor di dogma, anche il ramen). Sulle bevande la barra è dritta: molteplici referenze di sake, mixology giocata esclusivamente su stili e spiriti giapponesi — come shochu (un distillato a base di riso) e awamori (sempre un distillato, che parte però da riso thai) — e una lista più corta di vini naturali italiani.

Ci spostiamo nella capitale, più precisamente nell’affascinante rione Monti, e varchiamo le porte di un locale più che noto ai patiti di miscelazione: Drink Kong, oggi al numero 19 della classifica The Worlds 50 Best Bars. Il bar non ha bisogno di presentazioni, ma al suo interno c’è un segreto ancora ben custodito: la Japanese private room che il patron Patrick Pistolesi ha immaginato come omaggio agli “hidden bar” nipponici, con boiserie in ciliegio e stampe orientali a incorniciare un unico tavolo sociale da 10 posti. Ed è questo il numero di commensali che ha avuto la fortuna di partecipare a un viaggio a tappe verso il Sol Levante in quattro drink, che Yasuhiro Kawakubo-San — beverage manager del Bulgari Ginza Bar di Tokyo — ha presentato il 10 settembre nella prima serata di un ciclo dedicato ai maestri del bartending mondiale. Imprescindibile il Mammoni, un cocktail a base di una versione particolare e poco nota di sake: l’amazake, una bevanda ricavata dal mosto del sake stesso, dolce e solo lievemente alcolica, qui corroborata da una quota di vodka e ingentilita da succo di ananas, cocco e lime. Per esplorare le possibilità che questo spirito poliedrico dischiude insieme al cibo, il côté gastronomico è stato affidato al resident chef Francesco Coltella. Insieme al twist sul nostrano Bellini, ha composto un piccolo spring roll con verdure crude appena marinate, morbida crema di avocado e salsa agrodolce, che ben si sposa con le note fresche e lattiche del drink a base sake. Kanpai!

 

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Foto di copertina: bistrot Ailimē a Torino

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