Nella ricetta, ispirata alla tipica gallina ripiena della festa di San Giovanni Battista a Ragusa, il cuoco ribalta il ruolo delle salse nel piatto – a base di carota, zafferano e glassa di pollo – giocando sulla loro matericità
Tutti i polli e le pollastre che cuciniamo al Duomo vengono da Aia Gaia, un progetto nato da un gruppo di ragazzi, già miei fornitori, in cui sono voluto entrare anche io come socio nel 2015. Abbiamo1.500 animali suddivisi in 10 aie, in modo da avere gruppi di non più di 150 esemplari. Diamo tempo alle erbette spontanee di crescere e abbiamo un mulino per il mangime dove mettiamo le nostre granaglie. Alleviamo sia polli da carne che galline ovaiole – circa 200 l’anno, che riforniscono di uova il ristorante – nel modo più naturale possibile, senza dare ormoni della crescita o stimolatori. Con questa materia prima ho pensato a un nuovo piatto del menù “Dominazioni” (un viaggio nella geografia siciliana e attraverso le diverse culture che si sono succedute nell’isola nel corso dei secoli, nda) che anticipo in esclusiva a Food&Wine Italia: Sicilia Centro – Aia Gaia ovvero “Come ho bruciato il pollo”.
La ricetta si ispira alla tipica gallina ripiena che si prepara per la festa di San Giovanni Battista a Ragusa, in programma ogni 19 di agosto. Io ho voluto usare un pollo, seguendo la tecnica dell’anatra alla pechinese, dove si utilizza il succo di melograno per la marinatura. Ho scoperto che anche nella ricetta di Giuseppe Balsamo, in arte Cagliostro, c’è il melograno ma viene usato come ingrediente, principalmente per il sapore. Io invece lo utilizzo per una ragione tecnica importante: riesce a dare succosità e acidità e ammorbidisce la carne. Dopo aver marinato il pollo, lo cuocio al vapore, alternando per tre volte con acqua e ghiaccio in modo da rendere la pelle croccante con lo shock termico (due step vapore da 7 minuti e uno da 2 , con bagni in ghiaccio da un minuto), e poi lo asciugo con un canovaccio. A questo punto faccio colare due litri d’olio a 190°C per dieci minuti sopra il pollo: il cuore raggiunge 75°C ma la pelle diventa sottile e ancora più croccante, con una crosta quasi nera, proprio come l’anatra alla pechinese, e un profumo pazzesco. È quasi come se fosse un pollo fritto.
In seguito scaloppiamo il pollo, lo farciamo con un ripieno tipico di riso in bianco con tutte le interiora – fegato, cuore, duroni – cotte e macinate e lo serviamo accanto al piatto principale, dove la protagonista è la salsa. L’obiettivo è quello di ribaltarne quasi il ruolo nel piatto: mettiamo le salse al centro, giocando sulla loro matericità. In questo caso troviamo carota, zafferano e glassa di pollo che ho disposto in modo concentrico lasciando però al cliente la libertà di scegliere il percorso: per la composizione estetica mi sono confrontato, come faccio sempre, con il mio architetto Fabrizio Foti. Negli ultimi anni stiamo facendo un grande lavoro, molto apprezzato dai nostri clienti, intorno alle salse, un elemento caratterizzante della cucina italiana. Nel nuovo menu saranno un tema a parte a cui saranno dedicate almeno cinque ricette».
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