Intervista a Matilde Poggi, la vignaiola che non segue le mode

Nel cuore della zona di produzione del Bardolino, la patron de Le Fraghe ci racconta la sua visione del vino, sostenuta da una filosofia poco interventista sia in vigna sia in cantina.

Pioniera tra le donne del vino italiano e vignaiola dal 1984, Matilde Poggi nella sua azienda agricola Le Fraghe produce vini che esprimono una viticoltura scevra dalle mode, anteponendo identità e territorio nel cuore della denominazione del Bardolino. Tra i fondatori della FIVI (Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti), che tra l’altro ha guidato dal 2013 al 2021, oggi è Presidente di CEVI (Confédération Européenne des Vignerons Indépendants), divenendo in tal modo la prima italiana alla guida dell’associazione che porta la voce dei Vignaioli Indipendenti a Bruxelles, luogo (si sa) dove non a caso vengono prese le decisioni sulle politiche agricole europee. Sempre lei è anche tra i soci dell’associazione internazionale Rosés de Terroirs, la quale si pone come proposito la creazione, la promozione e lo sviluppo di un autentico segmento di mercato dedicato a questa specifica tipologia di vino. Noi l’abbiamo incontrata e abbiamo ripercorso insieme le tappe salienti della sua carriera.

Perché hai cominciato a fare vino?

«Sono nata in una famiglia di vignaioli che ha iniziato a imbottigliare negli anni 60. Mio papà non si occupava a tempo pieno dell’azienda di famiglia, avendo un altro lavoro come ingegnere. Nel 1980 le vigne di proprietà sono state divise tra lui e i suoi due fratelli e abbiamo iniziato a conferire le uve in una cantina sociale. A me ha provocato dispiacere non poter dare una giusta collocazione alle nostre uve, visti i grandi sforzi di rinnovamento che avevamo affrontato nel vigneto. Da lì, la decisione di iniziare a lavorare in proprio una parte delle uve, fino a vinificarle in toto a partire dai primi anni 90».

Com’eri nel 1984?

«Ero una giovane donna curiosa e determinata. Mi sentivo molto appoggiata da mio padre, che ha sempre spronato noi figli a essere intraprendenti: era un grande imprenditore e un esempio per tutti noi. Non sono figlia d’arte nel senso stretto del termine e a guidarmi è stata passione. Non ho mai ceduto alle mode del momento: volevo prima di tutto fare vini che piacessero a me».

E oggi cosa provi?

«Il percorso intrapreso in questi 40 anni è lungo, in un altro settore si potrebbe trattare di una carriera intera. Nel vino 40 vendemmie sono davvero poche, sento quindi che ancora ho molto da imparare e so che anche la prossima raccolta mi riserverà qualcosa di nuovo e inaspettato. Se guardo indietro vedo che ho fatto anche tanti tentativi che non hanno portato i risultati sperati; ora credo però di aver imboccato la strada giusta e posso ritenermi soddisfatta delle scelte compiute».

Cosa significa fare vino sul lago di Garda?

«Siamo in una zona vocata alla viticoltura – molto ventilata, con terreni ricchi di scheletro – e dedita a produrre vini freschi ed eleganti. A livello commerciale il nostro areale fatica a trovare un’identità forte e vedo piuttosto che ognuno di noi vignaioli deve tracciare la propria strada, spesso con un grande dispiego di energia. Sono fiduciosa che in futuro anche questa zona avrà i riconoscimenti che merita e una valorizzazione maggiore anche perché le tendenze del mercato ci dicono che le nostre tipologie di vino, rossi leggeri e rosa, sono le più richieste».

Quali sono stati i momenti più interessanti della tua carriera?

«È stata un continuo divenire, con alti e bassi. Ricordo l’ingresso nel mercato statunitense nei primi anni 2000, entrare nel primo mercato al mondo ha segnato per me una crescita importante. Il 2014, quando sono riuscita ad acquisire la vigna Ronchilonghi di Affi, una zona bellissima con il bosco alle spalle, che da tanti anni mi sarebbe piaciuto poter coltivare. Inoltre, aver avuto la fortuna di poter guidare FIVI per nove anni ha significato una crescita personale importante».

Un vino che ti rappresenta?

«Rosa era il nome di mia madre che in greco diventa Ròdon, come il mio Chiaretto di Bardolino vinificato in acciaio, che si caratterizza per freschezza, verticalità e struttura».

In che cosa si distingue la tua filosofia in cantina?

«Sono per un’enologia molto poco interventista. Credo che il nostro lavoro sia osservare la vigna e poi in cantina rispettare molto le uve e le loro caratteristiche. In quest’ottica ho deciso di non usare lieviti, facendo fermentazioni spontanee. Per la tappatura utilizziamo solo tappi a vite, una scelta precisa per dare la migliore evoluzione ai miei vini che, dal 2009, sono tutti certificati biologici».

Quali sono state e quali sono tuttora le persone più importanti della tua vita professionale?

«I miei genitori, che mi hanno appoggiato e sostenuto fin dall’inizio, e tutti i vignaioli – e sono tanti – che ho incontrato in questi anni e che con i loro consigli hanno contribuito a farmi diventare quello che sono ora. Tra loro, al primo posto c’è Costantino Charrère che mi ha accolto nel suo abbraccio affettuoso nel 2010».

Cosa non ti piace del tuo settore?

«Non amo troppo chi insegue le mode e chi tratta il vino come un qualsiasi altro prodotto. Non mi piacciono quelli che vogliono cambiare i disciplinari ogni altro giorno per rendere i vini più aderenti alle richieste del momento: il vino nasce da vigneti che durano molti decenni, non è un seme che si pianta di anno in anno. Mi piacciono i produttori che rimangono fedeli al proprio territorio e alla sua vocazione, non mi piacciono quelli che fanno di tutto un po’».

Di che cosa ti senti più orgogliosa nel tuo lavoro?

«Di essere diventata uno dei punti di riferimento per la denominazione Bardolino».

Qual è il complimento che ti fa più piacere?     

«Quando mi dicono che i miei vini hanno un filo conduttore che li unisce, che in essi si sente la mia mano e che “parlano” la stessa lingua».

Come la vedi la tua cantina fra 10-15 anni?

«Più che come la vedo, posso dire come vorrei che fosse, ovvero con un legame ancor più forte con il territorio e con giovani leve che la guidino, sempre con la speranza di essere capace di “allevare”».

Maggiori informazioni

Le Fraghe
Via Colombare, 3, 37010 Cavaion Veronese (VR)
fraghe.it

 

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