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Serena Di Nucci

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Il Molise di Serena Di Nucci

Sulle rotte vecchie e nuove della transumanza

Testo estratto dal numero speciale Italianissimo: 20 (+1) racconti d’autore per 20 regioni

Puntate al cuore della nostra Penisola, è lì che troverete il Molise: minuto ed essenziale, così lontano dalle blasonate mete della bellezza italiana e incastonato tra massicci montuosi che sembrano difendere il mistero di una regione che sempre più ispira la curiosità dei viaggiatori. Ovvero, di quelli che stimolati dal quesito canzonatorio sulla sua esistenza si spingono a scoprirne le reali fattezze e finiscono per rimanere “intrappolati” in una dimensione spazio-temporale che dalle alture appenniniche scivola su declivi dolcemente coltivati fino al mare, in un’alternanza di silenzi, paesaggi, sguardi e sapori.

A ben vedere è proprio il viaggio la vocazione più intima della mia terra, l’antico Sannio, attraversata per millenni da un fitto reticolo di tratturi e tratturelli, vere e proprie “autostrade d’erba” che, dall’Abruzzo alla Puglia, fino ai confini con la Basilicata, servivano un tempo a condurre uomini e animali nella parte inferiore della Penisola per consentirne la vita nei periodi invernali, troppo rigidi sulle nostre alture. I nostri avi percorrevano a piedi centinaia di chilometri con una determinazione e un’organizzazione tali da configurare nella transumanza un fenomeno antropologico ed economico che ha conosciuto il suo declino solo nei primi decenni del Novecento, con l’avanzata dell’agricoltura industrializzata e l’abbandono dei vecchi metodi di allevamento.

L’eredità di quel mondo nomade continua a suggestionare studiosi e appassionati che nel corso degli anni hanno continuato a promuovere la dimensione “itinerante” del fenomeno perché venisse valorizzato in chiave turistica. Qualcosa è stato fatto, tanto c’è ancora da fare, ma una cosa è certa: la transumanza ha plasmato i molisani prima ancora che diventassero tali (nel 1963) e alcune delle sue pratiche sono oggi motivo di economia per la regione. Penso al mondo dell’arte casearia, della quale mi onoro di essere tra le ultime generazioni di una famiglia che del latte ha fatto la sua ragione di vita e mestiere. È in particolare la tecnica della pasta filata a farla da padrona, in entrambe le province di Isernia e Campobasso: una metodica antica, che ci accomuna ai “cugini” pugliesi, lucani, campani con cui abbiamo condiviso tratturi e buone pratiche. Riconoscerete infatti un molisano nel mondo dalla voracità con cui racconta e degusta un caciocavallo, ma anche dalla passione che lo lega alla tavola in senso lato.

C’è una sacralità del cibo che è pari a quella dell’ospitalità, in Molise, e anche questo è il risvolto più intimo di quel continuo spostamento di pastori prima, poi di intere generazioni di corregionali verso mete considerate di più degno futuro, in un moto centrifugo che oggi conosce nella decisione del ritorno la sua controtendenza. In molti casi è proprio l’enogastronomia, con il suo portato di identità e legami, la scelta di chi rientra in regione dopo percorsi di studi e professioni altrove, e coraggiosamente investe nelle nostre comunità alla ricerca di una dimensione più umana e valoriale. Produzioni tipiche, ristorazione, accoglienza di qualità, artigianato e comunicazione sono diventati il paradigma di un ritorno che assomiglia sempre più a una forma di resistenza, in una terra nella quale le stagioni si succedono in un ritmo lento e il velo di “romanticismo dell’incontaminato” spesso cade, lasciando intravedere un futuro di decretato abbandono, sorte comune a tanti territori di quell’Italia “minore” che solleva un grido di fragilità e rivendica attenzione.

Ma il Molise “resiste” appunto, come recita un celebre murales a Civitacampomarano (paese natale di Vincenzo Cuoco), e le esperienze accumulate in percorsi di vita fuori regione ci permettono di donare vigore a questi luoghi ameni. Ho vissuto in prima persona lo strano fenomeno per il quale diventiamo noi stessi i primi visitatori della nostra terra, una volta tornati. È una dimensione bellissima che ti permette di scorgere in tutti i luoghi un sottile fil rouge di emozioni. Basta poco a scatenarle: il profumo intenso dei boschi, la frescura dei borghi antichi, quando dalle finestre l’odore del sugo della domenica inneggia al giorno del riposo, gli sguardi lunghi che accompagnano un intercalare dialettale colmo di saggezza e umorismo. Ti sembra di ritrovare il più prezioso dei tesori, il senso di appartenenza a un patrimonio che senti di dover condividere con coloro che visitano la tua terra e che da semplici ospiti diventano ben presto parte delle nostre comunità.

C’è chi attraversa i continenti per venire a scovare le sue origini nell’antica chiesa del minuscolo paese da cui il suo bisnonno è partito: gli occhi si velano di emozione e ci si riconosce figli di una stessa storia. C’è chi esplora con curiosità percorsi naturalistici, sapori e antichi mestieri, in un viaggio esperienziale che appaga tutti i sensi. Qualsiasi sia la ragione che vi muoverà verso il Molise, a tutti daremo il benvenuto, con la fierezza degli antichi sanniti e l’empatia di un popolo di viaggiatori.

Maggiori informazioni

Poco più che trentenne, Serena Di Nucci rappresenta la terza generazione alla guida del caseificio Di Nucci ad Agnone. Oltre che “a bottega”, con il padre Franco, si è formata presso l’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Slow Food a Pollenzo ed è poi tornata in Molise per portare avanti l’attività di famiglia.

Foto courtesy Caseificio Di Nucci

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