Grandi e di un rosa pieno e vellutato: sono i boccioli di dalia che decorano il vetro del Condimento del Borgo Satin, realizzato con mosto cotto e aceto di vino invecchiato, affinato per anni in piccole botti di rovere. A disegnarli è stata Steffi Bauer, giovane artista di Monaco di Baviera che nel 2020 ha soggiornato nella tenuta della famiglia Crotti, alle porte di Reggio Emilia (sempre Bauer, nel 2024, ha firmato anche il packaging artistico per il Condimento del Ventennale in occasione dell’anniversario dell’acetaia).
Una delle otto camere de Il Borgo del Balsamico – composto da dimore sottoposte a tutela delle Belle Arti – è dedicata proprio a questo fiore originario del Messico e ormai diffuso in tutta Europa. A ricordarlo, un acquerello appeso all’ingresso della stanza, dipinto della stessa illustratrice tedesca. Oltre a questa cornice, le pareti bianche al primo piano accolgono i bozzetti originali di Walter Albini e Gianni Iotti, stilisti di grande talento degli anni Settanta. A chi dormisse qui e non fosse troppo sensibile alla luce del mattino, si consiglia di non chiudere gli scuri la sera: il verde intenso della campagna circostante offrirà un risveglio indimenticabile.
La moda è di fatto filo conduttore di questo luogo, al punto da “tessere” la storia della famiglia Crotti. E anche dopo che il signor Renzo ha ceduto Maska, maglificio che contribuì a scrivere una delle pagine della sartoria italiana, l’eleganza ha continuato a permeare ogni angolo della tenuta in località Botteghe di Albinea. Quando ancora era imprenditore nel settore tessile, da vero reggiano, Renzo Crotti ha costruito la sua acetaia per hobby, partendo da batterie antiche acquistate da famiglie del territorio: da queste parti, produrre l’aceto da sé è una tradizione squisitamente casalinga che nell’Ottocento era appannaggio dei nobili.
L’acetaia in soffitta, una danza lenta tra legno, calore ed evaporazione
«Nel vino si scende in cantina, nel nostro mondo invece si sale in soffitta», racconta Cristina Crotti, che oggi guida Il Borgo del Balsamico insieme alla sorella Silvia. Basta percorrere pochi gradini per trovarsi in un luogo fuori dal tempo: un sottotetto silenzioso dove l’aria profuma di legno e di memoria, e ogni botticella racconta una storia.
È qui che prende vita l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia Dop, prodotto secondo un disciplinare (ne esistono due, uno per ciascuna Dop, quella di Modena e quella di Reggio Emilia, appunto) che stabilisce, tra le altre cose, gli ingredienti e la loro provenienza: uve Trebbiano e Lambrusco esclusivamente di questa provincia, cotte lentamente fino a diventare un mosto denso e dolcissimo.
Il liquido ottenuto viene poi versato nelle batterie di botticelle (sei o sette) di legni diversi – rovere, castagno, ciliegio, frassino, ginepro, acacia – ognuna con un ruolo specifico nel donare note aromatiche uniche. Ma non esiste una regola rigida: ogni lotto è diverso e ogni blend è quindi irripetibile. Non si può mai parlare di un’età assoluta: ciò che si imbottiglia è sempre un mix di liquidi provenienti da botti diverse, con diversi livelli di maturazione. «È importantissimo ricordare questo concetto per la Dop: non esiste un prodotto di 50 o di 100 anni, esistono blend che hanno minimi di invecchiamento. Genera confusione far credere che ci siano prodotti tanto invecchiati: le botticelle hanno cent’anni perché non si cambiano mai ma quello che c’è dentro non può avere quell’età».
L’aceto balsamico tradizionale si produce con il metodo Solera, la stessa tecnica di affinamento usata per alcuni vini, rum e brandy, e con il caldo estivo, l’aceto evapora, si concentra, si trasforma. «La bellezza del tradizionale sta proprio nella sua complessità», aggiunge Cristina. Ogni anno bisogna “rincalzare” le botticelle, aperte in superficie e coperte da un tessuto di lino bianco, compensando le perdite: un gesto antico che si ripete, stagione dopo stagione, per almeno dodici anni.
Il giudizio del tempo (e degli assaggiatori)
Solo dopo dodici anni si può presentare il blend a una commissione d’assaggio: un panel che assegna un punteggio in base a densità, acidità, aromaticità e armonia. Da quel momento, il balsamico può ricevere una delle tre etichette della Dop di Reggio Emilia (a differenza di quella di Modena che ne ha due, rispettivamente di minimo 12 anni e di minimo 25 anni): aragosta (minimo 12 anni), argento, più maturo ed equilibrato, oro, per i blend che hanno superato i 25 anni e raggiunto la piena complessità.
«Non esiste una scuola per diventare maestro acetaio», dice Cristina. «Bisogna assaggiare tanto, confrontarsi, imparare a distinguere». Ecco perché al Borgo del Balsamico si organizzano degustazioni guidate, dove si assaporano prodotti più giovani, più densi, più dolci o più acidi. Nessun gusto è “giusto” o “sbagliato”: tutto dipende dal piatto, dall’abbinamento, dalla sensibilità di chi assaggia. A mettere tutti d’accordo pensano comunque alcuni prodotti della prima colazione con vista sul giardino: l’abbinamento yogurt bianco e Saba (alias mosto cotto) si rivela vincente, ma la combo tra Parmigiano Reggiano 24 mesi di stagionatura e l’etichetta Il Rosso è in vero stile emiliano.
I Condimenti e l’Igp
«Sebbene noi abbiamo iniziato con la Dop, abbiamo fin da subito continuato a sperimentare. Come? Con Il Tinello, l’altro brand di famiglia, nato parallelamente e quasi in concomitanza con il progetto de Il Borgo del Balsamico. Fiore all’occhiello è la nostra linea Condimenti che ci dà la possibilità di spaziare con la creatività (da provare il Bianco al Lime che sembra pensato per la mixology o per ravvivare un’ostrica, così come Giotto realizzato in collaborazione con Savini Tartufi, nda)».
Per chi si avvicina al mondo del balsamico con curiosità, ma senza esperienza, Il Borgo ha pensato a una filosofia cromatica per i suoi Condimenti: il giallo, fresco e vivace, l’Arancio, più avvolgente, il Rosso, dolce e profondo. Un modo poetico – e pratico – per raccontare le sfumature del tempo, senza le rigidità dei disciplinari.
«Quando vuoi esportare, però, far capire il Condimento è difficilissimo. All’estero vogliono leggere “aceto balsamico”. Il nostro Igp ci sostiene anche in questo senso ma con una scelta molto chiara: solo invecchiato, solo naturale, solo artigianale. La legge permette che fino al 90% della composizione sia aceto di vino, ma al Borgo la proporzione si ribalta per restare fedeli alla sostanza, prima ancora che al nome», chiosa Cristina.