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Intervista a Giancarlo Perbellini: «La mia cucina più attuale che mai»

Nella nostra ultima rubrica Conversations, raccontiamo i quarantacinque anni di carriera dello chef che guida il nuovo ristorante tre stelle Michelin italiano.

Per uno che ha iniziato a lavorare in cucina a 15 anni, ricevere il più importante dei riconoscimenti dopo 45 anni di carriera dev’essere il più dolce (e sudato) dei traguardi. Lo scorso 5 novembre, sul palco del Teatro Pavarotti Freni di Modena, Giancarlo Perbellini gongolava: il suo ristorante veronese, Casa Perbellini 12 Apostoli, conquistava le tre stelle Michelin, facendo salire a 14 il numero di locali nell’olimpo della Rossa. Sono cinque le sue insegne in città – Locanda Quattro Cuochi, il ristorante di pesce Al Capitan della Cittadella, la cicchetteria Tapasotto, la pizzeria Du de Cope e l’osteria Mondo d’Oro – a cui si aggiungono Locanda Perbellini di Milano, il bistrot Locanda Perbellini al Mare, sulla spiaggia di Bovo Marina, e Locanda Perbellini ai Beati a Garda. Un sistema che evidenzia la sensibilità imprenditoriale dello chef che, nel 2023, ha deciso di trasferire la sua “Casa” nelle sale dello storico 12 Apostoli. È in questo ristorante – “un pezzo di cuore” di Verona – che iniziò la sua carriera, da giovanissimo, sotto l’ala del compianto Giorgio Gioco.

Si aspettava le tre stelle?

Ci speravo ma avevo anche grande timore perché c’ero andato vicino già due volte, nel 2007 e nel 2008. Sono passati 16 anni, posso dire che me le hanno fatte soffrire. Per me averle o non averle fa una grande differenza. È il mio sogno sin da ragazzino, da quando iniziai con le prime esperienze in Francia e ne compresi subito l’importanza.

Sono aumentate le prenotazioni?

Noi siamo stati sempre pieni anche prima della terza stella ma le richieste sono aumentate in modo esponenziale, soprattutto da parte degli stranieri, e le persone decidono di venire a mangiare anche alle 12 se non c’è posto la sera.

Qual è il segreto di questo successo?

Credo la passione, che è la stessa del primo giorno, e poi la curiosità e una grande squadra di giovani che hanno voglia di imparare e di crescere, l’età media è di 24 anni. Abbiamo puntato su una direttrice, Chantal Feletto, quando aveva 23 anni (ora ne ha 27, ndr): dal suo esordio ha pianto molto e ha riso poco, ma se sei intelligente come è lei, usi le difficoltà per migliorarti. Voglio però sottolineare che il 50% del mio successo è merito di mia moglie, è lei che ha deciso insieme a me di accettare la sfida, non banale, dei 12 Apostoli.

Cosa significa ricevere le tre stelle nel luogo dove ha mosso i primi passi?

È un’emozione indescrivibile, un pezzo di questo riconoscimento è anche di Giorgio Gioco, che non le ha mai avute. Giorgio, oltre che un grande chef e ristoratore, era un poeta, un pittore, un appassionato d’arte, un personaggio molto eclettico e i 12 Apostoli era un luogo di cultura, in cui si davano appuntamento grandi personaggi, da Brera a Montanelli, da Pertini a Spadolini. Chiunque andasse da Milano a Cortina si fermava qui. Io venivo già da due esperienze importanti durante la scuola alberghiera, quella al Marconi di Verona, che aveva la stella, e quella al Desco. Subito dopo il militare, a 18 anni e mezzo, sono arrivato al 12 Apostoli, dove ho potuto conoscere la ristorazione classica, quella alla vecchia maniera, prima di scoprire cosa fosse la modernità al San Domenico di Imola.

Come definisce la sua cucina?

Interpreta i gusti delle stagioni, cosa che ha sempre fatto, ma oggi ancora di più. Ha una dote di attualità, la carta varia cinque volte l’anno toccando tanti ingredienti ma mai alla stessa maniera. Non ci sono le ricette dell’anno prima, ogni volta cambiano i gusti, quando guardo i menu di 20 anni fa non mi ci riconosco, ero un altro cuoco.

Il piatto simbolo del suo repertorio?

Il Wafer con tartare di branzino, caprino e liquirizia è un piatto che fai una volta nella vita, una creazione complessa in cui convivono il dolce e l’amaro, guai a chi me lo tocca! Ma oggi per la prima volta il menu si apre con un altro piatto: l’Insalata con carciofi fondenti e croccanti, feta e zabaione all’erba cipollina. È dedicato a Maria Callas, grande habitué del 12 Apostoli, e racchiude la sua eleganza ma anche la sua “asprezza”: i camerieri dicevano “stai attento che ti morsica”. Abbiamo registrato un podcast che si chiama “Il tredicesimo Apostolo” ed è dedicato a tutti i grandi personaggi che hanno frequentato il ristorante.

Qual è la sua idea di servizio?

Mi piace che ci sia un rapporto umano e autentico con il cliente. Dico ai miei ragazzi in sala di non giudicare mai un ospite nel momento in cui entra perché non puoi mai sapere chi hai di fronte.

Oggi si parla spesso della crisi del fine dining. Come si fa a riavvicinare una parte di pubblico all’alta cucina?

Attraverso la semplicità e la spontaneità. La gente viene al ristorante per passare un momento indimenticabile e noi non dobbiamo insegnare nulla. Molte mode hanno fatto male al fine dining. Un esempio? Oggi tutti fermentano i cibi in modo esagerato ma è qualcosa che non fa parte della nostra cultura gastronomica.

Quali saranno i prossimi investimenti?

Al momento non ho intenzione di investire più all’estero ma di concentrarmi soprattutto sulle Locande Perbellini, che sono una ricetta perfetta e un brand replicabile quasi ovunque. Quando avremo risorse umane adeguate svilupperemo ulteriormente il format.

Tra gli chef della nuova generazione, chi è che stima di più?

Faccio tre nomi: Davide Caranchini di Materia Cernobbio, Luca Tartaglia di Pierre Trattoria Sartoriale a Treviso e Marco Stagi di Metodo a Marne.

Maggiori informazioni

Casa Perbellini
Vicolo Corticella San Marco 3, 37121 Verona
casaperbellini.com

In apertura: ritratto di Giancarlo Perbellini

Foto courtesy Casa Perbellini 12 Apostoli

 

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