Storytelling o qualità? Qual è il perno su cui si fonda il successo dei vini dell’Etna? Viene da chiederselo scandagliando i numeri della denominazione, che sembra tenere la barra della crescita in uno scenario del mondo del vino in grande difficoltà. È allora l’anima che sa di fumo e pietra il segreto dei vini etnei? Difficile dirlo, ma probabilmente un giusto punto d’incontro tra bellezza, storytelling e qualità enoica sembra essere oggi la ricetta vincente per una delle poche denominazioni italiane in grado di reggere alla crisi dei consumi e dei mercati. Sì, perché i numeri raccontano una Doc Etna solida e lungimirante – con il blocco degli impianti e una rigida limitazione all’espansione di vigneti e produzione – capace di tenere anche su un mercato USA oggi in caduta.
Non è ovviamente sulla quantità che si gioca la partita di Nerello Mascalese e Carricante. Anzi, è proprio la scelta di limitare l’esubero per favorire il posizionamento ad apparire vincente. Così, l’analisi dell’Osservatorio UIV presentata agli Etna Days evidenzia come, a fronte di un numero di bottiglie sul mercato USA pari ad appena il 6% del totale delle Doc e Docg siciliane, l’export dei vini dell’Etna (60% di bianchi e 40% di rossi) vale il 28% in termini di volumi consumati. Una quota che a valore sale fino al 45%, per effetto di un prezzo della distribuzione che negli Stati Uniti si attesta sui 26 dollari al litro, quasi il triplo rispetto alla media delle Doc dell’Isola. «Oggi nei ristoranti di Seattle o New York, in California come nel Massachusetts, sempre più spesso la bottiglia scelta è siciliana e quindi dell’Etna», racconta il giornalista americano Ivan Carvalho che fa base in Italia .
«A livello mondiale ci sono denominazioni anche piccole, come la nostra, che fanno capire come si possa ancora crescere – chiosa il presidente del Consorzio Etna Doc Francesco Cambria –. Merito della qualità raggiunta dai nostri produttori, ma anche di un corretto posizionamento di mercato, in particolare nei canali del fuori casa che continuano a crescere». E infatti è il canale più ambito, quello dell’hôtellerie e della ristorazione, a trainare i consumi USA di etichette etnee nel primo semestre 2024, cumulando aumenti del 2,6% a fronte di una flessione generalizzata dei vini italiani (-4,5%) e del mercato vino nel suo complesso (-9%).
Il traino dei giovani
C’è un altro punto a favore della denominazione vulcanica siciliana. Se infatti negli ultimi 10 anni la superficie vitata è cresciuta del 70%, le bottiglie prodotte sono quadruplicate e l’enoturismo è in ascesa, a ben vedere sull’Etna i protagonisti sono i giovani. Sì, perché sull’onda del successo del pedigree enoico sono proprio le nuove generazioni ad esser tornate tra sciare e vallate, avviando nuove imprese o riprendendo l’attività dei nonni, finendo per spingere nuovi investimenti nell’area. Infatti, secondo un’analisi del Consorzio presentata agli Etna Days, la quota di aziende di vino condotte da giovani under 41 anni è arrivata al 20% (8% le giovani conduttrici), il doppio rispetto a quella nazionale (10%) riscontrata da Ismea su base Istat. Un’accelerazione che nei quattro versanti etnei si è fatta ancor più evidente nel triennio post-Covid (2020-2023), con un incremento del 55% per un totale di 89 realtà produttrici.
«I giovani hanno ripreso a coltivare gli appezzamenti di vigna dei propri nonni – rimarca il direttore del Consorzio Etna Doc, Maurizio Lunetta – in una sorta di salto generazionale che porta lavoro a una manodopera ormai numerosa. Complici i vigneti montani coltivati ad alberello, il totale delle vigne richiede infatti un monte annuale di oltre 200mila giornate lavoro, con circa 2.500 persone coinvolte direttamente nella produzione».
Un impatto economico significativo, come confermava qualche mese fa uno studio dell’Osservatorio UIV-Vinitaly descrivendo la domanda enoturistica (200mila presenze) come vettore per un valore aggiunto sull’area di 123 milioni di euro l’anno. Non per nulla il 60% delle aziende propone esperienze enoturistiche e, in generale, per ogni bottiglia consumata sulle pendici dell’Etna si genera un impatto (diretto, indiretto e indotto) a favore del territorio di 82 euro.