Lorenzo Zonin

In fondo al mar

Dal Veneto alla costa toscana, controcorrente. Lorenzo Zonin racconta il suo progetto vinicolo che nasce sui fondali del Tirreno.

C’è gente di montagna e gente di mare. Lorenzo Zonin – alla guida dell’azienda Podere San Cristoforo a Gavorrano – fa decisamente parte della seconda categoria, pur essendo nato a Vicenza. Tant’è che quando è libero dagli impegni in vigna, si dedica alle immersioni e al kitesurf in giro per il mondo, dalla Costa Azzurra al Marocco. «Il mare – racconta – mi è entrato nelle vene da piccolino. Mi ricarica e mi dà pace. Credo di aver deciso di prendere l’azienda in Maremma proprio perché era vicino alla costa».

A marzo 2020 questa passione ha spinto l’imprenditore vinicolo di Gambellara – che dopo essere cresciuto professionalmente nel gruppo di famiglia ha seguito il richiamo della terra e ora si dedica unicamente al suo progetto – ad affondare 600 anfore fatte a mano nelle acque toscane tra il Golfo di Follonica e l’Elba. Se è vero che già da qualche anno alcune aziende affinano le proprie bottiglie di vetro sui fondali marini, l’uso delle anfore è prerogativa del metodo “S’Amfora” (in fase di valutazione per il brevetto internazionale), che guarda alle antiche tradizioni dei popoli del Mediterraneo e parte da un assunto: mentre le tante anfore vinarie rinvenute sulla superficie terrestre si erano ormai asciugate con i secoli, quelle ritrovate in mare o nei laghi avevano mantenuto il loro contenuto.

Il progetto di Lorenzo prende il via più di quattro anni fa, ma la scintilla si è accesa ben prima: «Ho sempre avuto questo chiodo fisso di far affinare il vino sott’acqua. Poi, grazie a mia moglie Meritxell (che è di Barcellona e si occupa di comunicazione del vino: @winesandthecity su Instagram, ndr) ho conosciuto alcuni ragazzi di Terragona che stavano mettendo a punto un’anfora ideale per l’invecchiamento sottomarino perché realizzata con un forno ad altissima temperatura che vetrificava l’interno in modo da proteggere il vino e non permettere il passaggio dell’acqua di mare all’interno. Abbiamo fatto molti studi per capire l’effetto dei materiali e della pressione sul vino e numerose prove pratiche per stabilire, in base alle correnti, il punto di mare migliore dove a ondare le anfore».

Il vino è un petit verdot in purezza, da uve raccolte sui suoli ghiaiosi di Podere San Cristoforo (le stesse da cui nasce l’iconico San Cristoforo): viene affinato in botti di rovere francese per alcuni mesi, poi travasato manualmente nelle anfore artigianali di terracotta, che vengono infine tappate e rifinite con ceralacca e sigillo di autenticità prima di essere riposte nelle ceste di immersione. Le anfore restano a una profondità di circa 15 metri, a una temperatura costante tra i 14 e i 16°C, per almeno 9 mesi. «È un ambiente molto interessante. Il vino acquista complessità – spiega Zonin –, assume note più mature, minerali, quasi gessose, tipiche dell’affinamento in questo materiale, ed ha una bella verticalità. Per un metodo del genere servono vini potenti, che abbiano polpa e struttura e che abbiano fatto un passaggio preparatorio in legno equilibrato e non invasivo. Sarei curioso di fare un esperimento anche con il nostro sangiovese appassito». Quando riemergono dalle acque, le anfore sono incrostate di piccole alghe e conchiglie e sono pronte per conquistare gli appassionati, soprattutto quelli di Belgio, Olanda e Germania, stando alle prime forti manifestazioni di interesse (negli Stati Uniti, viceversa, non è permesso distribuire nulla che sia invecchiato sott’acqua).

S’Amfora rappresenta oggi il progetto più esclusivo e ambizioso dell’azienda maremmana che produce su 17 ettari, a regime biodinamico dal 2008 (con la consulenza di Luca Pedrini), sei vini – tra cui il Luminoso, a prevalenza vermentino da vecchie vigne, l’Ameri, che nasce da grappoli di sangiovese lasciati appassire in vigna ed è dedicato alla moglie, e il Pink, un rosato tributo ai Pink Floyd con tanto di maiale volante sull’etichetta, andato subito sold out – per un totale di 60mila bottiglie. Un’azienda ancora boutique: «Ma speriamo di crescere. Amo l’innovazione, con uno sguardo sempre al passato, e S’Amfora è un sogno che si realizza».

IL VINO DEL RISCATTO
Tra le isole dell’Arcipelago Toscano, Gorgona è la più piccola, misconosciuta e selvaggia. Ed è quella che custodisce una singolare storia di vino e di riscatto. Si tratta infatti dell’ultima isola-carcere attiva in Europa (dal 1869) che è possibile visitare solo accompagnati da una guida lungo gli itinerari autorizzati (per un massimo di 100 persone al giorno). Ma è anche l’ottava tenuta vitivinicola di Frescobaldi: dal 2012, infatti, la storica azienda – al motto di “cultivating diversity” – ha avviato una collaborazione con la direzione della casa di reclusione con l’obiettivo di insegnare ai detenuti – che qui trascorrono l’ultimo periodo di pena – il lavoro in vigna e in cantina, contribuendo così ad offrire loro una nuova opportunità di vita. Da poco più di due ettari di vigneto ad anfiteatro, coltivato a vermentino e ansonica, nascono così 9mila bottiglie di un vino dal carattere unico: avvolgente, fresco e sapido, con un bouquet esplosivo di frutta a polpa bianca e delle erbe tipiche dell’isola, tra cui rosmarino ed elicriso. Alla produzione di questo cru partecipa ogni anno a rotazione una quota della popolazione carceraria, regolarmente retribuita, sotto la supervisione degli agronomi ed enologi di Frescobaldi. Nel 2015 è nato anche Gorgona Rosso (meno di mille bottiglie) da alcuni lari di sangiovese e vermentino nero, anch’essi affacciati sul mare incontaminato del Parco Nazionale. Ora l’isola si prepara alla decima, attesa vendemmia, in programma a settembre. – F.D.C.V.

LA FONTUCCIA, DOVE OSANO I GIGLIESI
Giovanni e Simone Rossi
sono due fratelli che al Giglio ci sono nati, e che uno zio ha unito ancor più fortemente nel nome del vino: una passione che è una faticaccia, in quest’isola bellissima ma rocciosa, impervia, 21 km quadri di suolo con terrazzamenti che si specchiano sul mare verticale, trasparente, e «con piccole parcelle vitate che dal 2000 ricominciammo a recuperare, neanche fosse un gioco». Tutte in ripida salita, da affrontare «col solo trattore delle gambe». Il primo pezzo del puzzle (oggi sono cinque gli ettari in produzione, per circa 12mila bottiglie annue) si chiamava Fontuccia e da qui prende nome l’azienda, che fa dell’ansonica (Uva del Giglio per gli isolani) la propria icona, declinandola in diverse interpretazioni. «Una varietà già coltivata dagli etruschi, che ben si è adattata al terreno granitico, alla presenza del mare, alla scarsità di piogge». Le rese sono basse, ogni grappolo è un piccolo tesoro che si traduce in vini minerali, freschi e sapidi ma potenti, di nerbo, «con piena identità isolana». Il Senti Oh! è l’Ansonica più immediata, il Caperosso è il cru figlio di viti a piede franco e di una ponderata macerazione, mentre il Nantropo’ è il passito agrumato, avvolgente ma peperino, che non smetteresti mai di bere. L’ultimo arrivato è il Cocciuto, nome che riecheggia il carattere dell’Ansonica e dei vignaioli del Giglio, nonché l’anfora in cui è vinificato per 6 mesi a contatto con le bucce. Una menzione a parte la merita il Saracio, «da vitigni a bacca rossa, alcuni di origine e identità sconosciute, ma da sempre sull’isola: un miscuglio dal carattere deciso e intrigante come il nostro territorio». – Emiliano Gucci

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Foto di Podere San Cristoforo

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