Testo estratto dal numero speciale Italianissimo: 20 (+1) racconti d’autore per 20 regioni
Il Friuli Venezia Giulia è una terra di confine, che l’avvicendarsi di influenze diversissime, più o meno prolungate nel tempo, ha reso viva, votata al confronto e aperta allo scambio. Un’identità di frontiera che fa convivere un’incredibile varietà di tradizioni, a propria volta influenzate da una diversificazione geografica e geologica altrettanto peculiare. E unica nel suo genere. Si va da Trieste, città internazionale che è stata per lungo tempo principale porto mercantile dell’Impero austro ungarico, a luoghi lagunari che ricordano quelli veneziani, come Grado, alla campagna pianeggiante e collinare dove il dialetto locale ha acquisito la forza e la profondità di una lingua (il Friulano).
La montagna avvolge il Friuli Venezia Giulia. La Carnia e le Prealpi custodiscono tradizioni e ingredienti che hanno mantenuto autenticità anche grazie all’isolamento. La Slovenia, le tradizioni austro-ungariche e quelle delle tante comunità presenti e distribuite sul territorio – anche grazie alla presenza del mare e di un porto come Trieste, punto franco fin dal XVIII secolo – hanno permesso uno stratificarsi, anche all’interno delle singole famiglie, di cucine diversissime, creando un unicum in Italia. L’integrazione di culture e tradizioni differenti è stata lenta e profonda e ha compenetrato l’italianità della cucina locale, comunque ancora ben identificabile.
La varietà degli ingredienti a disposizione riflette questa complessità che può essere goduta fino in fondo solo visitando le diverse anime geografiche della regione, ancora ben distinte nonostante le continue influenze reciproche. Il Collio, area vitivinicola che abbiamo scelto per costruire L’Argine a Vencò, rappresenta perfettamente lo specchio e il tornasole di questo contesto: il confine sloveno corre parallelo al ristorante che è situato nel punto di incrocio tra la zona di influenza triestina e goriziana e la campagna friulana. Questo luogo è anche lo snodo tra il Carso, l’altopiano roccioso che si estende da Trieste fino alla Slovenia occidentale e all’Istria settentrionale, e le Prealpi.
Da triestina vivo con grande emozione la possibilità di raccontare attraverso i piatti questa complessità e ricchezza. E l’esperienza è amplificata dalla presenza sul territorio di molte eccellenze della viticoltura, della produzione di frutta e verdura ma anche dell’allevamento e della produzione di prodotti caseari. Le piccole produzioni molto spesso difficilmente esportabili possono essere assaggiate solo in loco. Penso alla Rosa di Gorizia: un radicchio straordinario con una stagionalità brevissima in cui la particolarità della coltivazione si lega indissolubilmente con la storia delle famiglie e la custodia dei semi. O alla tradizione ben radicata delle fermentazioni, che di volta in volta si declinano in aceti di frutta straordinari, in verdure conservate come la brovada (prodotto tipico della cucina friulana che si ottiene mediante la fermentazione di una varietà locale di rapa, ndr) e i crauti o conservati di qualità altissima. Mi riferisco alle piccolissime produzioni di prosciutti e salumi oppure ai minuscoli caseifici, che tutelando la qualità dei formaggi tutelano anche il paesaggio. La pasta fresca, gli gnocchi e i primi tipici del nostro territorio sono i più vari: si possono trovare, nelle ricette tipiche, lo gnocco fatto con patate locali o quello di pane, ravioli ripieni di erbe e spezie e spätzle.
La polenta prodotta da farine di mais che, a seconda della zona geografica cambia di varietà, ha da sempre un ruolo centrale nella dieta locale; in accompagnamento alla carne o al pesce, ma anche come dolce. Alimento povero che custodisce nelle sue infinite variazioni (bianca, gialla, morbida, dura, salata, dolce) la spina dorsale del nostro territorio. E poi c’è la raccolta di erbe spontanee, che esiste da sempre nelle tradizioni di campagna regionali e nella pratica quotidiana. Si tratta di una sapienza antica legata a una cultura profonda di legame con l’ambiente. Feste paesane seguono i cicli della vita di campagna qui come in tutto il mondo e testimoniano ancora oggi quanto la pratica del foraging sia sentita e slegata alle mode.
A L’Argine a Vencò il menu degustazione più lungo presente in carta, da 12 piatti sempre nuovi, si chiama “Territorio: Vita in Movimento”, e vuole essere una cartina al tornasole non solo della stagionalità, ma anche del mio rapporto in continuo mutamento con il territorio. Di stagione in stagione gli stessi ingredienti si ripropongono davanti ai miei occhi. Io, pur cercando di restare sempre in ascolto, cambio. E dunque sempre diverso sarà il mio approccio a quei prodotti: il menu deve rappresentare questi cambiamenti. Ma la ricerca dei fornitori, sul territorio, è sempre parte importante nella costruzione dei piatti, perché è il valore della produzione a dare preziosità agli ingredienti comuni. Nasce così un’entrée come quella dell’anno passato, che utilizzava le insalate di due contadini diversi; o la Zuppa di riso spezzato, zucchine e alloro –sulla tavola di quest’anno – dov’è un prodotto semplice come la zucchina a diventare protagonista.